19 - Candles
Il mio ordine da Starbucks era talmente dolce e zuccheroso che rischiai di sentirmi male a consumarlo tutto, ma ero troppo stressata per focalizzarmi sulle calorie che stavo ingerendo. Matthew rimase fedele al suo frappuccino e attese pazientemente che cominciassi il discorso.
«Quindi... Devo dedurre che tu e Steve abbiate litigato o...?» chiese infine, stanco di essere tenuto sulle spine.
«Mamma ti ha raccontato tutto, vero?»
Ricevetti una piena conferma, ma non ne rimasi sorpresa. Ero l'unica figlia di mia madre, l'unica persona che abitava con lei e la ragione per cui sopportava le angherie delle sue colleghe e le pressioni della nonna. Di chi altro avrebbe dovuto parlare?
«Ecco, allora forse non ti ha raccontato che Eric è tornato in città e mi ha chiesto di vederci. Vuole finalmente mostrarmi qualcosa di personale e farmi capire che tiene davvero a me... Anche se non ha preso bene il mio risvolto con Steve. Se si mettesse nei miei panni, però, potrebbe capire quanto ero risentita per la sua improvvisa sparizione e giustificare quello che ho fatto.» spiegai.
Matthew aggrottò la fronte.
«Posso sapere perché è sparito all'improvviso? Non ha alcun diritto di giudicarti per essere passata a qualcuno di presente e leale.» ragionò.
Sospirai.
«Non lo so, mi promette delle spiegazioni dal momento in cui ci siamo conosciuti e non ne ho mai avuta mezza. Adesso, però, è come se mi stesse chiedendo una seconda occasione... E io non so che cosa fare, perché non voglio deludere Steve.»
«Steve si è comportato molto meglio di Eric, da quel ho capito.» riassunse Matthew.
Annuii, senza tuttavia trovare conforto in ciò.
«Ma tu hai voglia di combinare casini e andare dietro ad Eric...» continuò lui.
«Io lo amo. E lui ama me. Che importanza ha il resto?» sbottai.
Mi rivolse uno sguardo preoccupato che non seppi come interpretare.
Ero convinta che parlarne con Matthew mi avrebbe aiutata, ma non ottenni altro che frustrazione aggiuntiva.
«Secondo te sto delirando. D'accordo, sembra un gioco detta così, ma è molto complicato dare retta al cuore senza fare a pugni col cervello, va bene?»
«No, Chloe, non stai delirando. Io, però, in quanto adulto con un'esperienza maggiore alle spalle, ti consiglio di seguire il cervello. Delle decisioni fatte col cuore ci si pente, più in là nella vita.» rispose il fidanzato di mia madre, con una sfumatura grigia nella voce.
Qualcosa nei suoi occhi umidi, di un verde che ricordava gli aghi di pino su cui giacevano lacrime di rugiada, non mi convinse affatto. Era delle decisioni fatte senza consultare il cuore che ci si pentiva, a volte in eterno. Nessun uomo avrebbe condizionato le ferree lezioni impartitemi dalla cultura letteraria e cinematografica a tema rosa. Avevo visto con i miei occhi quanto fosse deleterio non dare retta ai propri sentimenti.
«Tua madre ha preso decisioni affrettate, circa alla tua età. Non c'è giorno che non si penta di non averti garantito un padre.» aggiunse poi Matthew, per consolidare la propria tesi.
Inspirai a fondo, convinta che avevamo sviscerato in profondità sufficiente l'argomento, e trattenni un pianto degno delle cascate del Niagara. Avevo la sensazione che sarebbe stata una serata triste, quella.
«Mi porti a casa?» domandai.
«Sicura? Hai deciso di non continuare con quel ragazzo... Eric?» si accertò lui.
Mi chiesi perché gli premesse tanto che non lo frequentassi. Perché tutti sembravano odiarlo? Ispirava diffidenza a tutti tranne che a me?
Certo, i miei sentimenti nei suoi confronti potevano rendermi un minimo cieca, ma tutta quella negatività mi rese nervosa.
«Andiamo.» ripetei, evitando di rispondere veramente.
Quello che facevo con Eric era affar mio soltanto e mi rammaricai di aver reso Matthew partecipe. Salutai freddamente quando raggiungemmo il mio indirizzo ed entrai in casa con un'adrenalina insolita in corpo.
Ero stufa di essere giudicata, di essere consigliata, di essere pressata. Volevo perseguire i miei obiettivi, ascoltare le mie ragioni, i miei sentimenti. Tutti gli altri potevano stare in silenzio e guardarmi fare quello che mi pareva, oppure girarsi e non interferire ugualmente.
Mi cambiai, mi diedi una rinfrescata, sistemai il trucco e restituii disciplina ai miei capelli. Una spuntatina sarebbe stata l'ideale, pensandoci... Mi ripromisi di chiedere a mia madre di fissarmi un appuntamento dalla parrucchiera nel breve termine.
Ero pronta a chiamare un taxi per raggiungere l'indirizzo lasciatomi da Eric, ma poco prima delle sei un'auto parcheggiò davanti a casa mia. Fu proprio Eric ad abbassare il finestrino e farmi un cenno.
«Vi siete avventurato fin qui, Sir White?» feci, scherzosa.
«Qualsiasi cosa, pur di servire la mia lady...» resse il gioco.
Salii in macchina e prestai attenzione al suo modo di guidare, che trasmetteva abitudine e sicurezza. Registrai i movimenti delle sue mani, il modo in cui gestiva il cambio senza quasi pensarci.
«Interessanti le mie abilità da autista?» domandò lui, dopo un po'.
«Sai bene che devo ancora prendere la patente. Mi piace la tua naturalezza... È come se guidassi da sempre.» commentai.
«Con gli anni, ci si perfeziona, si acquista sicurezza.»
«Anni? Hai la patente da appena un anno.» osservai, contrariata.
«Sì, sì... Mi sembra molto di più, dato che guido sempre.» si corresse.
Qualcosa non mi convinse.
«Sempre? Dove vai sempre?» indagai.
«Chloe, vogliamo davvero cominciare questa discussione? So che non ti fidi di me, ma sto cercando di dimostrarti che merito una seconda possibilità. Credi che porti chiunque a conoscere mia nonna?»
Evitai di controbattere, ma avrei voluto sottolineare che gli sforzi, da soli, non bastavano. In una relazione c'era bisogno di prove concrete che dimostrassero sentimenti e buone intenzioni.
Mi chiesi se non avessi sbagliato a concedergli quell'opportunità. Forse, Matthew aveva ragione. Avrei dovuto dedicarmi totalmente a Steve e dimenticare Eric, anche se lo amavo e il mio cuore sapeva di essere amato da lui.
Parcheggiammo al di fuori di una clinica privata, isolata rispetto alla città e in direzione New York, ma ancora ben distante dalla metropoli.
«L'indirizzo che mi hai dato...» cominciai ad obiettare.
«Era falso. Non potevo dirti che mia nonna, l'unica parente che mi è rimasta al mondo, è ricoverata per grave insufficienza renale e voleva conoscere colei che è riuscita a rendermi felice nel momento più critico della mia vita. Non senza avere un momento solo per noi.»
Rimasi a bocca aperta. Non mi sarei mai aspettata di ricevere una notizia tanto brutta così, senza alcuna preparazione psicologica.
«È tanto anziana?» domandai, sinceramente preoccupata.
«Oggi spegne ottantaquattro candeline. Ci tenevo a farle una sorpresa.» sorrise Eric, incurvando dolcemente le labbra al pensiero.
Fui commossa. Improvvisamente, mi sentii importante e cancellai i pensieri negativi nei suoi confronti. Mi ero sbagliata sicuramente, illudendomi che Eric non meritasse una seconda possibilità, quando invece ero io quella da giudicare.
Ero stata scettica, dura e superficiale. Non mi era neanche passato per la mente l'idea che, quando mi diceva di non potermi dare spiegazioni, non dipendesse davvero da lui. Ero abituata a credere che l'amore vincesse qualsiasi cosa, che niente potesse fermarlo e che, se non sembrava che l'altro lottasse con tutte le proprie forze, probabilmente era perché non aveva alcuna intenzione di costruire un rapporto solido e duraturo.
Invece mi dovevo ricredere. La vita poneva condizioni con cui era difficile avere a che fare, scelte che costringevano a sacrificare qualcosa a cui si teneva per non rinunciare ad un bene più grande e più importante, sembianze che, spesso e volentieri, mentivano spudoratamente. Capii cosa voleva dire "guardare con il cuore" e mi resi conto dell'importanza che aveva imparare a farlo. Per quanto mi riguardava, ero sicura di non esserci ancora riuscita.
«È molto dolce da parte tua, Eric. Sono onorata di conoscere tua nonna.» mormorai infine.
Lasciai che mi guidasse all'interno della clinica, dove sembrava essere conosciuto. Sapeva esattamente dove andare e con chi parlare, perciò immaginai che fosse quello il posto in cui tante volte era dovuto andare per cause di forza maggiore, sfuggendo alle mie patetiche richieste di attenzioni da ragazzina immatura. Se solo mi avesse resa partecipe del fardello che si portava appresso... Avrei condiviso volentieri il dolore con lui.
Maude White ci accolse placidamente intenta a lavorare a maglia. Ai piedi del letto giaceva un cestino con dei gomitoli di lana e quello che stava utilizzando in quel momento era di uno splendido color indaco. Mi presentai, le feci gli auguri di buon compleanno insieme ad Eric e le chiesi che cosa stesse fabbricando con le proprie mani, ormai vecchie e stanche, cosparse sul dorso di macchie scure. Lei alzò gli occhi sul nipote e confessò che stava confezionando l'ultimo regalo che sarebbe stata capace di fargli, qualcosa di materiale che gli sarebbe potuto rimanere come ricordo. Eric si sforzò di non commuoversi, dopodiché parve ricordarsi di qualcosa di primaria importanza.
«Nonna, vado a prendere il tortino. I dottori mi hanno assicurato che puoi assaggiarlo, ho già pensato a tutto io.» esclamò.
Sorpresa, mi voltai a guardarlo.
«Tu puoi restare, Chloe. Sono sicuro che mia nonna vorrà avere due minuti da sola con te.» mi fece l'occhiolino.
Alzai le mani in segno di resa e presi posto sulla sedia accanto al letto.
La nuvola di capelli bianchi conferiva a Maude un'aria di serenità che contrastava con l'espressione rugosa e sofferente che aveva in volto. Doveva essere stata molto attraente da giovane, pensai, osservando attentamente i suoi lineamenti e cercando di riportarli con l'immaginazione ad un tempo in cui erano orientati in maniera più tirata ed elastica.
Mi sorrise, come se avesse atteso di conoscermi da molto tempo.
«Sei così bella... Mio nipote non ti ha reso giustizia. Tu hai un posto speciale nel suo cuore e lui ha sofferto tanto, è sempre stato parecchio solo... Grazie per avergli donato un po' di gioia quando io non ne sono stata più capace. Ho speso gli ultimi anni della mia vita a preoccuparmi di lasciarlo completamente solo al mondo. Promettimi che questo non accadrà. Che quando io me ne andrò, rimarrai al suo fianco, perché da solo non ce la farebbe. Dice di sapersela cavare, ma... Mia cara, noi siamo donne. Sappiamo bene che nessun uomo sarebbe felice senza una di noi al suo fianco.» argomentò.
Nonostante la difficoltà a scandire le parole con precisione, Maude fece un grande sforzo per elaborare un discorso di rilievo e apprezzai fortemente le sue parole.
«Io non posso fare promesse che non sono sicura di poter mantenere. Quello che posso fare è assicurarle che i miei sentimenti verso Eric sono sinceri e che, se eviterà di sparire e mentire in continuazione per coprire dei segreti che non mi può rivelare, io non vorrò fare altro che rimanere al suo fianco.»
Maude annuì.
«Mio marito partì per il fronte tantissimi anni fa. Non ho mai scoperto che fine abbia fatto, chi avesse intorno, chi fosse il colpevole o se abbia pronunciato il mio nome prima di morire. So solo che, quando esalò il suo ultimo respiro, fu come se lo avesse sottratto a me e l'avessimo espirato insieme. Seppi che non sarebbe mai più tornato da me mesi prima di ricevere la lettera di dispersione. Nessun altro ha mai più bussato alle porte del mio cuore. Mi sono presa cura di mio figlio e, quando mi ha abbandonata anche lui...» si fermò per singhiozzare «Capisci perché Eric è così importante per me? La sua felicità viene prima di tutto. E non sta attraversando un momento facile. Restagli vicino, Chloe. Prenditi cura di tutto ciò che resta di mio marito e di mio figlio su questo pianeta... Lui è tutta la mia vita.»
Eric tornò proprio in quel momento, tutto entusiasta.
Maude si asciugò il viso e mi lanciò uno sguardo significativo, poi spense le candeline. E, con esse, diede vita al proprio desiderio più recondito.
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Eric non ha avuto vita facile, ora lo sappiamo. C'è ancora molto da scoprire, tuttavia, prima di giudicarlo ulteriormente.
Vi ha sciolte un po' l'amore di nonna Maude?
Baci 💙
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