43 - Learn
Trascorsi tutta la giornata di sabato a fare compiti, studiare, ripassare, rivedere il materiale scaricato sul portatile ed ignorare il cellulare.
All'ora di pranzo, i miei genitori mi informarono che il funerale della nonna era stato fissato per lunedì, nonostante avessero domandato di spostarlo di un giorno per consentirmi di partecipare. Mi fu offerta l'occasione di tornare dalle parti di Boston per salutarla definitivamente martedì e accettai. Avrei saltato la scuola, ma dubitavo di avere totalizzato un numero di ore di assenza preoccupante.
La sera, Eric mi portò a visitare sua nonna Maude, ignara del quadro clinico del nipote. Fui pregata di non dirle mai nulla e di salutarla soltanto, come se fosse stata l'ultima volta. In effetti, fu proprio l'ultima volta, perché sarebbe morta poche ore dopo il nipote.
Eric rimise in moto l'auto e ci fermammo in un parcheggio quasi deserto, dopo c'era molto spazio per fare giri di prova, manovre e parcheggi. Trascorremmo qualcosa come quattro o cinque ore a fare lezioni di guida e, man mano che tornavamo verso casa mia, memorizzai tutta la segnaletica stradale che avevamo incontrato.
«Non possiedo molte cose, sai? Questa macchina, però, è di mia proprietà e intendo lasciartela. Abbine cura, mia dolce Chloe.» mi sorrise Eric, eseguendo un perfetto parcheggio a esse.
«Piangerà perché faccio pena a guidare.» sbuffai.
«Più ti eserciti, più diventi brava. Fidati.» mi fece l'occhiolino lui.
Gli rivolsi un'espressione maliziosa.
«Ah, sì? E funziona solo per la guida o... ?»
Eric intese immediatamente dove volevo andare a parare.
«Direi che il principio può essere esteso a molti campi... Lascia che te lo dimostri.» argomentò, allusivo.
Abbassò il mio sedile per potersi mettere sopra di me e lo spinse indietro a sufficienza per abbassarsi. Con la lingua ci sapeva fare proprio tanto, riconfermai, vivendo una delle esperienze sessuali più appaganti in assoluto. Non urlai giusto perché i miei genitori stavano dormendo, qualche casa più avanti.
Entrai in camera mia che erano le quattro del mattino e mi addormentai col sorriso sul volto. Fu, invece, un bicchiere d'acqua gelida a svegliarmi, la mattina seguente.
«Dove sei stata fino a notte fonda ieri?» domandò mia madre, con le mani sui fianchi.
Mi stropicciai gli occhi e presi coscienza di aver dormito appena cinque ore.
Possibile che non potessi dormire fino a tardi neanche la domenica?
«In un parcheggio. Ho imparato un po' di cose sulla guida.» brontolai.
«Sulla guida, sì. E chi te le ha insegnate, queste cose?» continuò mia madre.
Sospirai, chiudendo gli occhi e girandomi dall'altra parte.
«Eric.»
«Bene. Allora oggi pomeriggio non vedrai i tuoi amici.» decretò mia madre.
Scattai seduta sul letto con l'espressione corrucciata.
«Mamma! Dai, non lo faccio più, tornerò prima... Per favore, fammi andare insieme agli altri.» implorai.
Lei parve rifletterci su.
«Se esci solo quando non hai scuola la mattina dopo e torni comunque prima di mezzanotte, allora abbiamo un accordo. Per oggi, ti tocca cucinare e lavare i piatti a pranzo, se vuoi vedere i tuoi amici più tardi.» propose.
Accettai, naturalmente. Non avevo altre opzioni. Anche se mi scocciava non sfruttare al massimo l'esiguo tempo che avevo a disposizione con Eric, convenni che l'ultimo mese di scuola era decisivo e non potevo permettermi di presentarmi a lezione con le occhiaie e la testa ciondolante sul banco.
Ottenni l'aiuto di mio padre durante il pranzo perché, con tutta onestà, non aveva davvero niente di meglio da fare. Doveva ricostruirsi una vita e non sapeva da dove partire, non avendo lauree ed avendo svolto lavori per l'FBI che nessuna azienda comune avrebbe potuto prendere in considerazione. Per il resto, si era semplicemente nascosto per sedici anni vivendo di espedienti e del patrimonio accumulato con le missioni lunghe e difficili svolte diversi anni prima. Quel patrimonio si era prosciugato, ormai. Oltretutto, non vedevo mia madre particolarmente disposta a perdonarlo per essere semplicemente sparito, quindi immaginai che, presto o tardi, si sarebbe trasferito in un'altra abitazione.
«Domani mattina mi porta Matthew a scuola. Facciamo il nostro solito salto da Buttery per colazione e poi uso tutti gli zuccheri ingeriti per dare il meglio al test.» informai i miei genitori, a tavola.
Mio padre aggrottò la fronte.
«Matthew? E chi è? Pensavo che stessi con un certo Steve... O Eric, non lo so. Devo essermi confuso.»
«No, con Steve ho chiuso. L'abbiamo presa un po' male entrambi, ma è meglio così. Eric è... Il mio ex, diciamo. Gli hanno dato soltanto più qualche settimana e... Mi sembra giusto non lasciarlo solo proprio adesso, ecco.» spiegai, inforcando una succulenta polpetta «E Matthew è il fidanzato della mamma.»
Mia madre mando giù il boccone che stava masticando e bevve un sorso d'acqua, chiaramente a disagio a parlarne.
«È così, Rachel?» domandò mio padre, ferito.
«Non potevi aspettarti che rimanessi qui da sola ad attendere il tuo ritorno in eterno, non credi? Mi chiamo Rachel, appunto, non Penelope. Come vedi, nessun telaio in casa.» replicò mia madre, glaciale.
Il mio sguardo scivolò dall'una all'altro ripetutamente, finché non decisi di prendere in mano la situazione.
«Nessuno è interessato a cosa indosserò al ballo di fine anno?» intervenni, sapendo che era una domanda futile.
L'unico che avrebbe guadagnato qualcosa dal darmi corda era mio padre, perciò ottenni soltanto la sua collaborazione, insieme al silenzio di mia madre.
«Ma certo, tesoro. Ci hai già pensato?»
Annuii.
«Il nonno mi ha pagato un bellissimo vestito rosso con delle scarpe luccicanti e dei gioielli di Tiffany, per evitare qualsiasi possibilità di non riflettere anche solo un microscopico frammento di luce.» sorrisi.
Passai ad un commento tecnico privo di professionalità sul film Colazione da Tiffany e poi mi feci accompagnare a casa di Steve.
«Posso sapere perché avete rotto, tu e Steve?» si ricordò di chiedermi mia madre, prima che scendessi dall'auto.
«Oh... Certo. In parte, perché tengo di più ad Eric. In parte... Perché non riesco a fidarmi. Credo che sia dovuto all'abbandono di papà.» confessai.
Lei non mi rispose, si limitò a darmi un abbraccio forte e un bacio sulla guancia.
«Sei, vero, che io darei qualsiasi cosa per vederti felice? Ti voglio bene più di quanto ne voglia a me stessa.» mi ricordò.
«Anche io, mamma.»
Quando mi recai nel cortile della villa, erano già arrivati tutti.
Steve aveva fatto sistemare tre divanetti da esterno e due poltroncine, sempre da esterno, con un tavolo al centro pieno di dolcetti, frutta, caffè, spremuta d'arancia e salatini.
Trascorremmo metà del tempo a ridere.
Steve imitò gli insegnanti, Peter assunse il ruolo di controparte con le osservazioni da precisino ed Elizabeth fece la parodia degli sportivi della scuola, in particolare della squadra di football e del loro capitano... Lì presente a sbellicarsi dalle risate.
Fu proprio Thomas a richiamare l'attenzione di tutti e prendere in mano un biscotto, per poi inginocchiarsi ai piedi di Elizabeth.
«Vossignoria eccellentissima, mi aggradereste con la Vostra presenza al mio fianco durante il ballo di fine anno?» domandò, talmente cortese da sfociare nel teatrale.
Elizabeth finse di pensarci su.
«E me lo chiedete con questo misero biscotto agli agrumi, sir?» recitò, schizzinosa.
Thomas non esitò a cambiare offerta e scelse l'ultima crostatina alla crema pasticcera con frutti di bosco sopra. Le porse il dolce con un inchino profondo.
«Vogliate perdonate la mia caduta di stile, Magnificenza. Accettereste, invece, questo nuovo dono associato alla medesima richiesta?» ritentò.
La mia amica eseguì un lento giro in tondo attorno al suo futuro cavaliere ed assunse delle smorfie esagerate, che fecero ridere persino il serissimo Peter.
Maddie si lamentò che la stava tirando troppo per le lunghe.
«E va bene. Acconsento alla vostra umile richiesta. Non me ne facciate pentire... Sir.» affermò infine colei che era stata trattata come una regina, con originale maestria.
Thomas tirò un sospiro di sollievo e gioì, rivolgendo il più luminoso dei suoi sorrisi alla ragazza che aveva deciso con tutto se stesso di conquistare.
Battei le mani per il gradito spettacolo e lanciai un'occhiata eloquente a Maddie, facendole intendere che toccava a lei farsi richiedere per il ballo.
«Peter,» chiamai, applicando nuovamente la strategia della domanda diretta «e tu chi pensi di portare al ballo?»
Nonostante fossimo all'aria aperta, tutti trattennero il fiato nel momento in cui Peter realizzò di essere stato messo alle strette.
Si grattò la nuca.
«Ecco, io so già a chi chiederlo. Non lo farò pubblicamente, però. Quando riuscirò a isolarla...»
«Come se non avessi mai passato del tempo da solo con lei!» sbottò Maddie «Non ti è mai venuto in mente di accennarglielo quando la sua migliore amica sparisce per motivi improvvisi e di primaria importanza?»
Mi sentii chiamata in causa, ma non mi offesi perché non ne avevo alcun diritto. E poi, la discussione non verteva su di me.
Peter mantenne il solito, freddo distacco.
«No. Devo essere un po' lento di comprendonio.» si giustificò, palesemente sarcastico.
«Se parli di comprendere i sentimenti, non ti sbagli affatto. Fidati di un'esperta.» replicò Maddie, arrabbiata.
Calò un silenzio imbarazzante, che nessuno pareva avere il coraggio di rompere.
Thomas rubò una pizzetta dal tavolo, Elizabeth adocchiò un pasticcino alla panna, Steve stesso si servì da bere.
«Bene, da quale capitolo vogliamo riprendere, signore e signori?» presi in mano la situazione.
Peter, finalmente a suo agio, assunse il suo tipico piglio critico.
«Dal primo. Non vedi che fino adesso abbiamo solo mangiato, bevuto e riso come degli allocchi? Domani ci giochiamo una partita importante.»
Maddie si alzò e se ne andò, esattamente come quel giorno in cui rimproverai Peter di non essere stato abbastanza delicato.
Quella volta, imparai a tacere e seguii la mia migliore amica, intimando agli altri di andare avanti lo stesso.
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Intelligenza emotiva: ne avete un livello alto?
Baci 💙
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