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47 - Adulting

Pochi giorni prima del ballo di fine anno, si presentò una problematica non del tutto irrilevante: il compleanno di mia madre.

Cominciava a fare caldo, anche se ogni tanto c'erano delle brevi piogge rinfrescanti, e tutto iniziava a fiorire, ad illuminarsi, a colorarsi di estate. In aula, gran parte degli studenti facevano fatica a seguire le lezioni, sonnecchiavano, si annoiavano... Ormai, ne avevamo tutti quanti abbastanza della scuola, persino gli insegnanti. Quella di letteratura ritenne poco rilevanti gli ultimissimi argomenti del programma e ci consigliò di leggerli, perché sarebbero tornati utili per l'anno successivo, ma nessuno la ascoltava più. Qualcuno si era persino attrezzato con i giochi da tavolo o le carte da gioco e, quelle che poche settimane prima erano ore di tensione, si configurarono come una sacrosanta ricreazione.

Alle ultime lezioni del corso di fotografia, provai un profondo senso di tristezza al pensiero che il mio progetto sarebbe stato Eric e che, da quel funesto lunedì mattina di inizio maggio, avevo dovuto rinunciare a molto più che un mucchio di fotografie. Mi tornò in mente che lui stesso mi aveva parlato di un importante album nella casa a New York, il cui indirizzo era scritto nelle carte che, insieme a quelle in cui ero menzionata nel testamento di mia nonna, assumevano l'etichetta delle mie proprietà. Nemmeno ciò che mi aveva lasciato Eric era usufruibile prima che compissi diciotto anni, ma non aveva apposto lui quella clausola e, purtroppo, non era modificabile. Avrei, tuttavia, richiesto il permesso di fare un salto in quell'appartamento per trovare l'album e scoprire di che cosa si trattasse.

Quello che sapevo era che il momento in cui mia madre avrebbe dovuto scegliere fra Matthew e mio padre sarebbe arrivato, prima o poi. La pace precaria non era mai stata una soluzione, in nessun contesto e in nessuna epoca. Piuttosto, era servita da temporaneo compromesso per non affrontare conseguenze importanti di scelte sbagliate.

Matthew raccontò la verità a mia madre una settimana dopo il funerale di mia nonna, assumendo, correttamente, che troppa negatività l'avrebbe danneggiata, invece che aiutata a prendere una decisione. Mia madre gli disse che avrebbe ragionato con calma sulla questione, dal momento che in gioco c'era anche un influsso psicologico sulla mia vita.

«Mamma, io sono abituata a Matthew ormai. Alla nostra tradizione da Buttery, a lui che viene a raccattarmi a scuola quando tu devi lavorare, alla sua presenza che completa il quadro familiare nelle festività... Papà è un estraneo, purtroppo. E non dico che non mi faccia piacere averlo conosciuto. Insomma, è tutto ciò che ho sempre desiderato, ma... Non so se accettarlo così prepotentemente nella nostra vita sia stata una decisione saggia. Forse, sarebbe stato più ragionevole un avvicinamento graduale.» esposi ad alta voce.

«Ma certo, tesoro. Perdonami per non averci pensato prima. Tuo padre si è fatto vivo dal nulla, si doveva nascondere e... Insomma, adesso non so bene come trovargli un'altra sistemazione.»

Consapevolmente crudele, feci un'osservazione piuttosto subdola.

«Questo non è un problema nostro, mamma. Trovarsi una sistemazione provvisoria è la sua specialità, no?»

Lei non mi rispose, ma il suo sguardo mi diede ragione.

Aveva sofferto moltissimo a causa dell'abbandono di mio padre e, temere che ne fossi stata psicologicamente traumatizzata, non aveva fatto altro che peggiorare la situazione.

Alla festicciola che organizzammo in casa per celebrare il compleanno di mia madre parteciparono sia mio padre, a cui ancora non avevamo detto di prendere le distanze e riavvicinarsi piano piano, sia Matthew, che si era occupato di ordinare la torta. Ammisi che era proprio bella: a tre piani concentrici, con diverse sfumature di lilla e viola e tanti fiori colorati come decorazione. I ciuffetti di panna qua e là regalarono alle diverse cromie un equilibrio perfetto.

«Grazie per avermi invitato, Rachel.» si avvicinò Matthew, piuttosto teso.

Mio padre, poco distante, lo fulminò con gli occhi.

Avvertii un certo odore di competitività fra livelli di testosterone, insieme alla sensazione che qualcosa sarebbe andato storto.

«Non mi sembrava il caso di fare bambinate. Che esempio avrei dato a mia figlia?» sorrise mia madre, pacifica.

Matthew mi fece l'occhiolino e annuì.

«Hai ragione. Ed è proprio perché voglio dimostrarti quanto sono maturo che sarò io a tagliarti la fetta di torta.»

Maddie, al mio fianco, mi tirò una gomitata.

«Tagliare una fetta di torta ha un qualche legame con la maturità? Mi sono persa un passaggio logico?» bisbigliò, perplessa.

Ignara a mia volta di quello che intendeva il fidanzato di mia madre, mi limitai a fare spallucce e stare a vedere.

Seguì una scena da film: Matthew ruotò intorno alla torta fino ad individuare la fetta prescelta, la consegnò a mia madre e, dentro, c'era una minuscola scatolina di velluto, ricoperta di pasta di zucchero. Mia madre trattenne il respiro e, quando si voltò, Matthew era in ginocchio davanti a lei.

«Rachel Ward, sei la donna più straordinaria che io conosca. Bellissima, incredibilmente forte e intelligente, dolce, paziente, con un buon senso che supera di gran lunga il mio... Insomma, se ne avessi avuto un po' di più, saremmo già sposati, no? Sei molto più di quello che ho sempre desiderato, molto più di quello che potrei mai desiderare. E io ti amo, per un'infinità di ragioni. Vuoi farmi l'onore di diventare mia moglie?» si dichiarò, con voce carica di emozioni.

Mia madre rimase spiazzata e guardò tutti gli invitati, me compresa. Non aveva la più pallida idea di cosa dire.

Riconobbi quell'espressione da quella volta in cui mi era venuta a prendere a scuola, alle elementari, e la maestra le aveva riferito che avevo spinto un'altra bambina nella terra perché ce l'aveva con Maddie. Così come il momento in cui tenni in ostaggio il cane di un mio compagno di classe alle medie perché aveva fatto la spia durante una delle uniche volte in cui avevo copiato durante un compito in classe. Mi venne da ridere al ricordo della sua faccia disperata, quando arrivò a scuola e per tutta la settimana non vide il suo adorato cucciolo.

La prima volta in cui utilizzai il rossetto rosso e i tacchi ottenni lo stesso risultato. Mia madre impiegò tutta la sera per razionalizzare il fatto che fossi effettivamente cresciuta e che, con gli anni, mi stavo finalmente avviando a diventare una donna.

«I-io... Sì.» rispose infine, sorridendo.

Matthew, che fino a quel momento stava sudando freddo, si alzò in piedi di colpo e la baciò.

Catturai la sconfitta di mio padre con un'analisi rapida ma accurata del suo volto: rigidità eccessiva, narici allargate, sguardo fisso e sprezzante. Poi sbuffò e uscì di casa.

Maddie si unì alla coda che si era formata per offrire le felicitazioni ai futuri sposi, io sorpassai tutti quanti e porsi le mie congratulazioni, avvisando poi che c'era qualcun altro che, in quel momento, poteva avere bisogno di me.

Corsi fuori a cercare mio padre e lo trovai giù per la strada, con la testa china e le mani in tasca, intento in una passeggiata molto lenta.

«Papà! Papà, fermati!» gridai.

Sorpreso, si girò a guardarmi.

«Chloe? Non vuoi rimanere a fare i salti di gioia con tua madre?»

Scossi il capo.

«Ci sarà tutto il tempo di esprimere il mio punto di vista, quando se ne saranno andati gli ospiti.» affermai «E poi, volevo sapere come stessi. Ti ha deluso?»

«Chi, tua madre? No, me lo sarei dovuto aspettare. Ho provato a riavvicinarmi a lei, ma... Sedici anni sono un muro invalicabile, ormai. Anche se mi ha assicurato che vuole perdonarmi, so che sono ancora lontano da quel traguardo. Non vuole impedirmi di essere tuo padre, ma non mi rivuole nella sua vita. Ormai l'ho capito. E mi sono trovato una casetta da affittare in periferia, così... Ecco, credo di dover togliere il disturbo. Quel Matthew non tollererà di certo che io continui a vivere sotto il vostro tetto... E lo capisco, perché anche io la penserei così. Però...» sospirò «Mi sono abituato a vederti ogni giorno, Chloe. Giorni neri, questi, lo so, ma la sola certezza di svegliarmi al mattino e sapere che ti vedrò prima che tu corra a scuola o quando torni al pomeriggio... Mi colma l'anima. Non te lo so spiegare diversamente.»

Mi commossi. Erano giorni neri, sì, ma anche giorni dalle lacrime facili, per me.

Ci scambiammo un abbraccio.

«Mi sono perso così tanto di te... Le tue prime parole, i tuoi primi passi, i tuoi primi giocattoli, i tuoi primi giorni di scuola, le tue prime volte al mare, in gita con gli amici, i compleanni... Tutto per colpa mia e di tua nonna. Il fatto che non ci sia un rimedio a tutto questo mi fa impazzire, te lo assicuro.» confessò mio padre.

«Se c'è una cosa che ho imparato... O, meglio, che una persona mi ha insegnato... È che il tempo è ciò che più abbiamo di prezioso. Ne abbiamo perso molto, è vero, ma ne abbiamo ancora tanto davanti a noi e, se vogliamo attribuirgli un senso, allora dobbiamo smetterla di guardare indietro ed essere grati di esserci ritrovati, di esserci finalmente conosciuti. Nessuno mi restituirà un padre nella mia infanzia, ma da ora in poi sembra che io ne abbia ricevuto uno e non voglio sprecarlo. Conta qualcosa se abitiamo nella stessa casa oppure no? Prometto che ci vedremo ugualmente, magari dando inizio ad una nuova tradizione... Che ne pensi?» sorrisi.

Fu il suo turno di avere gli occhi lucidi, ma non pianse. Si trattenne.

«Penso che tu sia molto matura. Sono orgoglioso di te, figlia mia, e ci sarò sempre per te, costi quel che costi.»

Tornai indietro di alcuni mesi con la memoria e riaffiorarono tutti i momenti in cui mi ero lagnata con Eric della segretezza della nostra relazione, del fatto che non fosse mai rimasto con me per una notte, di tutte le esperienze di coppia che avrei voluto vivere con lui, all'aria aperta. Per poi ritrovarmi a pregare di riviverli, uno ad uno, esattamente com'erano, pur di vederlo un'ultima volta ancora. Perché quando ci comportiamo da bambini viziati ed insistiamo ad avere tutta una serie di esigenze, la vita ci ricorda che è fatta di tempo e che il tempo non ha standard, ha solo una scadenza. E conviene sfruttarlo bene, perché quella scadenza non si trova su alcun sito internet, non è contrattabile ad alcun prezzo e non è dotata di un tasto di riavvolgimento. Prima o poi, tace e basta, come i granelli di sabbia in una clessidra rovesciata.

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Quest'ultima riflessione è forse la mia preferita in tutta la storia. Vi trovate d'accordo?

Baci 💙

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