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41 - Goodnight

«Sembra che... Dalla pallottola di sabato notte, qualcosa sia andato storto. Non erano pallottole normali. Il mio sangue non l'ha presa bene, ecco.» confessò Eric.

Ero rimasta immobile, insensibile al fresco della notte, al vento che mi scompigliava i capelli, alla luce fioca di quella parte esterna della città. Avevo una consapevolezza sorda del mondo che mi circondava. Respiravo per inerzia, lacrimavo senza controllo e tiravo su col naso di conseguenza, ma niente avrebbe cancellato quella sensazione tremenda che stavo provando di essere in caduta libera, senza nessuno là sotto pronto a prendermi.

Avevo temuto per tutta la vita che le persone a cui mi sarei affezionata mi avrebbero abbandonata. Ero stata restìa a legarmi davvero a qualcuno proprio per quel motivo, perché non ne avrei sopportato l'assenza. E quell'incubo stava diventando realtà.

Non mi interessava quale pallottola avessero scelto quei criminali, chi li avesse mandati o come aveva reagito il sangue di Eric. Mi interessava soltanto avere vendetta.

Il mondo aveva visto mia nonna all'opera, consumata da tutti i suoi obiettivi, presa dal tenere le redini della propria vita anche in una realtà che, da giovane, aveva imposto alle donne di stare al proprio posto, zitte e immobili, esaurita dai piani di controllo del regno che si era creata da sola. Stava per arrivare il mio turno e no, non sarei stata affatto clemente.

Cambiai idea tutto d'un tratto. Volevo studiare legge. Avrei setacciato il globo terreste per intero e avrei ficcato in una prigione sudicia e stretta quei relitti umani. Li avrei tormentati fino alla morte. Finché il loro sangue non avesse lavato quello di Eric, ora in lenta agonia.

«Quanto...» cominciai, con la voce spezzata, ma non riuscii a continuare.

«Quanto mi resta?» indovinò lui.

Annuii, continuando a piangere.

«Settimane. Un mese al massimo.» sospirò «Vado ogni giorno in ospedale a farmi iniettare una sostanza che rallenta il mio destino, ma non lo può modificare.»

Mi asciugai le guance e appoggiai il capo al suo petto solido, dimenticandomi per un istante di tutto quanto. Volevo intrappolare nella mia memoria dei ricordi felici, gli unici che mi avrebbero trattenuta dall'andare a sparare un colpo in testa ai criminali, dandomi così un motivo per rallentare, accoccolarmi in quei momenti passati e riflettere con calma sulla vendetta più crudele nei limiti della giustizia.

«Sappi che io ti vendicherò, amore mio. Troverò i loro nomi, chi li ha mandati e chi li ha riforniti. Moriranno tutti con una lentezza che farà sperare loro di non essere mai nati. Marciranno, per averti fatto questo. Sappilo.» affermai, risentita.

Eric mi sorrise e tornò a fissare un punto indefinito dinanzi a sé.

«Odio e vendetta ti logorano dentro, Chloe. Trai insegnamento da tua nonna: sarebbe vissuta almeno dieci anni in più, se non si fosse data tanto da fare per rendere la vita impossibile a chiunque. Trasforma tutta questa rabbia e, soprattutto, quella che verrà, in arte. Se ti piace la fotografia, comprati un milione di rullini e usali tutti, a manetta, per poi diventare la fotografa più premiata del mondo. Se vuoi provare a dipingere, organizzati uno spazio da utilizzare per le tue creazioni e diventa l'artista che chiunque vorrà ingaggiare. Se vuoi fare carriera nel giornalismo, leggi tutti i giornali e tutti gli articoli di interesse degli ultimi... Cento anni? E sii la mastina che tutti vorranno mandare a redigere un articolo decisivo. Conquista la dirigenza, siediti sulla tua poltrona di pelle e non temere più nessuno. Solo così dimostrerai loro che hanno provato a buttarti giù e non ce l'hanno fatta, anzi, sei spiccata talmente in alto che dovresti ringraziarli per averti procurato tanta sofferenza.»

Nonostante sapessi che il tempo scorreva rapido e non ce n'era da perdere, non mi parve il momento giusto per i discorsi ragionevoli, sensati e pacifici. La mia vena vendicativa voleva soltanto imbracciare un fucile e bucare la testa a quei farabutti.

«Io non voglio che tu finisca dietro le sbarre per un errore da ragazzina arrabbiata. La vita è ingiusta e lo sappiamo, lo sapevamo anche prima. Sii la donna matura che reagisce, raccoglie i propri pezzi e si rimette in piedi, più bella e più forte di prima. Cosa pensi che possa scalfirti, dopo tutto quello che hai passato e stai passando?» continuò Eric.

Aveva ragione. Non era mai stato un mistero che la vita gestisse i cittadini del mondo con un senso dell'ironia molto raffinato, beffandoli e maltrattandoli allo sfinimento. Quando toccava a noi, però, la nostra piccola personcina permalosa e attaccata alle proprie cose, l'ego veniva ferito e, quando sanguinava lui, era capace di offuscarci il cervello, renderci sordi alla ragione proveniente da fuori, ciechi di fronte al dolore che avremmo provocato agli altri. Egoisti, ecco che cosa eravamo noi esseri umani. Luridi egoisti che si lasciavano trascinare da quello che aveva intaccato la loro piccola ed insignificante realtà, incuranti di come le nostre azioni avrebbero influito sugli altri.

Riconobbi di essere un'egoista fino al midollo anche io, pensando soltanto a quello che provavo per Eric e non preoccupandomi minimamente di come si sarebbe potuto sentire Steve, che era ancora in attesa di una risposta ad una lettera d'amore di cui non avrei meritato neanche la carta riciclata.

Stupida ragazzina egoista, egocentrica, insensibile e ingrata. Ero letteralmente sparita e i miei amici mi avevano riaccolta a braccia aperte, dopo aver rischiato la pelle per salvarmi. Non li avevo neanche ringraziati. Mi sentii improvvisamente così male che pensai di farmi tirare sotto dalla prima auto che sarebbe passata. Non passò nessuno.

Cercai di ascoltare Eric e di farlo veramente.

Ero stata messa in pericolo da una donna che non avrebbe mai voluto mettermi in mezzo, ma mi aveva inflitto un grande dolore, indirettamente, per tutta la vita. Aveva arruolato delle persone che stavano uccidendo il ragazzo che amavo. E poi era morta, colei che aveva dato inizio a tutto quel caos. E sarebbe morto anche colui che mi aveva protetta fino all'ultimo con tutte le proprie forze, con tutto il proprio cuore.

Non contrattai sul desiderio di fare giustizia, mi sarei assicurata che quei pezzenti fossero finiti in carcere a tutti i costi. Mi lasciai convincere, invece, a crescere e trasformare la mia esperienza in qualcosa che avrebbe fatto parte di me come forza e non come debolezza. Avrei fotografato Eric finché le mie dita non avessero minacciato di staccarsi e l'avrei tenuto per sempre con me, anche dopo il tragico evento che mi aveva prospettato.

«Mi prometti una cosa?»

Voltai il capo per guardarlo negli occhi. Profondi, dalla forma regolare e dalle ciglia molto lunghe. Mi sarei assicurata di farci un primo piano da brivido.

«Che cosa?» lo assecondai.

«Promettimi che al mio funerale dirai che cosa hai imparato da me e da tutto questo. Cogli l'occasione per metabolizzare, rendere utile tutto quello dolore che sembra non avere un senso. E, naturalmente, piangimi. Altrimenti, come potrei sapere che mi ami davvero?» ridacchiò lui.

Annuii, cominciando a piangere di commozione.

«Non ho bisogno di una promessa per piangere, ma ti posso promettere che farò del mio meglio per uscirne vincitrice. E ti amo, Dio solo sa quanto ti amo. Te lo racconterà Lui stesso, quando verrai accolto in Paradiso.» sorrisi, con le guance umide.

«Credi nel Paradiso?» si incuriosì Eric.

«Mi piace pensare ad un aldilà felice e spensierato come lo racconta il cattolicesimo, con un Dio buono e magnanimo. So che non è reale e che non saprò mai che cosa succede veramente quando si muore, ma voglio pensarti in un posto dove non potrai sentire la mia mancanza, tanto sarai allegro e gioioso.» risposi, raccontando una delle mie illusioni che mi ero creata per non darmi il tormento.

Ci scambiammo ancora un bacio, lungo ed intenso, che racchiudeva perfettamente i nostri sentimenti.

Mentre mi riaccompagnava a casa, gli rivolsi un'ultima domanda.

«Secondo te cosa dovrei fare con Steve?»

Eric mi osservò per un tempo indefinito, con una meraviglia negli occhi che faticai a credere derivasse dalla mia immagine. La luna gli illuminava al viso e mi regalò l'ispirazione per una delle tante fotografie che avrei voluto scattargli. Il candore che rifletteva la sua pelle, i riflessi chiari dei suoi capelli scuri, le iridi dall'aspetto magico, le labbra perfettamente definite... Mi sarebbe piaciuto catturare tutto quanto, con la precisione di un cecchino.

«Lascialo, Chloe. Non ti accontentare di una storia scialba, aspetta di incontrare qualcuno che ti faccia battere il cuore veramente. Prenditi del tempo per te stessa, ricostruisciti, amati. E, al momento giusto, riapri il tuo cuore.» mi consigliò, dolce ma determinato.

Forse aveva ragione. Avevo solo sedici anni, avrei perso il primo amore della mia vita e avevo riacquistato mio padre: c'era tempo per innamorarsi ancora, no?

Mi avvicinai per ricevere un ultimo bacio.

«Buonanotte.» sussurrai.

«Buonanotte, amore mio.»

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Eric ci sta abbandonando... Vi ho rivoluzionato il finale? Mancano ancora 9 capitoli!

Baci 💙

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