drunk
Tre settimane e due giorni.
Jaebum non vedeva Youngjae da tre settimane e due giorni.
Un milione e trecentottantaduemila e quattrocento secondi, che stavano irrimediabilmente aumentando al ritmo serrato dell'orologio che aveva al polso.
Non che non avesse provato ad incontrarlo: andava tutti i giorni in quel locale, e non si arrischiava mai a bere neanche un sorso di birra. Ma non riusciva a vederlo. O per dirla a parole sue, al suo sguardo non era ancora permesso apprezzare l'angelica figura del biondo.
Così, quella sera si era ubriacato come mai prima d'ora. Non riusciva quasi a reggersi in piedi, e vedeva il mondo confuso, quasi non ne appartenesse.
Tuttavia, riconobbe immediatamente Youngjae quando lo vide. Era seduto su una sedia accanto al bancone, e guardava attentamente la folla.
A quella visione, il moro si sentì il cuore trafitto da milioni di spilli. Come mai ora? Perché non era sobrio? Che aveva fatto nella vita per non meritarsi di ricordare le notti passate con quell'angelo?
Sentì una grande rabbia montargli in corpo. Una rabbia profonda e pungente, che mosse il suo corpo per lui.
Si diresse a grandi falcate verso la figura angelica che con quegli occhi innocenti osservava il mondo attorno a sé e strinse le dita fredde attorno al suo polso.
«Jaebum?» disse egli, nonostante l'avesse riconosciuto.
«Vieni con me?»
Non era una domanda, era una frase in bilico fra l'obbligo e la minaccia. Ma Youngjae, che non credeva nel male pur conoscendolo, si lasciò docilmente guidare fuori dal locale.
Gli occhi del moro erano accesi di ira. Lo spinse contro il muro, tenendolo bloccato per i polsi.
Voleva vendicarsi. Di cosa, non lo sapeva. Ma Youngjae era lì, spaventato, bloccato fra lui e la parete scrostata. E per i sensi di Jaebum, confusi dall'alcol, era una visione terribilmente eccitante.
«C-che vuoi fare?» balbettò l'angelo, facendosi piccolo, come un bambino che si rannicchia sotto le coperte per paura dei mostri.
Il mostro voleva mangiarlo, quel bambino. Mordergli la pelle, succhiarla, leccarla. E così fece, spingendo una gamba in mezzo a quelle del biondo.
Egli lo realizzò troppo tardi.
«Basta.» sussurrò, forse per temporeggiare, per raccogliere il coraggio che gli serviva per affrontare il ragazzo di fronte a sé.
«Basta!»
Nel dirlo liberò i polsi e lo colpì con entrambe le mani al petto. Non aspettandoselo, Jaebum barcollò all'indietro.
Sgranò gli occhi, la bile sospesa fra lo stomaco e la gola. E vide Youngjae, tremante, gli occhi grandi di paura. E si spaventò.
Fece per avvicinarsi nuovamente, ma la bile si mosse e Jaebum si girò, vomitando a terra l'anima e la rabbia.
Sentì delle dita leggere posarsi sulla sua schiena. Youngjae.
Gli venne da piangere.
«Va tutto bene.» disse l'angelo. Ma non era vero, e non perché stava vomitando. Non andava bene perché gli stava per fare male, e non avrebbe mai voluto ferire Youngjae.
Qualche secondo dopo, Jaebum era seduto a terra, ai piedi del muro, e Youngjae era a una manciata di centimetri da lui.
Il maggiore singhiozzava, tenendo la testa sulle ginocchia.
«Non toccarmi.» pregò debolmente quando l'angelo allungò la mano per sfiorargli la guancia, «Non merito di essere anche solo sfiorato dalle tue dita dopo quello che ho fatto.»
Ma il biondo lo ignorò, e posò gentilmente la mano sul suo viso.
«Andiamo, Jaebum.»
«No. Angelo, scusami.»
Non se ne sarebbe andato finché non fosse stato sicuro del perdono del minore.
Youngjae fece un piccolo sorriso, con gli occhi che annegavano dietro un velo di lacrime.
Si spostò di fronte a lui, prendendogli il volto fra le mani.
«Va tutto bene.» ripeté per la seconda volta.
Il moro annuì, troppo stanco o troppo ubriaco per replicare. Appoggiò il viso sulla mano del ragazzo e rimasero così: l'uno ad implorare un perdono che l'altro gli aveva già concesso.
• non mi convince minimamente, quindi per favore, aiutatemi.•
credo in voi che mi aiutate a sistemare ogni volta. <3
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