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«Mi dici che ti è preso, Carlos?» la voce di Francesca risuonò per la stanza forte quasi quanto lo schianto della porta chiusa dietro di lei.

«Ti dispiacerebbe uscire? Vorrei cambiarmi e fare una doccia...»

Cercò di lasciar trasparire dal suo tono tutta la stanchezza che provava in quel momento, sperando che fosse sufficiente a farla desistere dal sostenere ora quella conversazione.

«Prima rispondimi.»

Ovviamente non funzionò. Niente andava mai come voleva con Francesca. Beh, quasi niente.

«Come vuoi, resta pure qui» e continuando a darle le spalle si mosse per raggiungere il bagno.

«Carlos Sainz, ti ho fatto una domanda, rispondimi! E guardami per l'amor del cielo!»

Qualcosa di estraneo nel tono di lei lo fece fermare, la mano sulla maniglia della porta scorrevole. Restò immobile, indeciso se scappare da lei o affrontarla. Il suo istinto, il suo orgoglio, i suoi nervi a pezzi lo imploravano di varcare quella porta il più velocemente possibile, rimandando quella conversazione a più tardi, molto più tardi, forse a mai. Ma qualcosa, per un motivo che non riusciva a spiegarsi, gli suggerì che sarebbe stato un errore, uno di quelli gravi, da cui non avrebbe più potuto tornare indietro, e così, terrorizzato dall'idea di compiere l'ennesima stronzata di quel weekend, si voltò a fronteggiarla senza nemmeno prendersi un istante per raccogliere il coraggio, per mettere in ordine i propri pensieri.

«Non lo so cosa mi sia preso, Francesca, ok?!» esplose, la voce carica di emozione e frustrazione.

Cercò di riprendere il controllo. Urlarle contro, seppur involontariamente, non sarebbe servito a nulla.

«Ho fatto schifo. Le gomme non erano giuste, l'asfalto era troppo scivoloso e io non sono riuscito a gestirlo...»

«Non me ne frega un cazzo di quello che è successo in pista, Carlos!»

L'intensità, l'irruenza con cui lei lo interruppe lo colsero di sorpresa, zittendolo all'istante.

«Sto parlando di te, del tuo comportamento. È tutta settimana che mi tieni a distanza, che te ne stai per conto tuo, parlandomi a malapena, lasciandomi sola nel box, nel motorhome o in hotel come fossi una delle tue fottutissime valigie.»

Serrò la mascella, sentendo i denti stridere uno contro l'altro mentre lei continuava con la sua sfuriata.

«So che ti senti sotto pressione, e comprendo che tu non voglia avermi attorno in questi momenti, che tu non voglia parlarmene, va bene, è la tua vita, non sei costretto a condividere tutto con me. Ma per l'amor del cielo, Carlos, oggi ti ho visto finire per ben due volte contro le barriere ed entrambe le volte mi hai fatto morire di paura! Possibile che non ti sia neanche passato per l'anticamera del cervello di farmi sapere se stavi bene o no? Se fosse tutto ok?»

La vide stringersi nelle spalle, le dita che affondavano quasi spasmodicamente nelle braccia fasciate dalla giacca leggera che indossava. La voce di lei si era fatta più acuta del solito mentre gli rivolgeva quelle ultime parole, quasi spezzata, e in quel momento lui trovò finalmente il coraggio di guardarla negli occhi. Le iridi color caramello di Francesca letteralmente lampeggiavano di esasperazione, di frustrazione, di quella rabbia cieca e sorda che può nascere solo dalla più istintiva, viscerale e sincera preoccupazione. In quell'ambra non vi era intrappolata nessuna traccia della delusione o del disgusto che tanto aveva temuto di trovarci. Si sentì un completo idiota.

«Francesca, io...»

Fece un passo verso di lei, ma Francesca sollevò la mano in un gesto rapido e deciso, il palmo rivolto nella sua direzione, chiaramente intenzionata a fermarlo. Poi, senza dire nulla, distolse lo sguardo, scosse la testa e si voltò dall'altra parte. Ora era lei a dargli le spalle. Rimase ad osservarla, riuscendo chiaramente a vedere, anche attraverso il tessuto tecnico del capospalla, la tensione che quasi la faceva tremare, che le faceva contrarre i muscoli delle spalle e del collo sottile.

Le parole che gli aveva rivolto continuavano a rieccheggiargli nella mente, come un vinile incantato su un vecchio giradischi, e più le sentiva, più prendeva consapevolezza di quanto Francesca avesse ragione. Non gli era passato per la testa nemmeno per un istante cosa avesse potuto significare per lei assistere ai suoi incidenti, come avrebbe potuto vivere la cosa. Troppo concentrato su sè stesso, sulle sue paure, sulle proprie esperienze, aveva dato per scontato che Francesca vedesse le cose nello stesso modo in cui le vedeva lui. Era così abituato a quel mondo ad alta velocità, a tutto quello che comportava, che non si era nemmeno posto il problema, non lo aveva minimamente contemplato.

Per lui, come per tutti, un incidente era un evento spiacevole, certo, ma era anche parte del gioco, un'eventualità con cui ciascuno dei piloti che scendeva in pista, così come chi stava loro affianco, era venuto a patti fin dalle prime corse sui go-kart. Il rischio, l'adrenalina, il quasi sfiorare la morte in quella danza a 300 chilometri orari erano qualcosa di intrinseco in quello sport, qualcosa che, avendo la piena fiducia nella sicurezza delle macchine, nei sistemi di protezione e nel team medico sempre pronto ad intervenire con tempestività, era sempre stato disposto ad accettare.

Ma Francesca non conosceva nulla di tutto quello. Per lei non c'erano certezze, non c'erano statistiche che potessero tranquillizzarla. Non c'era l'abitudine a cui aggrapparsi. Per Francesca c'era solo la paura, cruda e diretta di chi assiste impotente ad una scena orribile, senza sapere cosa sarebbe successo dopo.

Le immagini della gara gli tornarono alla mente, il momento dell'impatto, le urla di rabbia nella radio, il silenzio che era seguito. Era tutto così normale per lui. Spiacevole, certo, ma normale. Ma per Francesca? Non le aveva mai spiegato come funzionasse davvero quel mondo, non si era mai fermato a condividere con lei la sua prospettiva. Aveva dato per scontato che lo capisse da sola, che comprendesse il rischio come lo comprendeva lui, ma non era successo, e non certo per colpa di lei. L'aveva trascinata nella sua vita, nel suo mondo, chiedendole di fidarsi di lui, ma l'aveva lasciata sola, accecato dalle proprie paure, dalle aspettative e dalle pressioni che sentiva provenire da ogni direzione, tranne, se ne rese conto in quel momento, che da lei.

Francesca non si era mai aspettata niente da lui, non aveva mai preteso niente e, sebbene nella maggior parte delle occasioni questo lo facesse sentire inutile e superfluo, in quel frangente gli diede un sollievo che non pensava, non sperava di poter provare. Certo, tutta la rabbia, la frustrazione, la delusione per quello schifoso weekend non erano sparite, non si erano volatilizzate come per magia, ma di fronte a quella nuova consapevolezza, a quella che poteva considerarsi la prima vera dimostrazione che lui e Francesca avevano finalmente stabilito un sincero legame, sembravano essere scemate in tenui tinte pastello rispetto alle tonalità vibranti che avevano avuto fino a nemmeno un quarto d'ora prima.

Fece un passo verso di lei, allungando una mano per poi posargliela sulla spalla, ma lei si ritrasse a quel contatto, evidentemente infastidita. Chiudendo gli occhi e reclinando all'indietro il capo, lasciò ricadere la mano nel vuoto, passandosi amareggiato l'altra tra i capelli. Se lo meritava. Era stato stupido, codardo ed egoista, troppo impegnato a gestire la sua frustrazione, a concentrarsi su quel disastro di weekend, a fuggire dalle proprie proiezioni, da non aver minimamente considerato cosa avesse voluto dire, per lei tutto ciò che era accaduto.

Francesca aveva tutte le ragioni per essere arrabbiata con lui, per non volere nemmeno che lui la toccasse. L'aveva tenuta lontana tutta settimana, rivolgendole a malapena qualche parola e dopo gli incidenti non si era neanche soffermato a pensare cosa avesse potuto significare per lei. Preso com'era dal cercare di salvare i pezzi di quell'ennesima giornata fallimentare della stagione non si era preoccupato di tranquillizzarla, di farle sapere che stava bene e, ora che ci pensava, non si era nemmeno soffermato a cercare di capire cosa avesse significato per lui. Aveva dato per scontato di stare bene, solo perchè non aveva riportato nessuna ferita, ma era davvero così? Stava davvero bene?

Si, gli incidenti erano un rischio del mestiere, qualcosa che, ribadì a se stesso, aveva sempre messo sul piatto della bilancia e accettato, eppure... qualcosa era cambiato. Volente o nolente, che ne fosse pienamente consapevole o meno, ora aveva molto più da perdere rispetto a prima. Sarebbe diventato padre, la sua vita ora non era più solo sua, non apparteneva più esclusivamente a lui. Si sentì scuotere dalle fondamenta prendendo consapevolezza che, se anche una sola delle variabili che quel giorno lo avevano portato a rimanere illeso durante gli incidenti, se anche una sola delle misure di sicurezza su cui faceva cieco affidamento non avesse funzionato come doveva, lui avrebbe potuto non vedere il suo futuro venire al mondo, tenerlo tra le braccia...

Senza pensarci due volte, ignorando apertamente l'ostilità che il corpo di Francesca emanava, colmò la distanza che li separava, circondandola e stringendola in un abbraccio, affondando il viso tra i suoi capelli morbidi e ribelli per cancellare quel pensiero.

«Scusami» riuscì a formulare in un sospiro mentre il suo ormai familiare profumo di vaniglia, ancora percepibile sotto il sentore di gomma bruciata e pioggia che aveva permeato le ciocche scure, gli inondava le narici.

Il calore di lei, la sensazione del suo corpo a contatto con il proprio, gli regalarono il conforto che più di ogni altro desiderava. Con gli occhi chiusi rimase fermo in quella posizione per un tempo che parve protrarsi sempre di più. Era talmente immerso in quel calore, in quella piacevole sensazione che gli era mancata così tanto, che quasi non si accorse di un tocco appena accennato, delicato e impalpabile, quasi impercettibile.Aprì gli occhi e sollevò la testa quel tanto che bastava per accertarsi che ciò che stava sentendo non fosse frutto della sua immaginazione. Non lo era. Quella che sfiorava appena la sua era la mano di Francesca che, lentamente, tracciava sul dorso piccoli e perfetti cerchi con la punta delle dita affusolate e ancora infreddolite.

La tensione di Francesca non era svanita, la percepiva ancora nel modo in cui il suo respiro era leggermente irregolare, nel modo in cui non si abbandonava completamente al suo abbraccio, mantenendo le spalle rigide, la spina dorsale perfettamente dritta, ma quel tocco era un inizio, una tregua. La strinse più forte e istintivamente le parole cominciarono a sgorgargli fuori dalla bocca come un fiume in piena senza più argini a trattenerlo.

«Perdóname, Francesca. Lo siento, por todo. Per averti fatto preoccupare, per non averti fatto sapere che stavo bene, per averti lasciata lì senza una parola e soprattutto per non averti preparata a... a tutto questo. È colpa mia, lo so. E so anche che non avrei dovuto ignorarti tutta la settimana, ma di colpo, dopo la vittoria, mi sono sentito addosso un peso enorme, come se tutti avessero delle aspettative su di me, come se dovessi necessariamente dimostrare qualcosa. Nel paddock ma non solo, ogni sguardo, ogni parola, ogni domanda, a prescindere da chi fosse a rivolgermela, si sono tramutati in un promemoria che dovevo dare di più, fare di più, essere di più. Così ho pensato di fare quello che so fare meglio, ovvero buttarmi sull'allenamento, concentrarmi sugli incontri con gli ingegneri, su ogni minimo dettaglio della macchina. Mi sono isolato sperando che, facendo così, sarei riuscito ad ottenere dei risultati, ma, con il senno di poi, non è servito a granchè... Mi dispiace averti tagliata fuori, averti lasciata sola. Volevo evitare di trascinarti con me in questa cosa, in tutto questo caos, ma temo di averlo fatto comunque, e nel modo peggiore...»

Fece una pausa. Voleva dirle delle sue paure, rivelarle la ragione più profonda per cui l'aveva tenuta lontana tutta settimana, per cui aveva evitato ad ogni costo il suo sguardo, ma le parole sembravano esserglisi incastrate in gola.

«Va bene.»

La voce di Francesca, ora tornata del suo tono normale, con una sfumatura di accondiscendenza, richiamò la sua completa attenzione.

Va bene. Come poteva andare semplicemente bene? Come poteva, dopo quello che le aveva fatto passare, anche se non intenzionalmente, dirgli solo va bene?

«No, no está bien, Fran...»

«Carlos» lo interruppe prima che potesse anche solo finire di pronunciare il suo nome «va bene, davvero.»

La sentì divincolarsi tra le sue braccia e provò a trattenerla, ma lei riuscì comunque a svicolare dalla sua presa, solo per poi voltarsi verso di lui, gli occhi color caramello puntati nei suoi, una mano stretta sul braccio opposto, appena sopra il gomito.

«Mi dispiace essere piombata qui come una furia. Temo che la preoccupazione, gli ormoni e una settimana di frustrazioni di vario genere represse a film horror, patatine e Artic Monkeys abbiano messo a dura prova il mio autocontrollo. Lo so che ti sei sentito, e probabilmente ti senti ancora, sotto pressione, Carlos. Me lo ha detto Lando. E capisco che, quando succede, tu abbia bisogno di stare da solo, di concentrarti solo sulla pista, sulla macchina, sul lavoro. Non è un problema, anche io sono così. Ma la prossima volta che decidi di smettere praticamente di rivolgermi la parola per questo motivo, almeno fammelo sapere in qualche modo, così che io non vada in paranoia. Mandami un messaggio, appenditi un cartello di lavori in corso al collo... qualcosa, qualsiasi cosa, soprattutto se succede subito dopo... Insomma, dopo quello che abbiamo fatto domenica notte...»

La vide arrossire leggermente e, sentendo ogni residuo di tensione finalmente evaporare dopo quelle parole, fu tentato di lanciarsi in un commento proprio a proposito di quell'argomento che, sapeva, probabilmente le avrebbe fatto roteare e alzare gli occhi al cielo. Ma lei riprese a parlare.

«E per l'amor del cielo, evita di andare a schiantarti di nuovo, ok? Mi hai fatto morire di paura...»

«Mi dispiace» disse allungando in avanti le mani per prendere quelle di lei, intrecciando le dita con le sue.

Francesca lo lasciò fare.

«Purtroppo però non posso prometterti che non succederà di nuovo. Credimi, è nel mio più totale interesse che quello che è successo oggi non si ripeta più, ma non ho la certezza che non possa ricapitare. Non so quando, potrebbe essere alla prossima gara, durante la prossima stagione, tra 2 anni, o forse mai, non lo so, so solo che è un rischio di questo sport. Non lo prendo alla leggera, soprattutto ora, ma non posso farci niente se non cercare di essere il più concentrato e lucido possibile in pista.»

Le sorrise, cercando di essere il più rassicurante possibile. Lei sospirò, chiudendo per un istante gli occhi, come se stesse provando ad assimilare le sue parole.

«Capisco... Allora la prossima volta mettiti a fare un balletto, mima la scena di un film, canta una canzone, o quello che preferisci, ma ti prego, dammi un segno, fammi capire che stai bene, ok?»

«Va bene» le concesse, senza riuscire a trattenersi dal ridacchiare, per la prima volta sinceramente in quel weekend, per quella bizzarra richiesta.

Poi se la tirò vicina, avvolgendola con le braccia e schiacciandosela contro, quasi volesse imprimere la figura di lei nel suo stesso corpo. La sentì emettere un suono soffocato contro i suoi pettorali, così allentò leggermente la presa.

«Carlos.»

«Si?»

«Puzzi di cane bagnato.»

Sentì una risata riverberargli nel petto. Non poteva darle torto.

«Tappati il naso e resisti ancora un pò, ok? Ho un'intera settimana da recuperare e non ho intenzione di lasciarti andare per i prossimi 5 minuti»

«D'accordo. 300, 299, 298, 297...»


--- spazio autrice---

...293, 292, 291...

Fossi Francesca, odore di cane bagnato o no, non avrei mai cominciato il conto alla rovescia, ma ormai la conoscete, è fatta così.

Come vi avevo promesso, Carlos e Francesca si sono finalmente chiariti. Certo, rimangono in sospeso dei non detti, ma non possiamo pretendere più di tanto da questi due, no? Almeno per ora.

Gettate pure via i fazzoletti, mangiatevi i popcorn, ma tenetevi stretti i forconi per il prossimo capitolo.

Vi prego, non odiatemi, devo pur far andare avanti la trama in qualche modo.

Come sempre io vi ringrazio per aver letto e ci vediamo con la prossima parte che, vi spoilero, avrà il nome di una merendina americana.

Accende qualche lampadina...?

*kiss  Silver_Fame

...251, 250, 249...

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