28 - Risk
Mi sentivo nel bel mezzo di un film thriller, ma con la metà del coraggio dei personaggi che, solitamente, affrontavano i misteri e ne uscivano senza un graffio. Avevo paura di aver messo Elizabeth in serio pericolo, temevo che Steve mi avesse mentito fin dall'inizio e avesse progettato la mia rovina professando un amore che in realtà non provava, ero terrorizzata all'idea che succedesse qualcosa a Maddie e mi ronzava in testa un'infinità di domande su Eric, mio padre, il mio passato e chiunque vi avesse preso parte.
Tentai di fare dei respiri profondi, di ripetermi che potevo farcela e che, se non fossi riuscita nel mio compito, avrei fatto fallire anche gli altri e non era un lusso che potevo permettermi.
Ammirai la spavalderia di Elizabeth, che mi era sembrata così timida e scostante finché non aveva preso a cuore i miei interessi e aveva accettato di rischiare tutto per me. Sprigionava una forza da cui avrei tanto voluto prendere ispirazione. E mi resi conto che avevo svalutato Thomas per un lasso di tempo così lungo che non mi ero neanche data la pena di chiedermi se, dietro i muscoli e le battutine da bulletto, ci fosse dell'altro. Mi ritrovai a dovergli la vita.
Smisi di pormi domande e passai all'azione, creando una cheerleader personale dentro di me, del tutto immaginaria ma altrettanto fondamentale per generare il coraggio necessario a non svenire per la paura che stavo provando. Ad un certo punto, fu quasi come se persino le ossa mi stessero tremando.
Mi focalizzai sulle mie mansioni: ottenere le chiavi della macchina di Peter e, dopo aver annunciato la fine della festa, rinchiudermici dentro in paziente attesa.
Quella incaricata di parlare con Peter era, però, Elizabeth. Lasciai che Thomas lo separasse da Steve, portandolo in un'altra stanza della cascina, quindi la mia amica attirò Peter verso il bagno dove eravamo rimasti nascosti tutti quanti fino a poco prima. Il tempo scarseggiava, perciò pregai che tutto andasse come doveva.
«E perché vorresti le chiavi della mia macchina?» udii Peter domandare.
Sempre così fastidiosamente puntiglioso... L'avrei voluto strozzare, dopo la piega che aveva cominciato a prendere quella serata.
«Riguarda il piano di cui ti ho appena raccontato. È di fondamentale importanza che tu mi dia le chiavi, così Chloe può nascondersi nella tua macchina e, quando tutto questo sarà finito, potrai riportare a casa sia lei sia Maddie.» spiegò velocemente Elizabeth.
Peter rimase di stucco di fronte ad ogni sottigliezza cui avevamo pensato e suggerì ad Elizabeth di essere molto convincente quando si sarebbe finta me. Sottolineò che la differenza principale consisteva nel colore di capelli diametralmente diverso, di cui loro non conoscevano la tonalità precisa ma l'idea che si erano fatti era di un castano in ogni caso.
«Mai sentito parlare di tinte? Certo, se ne sapessero qualcosa, si accorgerebbero che ci vogliono mesi per portare un castano quasi nero ad un biondo come il mio, ma voi uomini non vi ponete questo tipo di problemi.» replicò Elizabeth, giocando nuovamente d'astuzia.
«Certo, tu sai bene come manipolarci. L'ho visto perfettamente, prima.» commentò Peter, acido.
Cedette comunque sulle chiavi, che mi vennero passate in gran segreto, e io attesi che fossero usciti per completare il mio lavoro, mettendo al corrente la massa di studenti mezzi ubriachi che la festa era finita. Non obiettarono in molti e questo mi rese più semplice amalgamarmi nella folla, sgattaiolando via nel buio della notte.
Indecisa su quale fosse l'auto di Peter fra due vicine, sfruttai la chiave per seguire le luci, ma rischiai di salire su quella di Austin McHill. Non totalmente presente con la testa, cercò di obiettare ma non riuscì neanche ad articolare una parola, perciò lo lasciai perdere e salii sull'auto giusta. Mi nascosi nei sedili posteriori, coprendo il luccichio dell'abito con la giacca il più possibile.
Cominciò un'attesa straziante.
Rischiai persino di addormentarmi, finché qualcuno non batté insistentemente contro i vetri della macchina. Dovevo essermi chiusa dentro per sicurezza.
Inquadrato Peter con la mia migliore amica abbracciata a lui, sbloccai l'auto e gli consegnai le chiavi.
«Allora? Com'è andata?» domandai, ansiosa.
«Elizabeth è stata incredibile... Dico sul serio, avrei voluto essere uno spettatore e non un fuggitivo soltanto per guardare la destrezza con cui si muoveva. Tempo che ha cominciato a scappare, però, uno dei rapitori è riuscito ad estrarre un coltello nascosto e lanciarglielo dietro.» raccontò Peter, mettendo in moto.
«Oh, mio Dio. Dimmi che nessuno si è fatto male. Ti prego.» implorai.
«Eric l'ha spostata in tempo, per farsi ferire una spalla al posto suo.»
Emisi un sospiro che era per metà di sollievo e per metà di spavento.
Mi augurai che non si trattasse di una ferita grave, che fossero riusciti a fuggire e che tutti fossero in salvo.
Provai a richiamare il numero che mi aveva messa in contatto con Eric quella stessa sera, ma figurò come inesistente. Sprofondai nel sedile e cercai di rimanere sveglia soltanto finché non fossi entrata in casa mia.
L'auto si fermò finalmente al mio indirizzo.
«Mi dispiace, Peter. Doveva essere una festa memorabile e...»
«Lo è stata. Nessuno se ne dimenticherà facilmente.» mi interruppe lui.
Sospirai e crollai in un pianto nervoso.
«Non volevo, va bene? Ho creato un'immensità di casini in questo periodo e, se puoi, credimi, ma non l'ho fatto intenzionalmente. E ho cercato ogni modo per non mettere a repentaglio chiunque mi voglia bene.» singhiozzai.
«Fallendo miseramente.» continuò lui «Hai idea di cosa voglia dire guardare in faccia una persona importante e non poter fare niente, assolutamente niente, per aiutarla? Se non consegnare la sua migliore amica. Ma con quale coraggio mi avrebbe guardato in faccia, poi? Avrei perso ogni occasione, più di quanto io abbia già fatto da solo in questi anni.»
Raccolsi le mie cose, la mia dignità e le mie lacrime. E tirai su col naso.
«Dille che la ami o la perderai comunque. Non attribuirmi colpe che non ho, perché quelle che ho mi pesano già abbastanza, Peter. Buonanotte.»
«Buonanotte.» mi rimandò lui, come di riflesso.
A giudicare dal profondo sospiro cui si abbandonò quando chiusi la portiera, il suo sfogo era stato solamente un modo crudele o poco lucido di elaborare i terrificanti eventi della serata, scaricando sul soggetto più semplice da incolpare ogni causa dello stress provato.
Rimase comunque immobile finché non mi vide entrare e chiudermi la porta alle spalle, vittima soltanto del silenzio tombale della casa.
La prima cosa che feci fu sfilarmi le scarpe, perché avrebbero provocato soltanto rumore, e salii le scale in punta di piedi. Mi svestii, indossai il pigiama e mi recai in bagno per struccarmi e ristabilire un po' di ordine. Erano le cinque del mattino e stavo collassando come mai nella mia vita.
Quando rientrai in camera mia, ormai pronta per dormire, ricevetti un messaggio da un numero sconosciuto.
Elizabeth sta bene, Thomas ha mandato Steve al tappeto per poi lasciarlo in custodia ad un giocatore di football, io sono al pronto soccorso per farmi fasciare la spalla; passerò da te fra un'ora al massimo
Imprecai sommessamente. Non potevo di certo concedermi il lusso di addormentarmi, quindi mi infilai una felpa leggera e scesi in cucina a prepararmi una tisana. Per tenermi sveglia, avrei potuto optare per il caffè, ma non volevo rischiare di agitarmi ancora e tremare più di quanto non avessi già fatto quella notte.
Era stata una folle corsa contro il tempo, contro la logica e contro il mio passato. Una corsa che non aveva risparmiato nessuna delle persone a cui tenevo. Mia madre sapeva? Mi aveva tenuta volontariamente all'oscuro dell'esistenza certa di mio padre e dei motivi per cui, a causa della sua segretezza, avevano cercato di arrivare a me e di sfruttare i miei amici?
La mia testa sarebbe esplosa, presto o tardi, se non avessi ricevuto delle risposte alle mie domande.
Eric mi scrisse dieci minuti dopo, sempre con il numero sconosciuto, che era fuori dalla porta di casa mia. Mi feci forza e andai ad aprire.
«Hai controllato lo spioncino?» mi chiese come prima cosa.
Gli rivolsi uno sguardo piatto.
«So di averti appena scritto e che sei troppo stanca per farlo, ma presta attenzione ad ogni minima cosa, Chloe. Le persone che volevano rapirti non si sono fatte scrupoli ad usare i tuoi amici e a minacciare di fare loro del male. L'avrebbero fatto, non vivono certo di rimorsi. Tu, però, ti devi salvaguardare.» insistette.
«D'accordo, prometto che farò più attenzione.» asserii.
Lo invitai in cucina per non subire le tentazioni che offriva la mia camera da letto e lui si servì autonomamente di un po' di tisana.
«Spero non ti dispiaccia.» mi sorrise.
«Oh, sarebbe l'ultima cosa di cui mi dovrei dispiacere. Lo sai bene.» sbuffai.
Annuì e si sedette.
«Quando avrai l'SAT?» domandò.
«La settimana prossima.» alzai gli occhi al cielo «Perché?»
«Perché ti conviene prenderti una piccola vacanza da questa città, studiare per il test e tornare in tempo per ottenere risultati brillanti. La sua momentanea assenza metterà alla prova i rapinatori.» congetturò lui.
Scossi il capo.
«Non credo che sia la soluzione... E poi, le uniche persone che conosco all'infuori di questa città sono i miei nonni.»
«Perfetto. È l'occasione ideale per stringere un rapporto sano e duraturo con loro. Da quel che ricordo, non vi siete incrociati molto nel corso della vostra esistenza.»
Assunsi una smorfia discordante e mandai giù un sorso di tisana.
«Invece ho legato molto con mio nonno, ultimamente.»
«Meglio ancora.» proseguì Eric.
Bevve la sua tisana e mangiò anche qualche biscotto, quindi continuò ad osservarmi.
«Nessuna domanda?» si stupì.
«Talmente tante che non so da quale iniziare. Anzi, forse un'idea ce l'ho: tu chi sei, veramente?»
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Che dire, amici, esponete le vostre congetture più strambe ed improbabili. Eric vi sorprenderà.
Baci 💙
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