13 - Opposites
Cara Chloe,
ho ricevuto con molto piacere la tua lettera in formato elettronico e l'ho riletta un paio di volte... Un po' perché ormai sono anziano e la mente è meno elastica di qualche tempo fa, un po' perché voglio ricordarmi bene il tuo stile di scrittura: soltanto così saprò riconoscere il tuo nome nelle righe di un articolo del New York Times prima ancora di leggerlo, in fondo alla pagina. Affinché questo possa accadere, mi raccomando: segui il mio consiglio di esercitarti tanto a scrivere, a farlo bene e a curare la forma fin da subito. Col tempo, riuscirai ad ottimizzare i tempi e, più avanti, scoprirai che è un'abilità fondamentale da sviluppare per sopravvivere al sovraccarico di mansioni e responsabilità della vita. Oltre all'efficienza, però, ricordati soprattutto di spiccare. Preoccupati di redigere una lettera di presentazione fresca, giovane, dal linguaggio forbito ma non troppo lunga né pesante alla lettura. E iscriviti a qualche corso extracurricolare, se non per interesse personale, per il bene di quello che leggerà su di te chi guarderà il tuo plico quei cinque secondi necessari ad impilarti nella categoria di quelli che verranno considerati invece che buttarti nel mucchio di quelli destinati al rifiuto. Come la crostata di ciliegie che ha provato a fare tua nonna... Non dirle mai che non sono riuscito a digerire neanche una briciola di quell'impasto duro come il cemento e talmente zuccheroso da farmi cadere i denti, altrimenti non mi perdonerà mai. E tu sai che non è esattamente uno scherzo, nonostante fosse partito come tale.
Con tanto affetto e la glicemia ancora sotto controllo,
tuo nonno James
P.S. Congratulazioni per l'eccellenza in matematica!
E
ro sicuro che ti saresti risollevata la media scolastica e avresti reso fieri sia me sia tua nonna.
Stampai l'e-mail.
Decisi di rendere cartacea tutta la corrispondenza con il nonno, perché non volevo rischiare che una comunicazione tanto importante e finalmente esistente rischiasse di sparire sotto il potere di errore digitale. Avrei potuto dimenticare la password del mio indirizzo e-mail, oppure formattare il dispositivo, cancellare accidentalmente tutta la posta elettronica o ancora dire addio al dispositivo stesso, qualche anno dopo. E non volevo che la distrazione e l'abitudine annichilissero la testimonianza dell'unico legame familiare che stavo costruendo con affetto, salvo quello con mia madre.
Avevo atteso l'esito del compito in classe di matematica per scrivere al nonno e attribuirgli così importanza nella supervisione del mio percorso scolastico. Non nego di aver riletto almeno tre volte il post scriptum, l'unica nota di entusiasmo in un discorso importante, seppur condotto in modo leggero. Risi forte quando lessi del tentativo fallimentare della nonna in pasticceria casalinga: era proprio negata.
Mia madre mi riempì la busta della paghetta più del solito, quella settimana, Matthew mi portò da Buttery la mattina seguente (ricordo ancora come mi si sciolsero in bocca gli waffle caldi), Peter mi guardò stralunato per qualche giorno e Steve si impegnò a premiarmi per l'impegno in modo fisico. Maddie, dal canto suo, era riuscita a prendere a malapena la sufficienza e non aveva avuto neanche la forza di fingere un sorriso per me.
Non mi infastidii: ero conscia, più di lei, di essere nel torto nei suoi confronti. Sapevo bene che quelle settimane erano e sarebbero ancora state cruciali per il suo futuro, eppure avevo avuto a malapena il tempo di alzare gli occhi dai libri per gustare la deliziosa torta al cioccolato di Steve. Mia madre si portò in ufficio una bella fettona, così da essere incentivata a lavorare meglio nel pomeriggio seguente, e io attribuii al dolce buona parte del merito del voto ottenuto.
Decisi di prendere in mano la situazione ed evitare di spezzare l'equilibrio.
«Maddie... Hai un minuto?» esclamai, rincorrendo la mia migliore amica in corridoio dopo la lezione di storia.
Lei si fermò di colpo, schiaffandomi i suoi capelli ramati in faccia con espressione belligerante.
«Certo. Ti sembra che io mi chiami Chloe Ward?» rispose, stizzita.
«Ecco, vorrei considerare di iscrivermi a qualche corso extracurricolare... Ti va di dare un'occhiata insieme a me? Magari possiamo farne uno insieme.» proposi, evitando di cogliere la provocazione.
Gli occhi scuri di Maddie si fecero lucidi e minacciarono di scendere giù, a bagnare le lentiggini che le cospargevano il viso. Portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi fissò intensamente.
«Tu sai bene che a casa la situazione non è facile, per me. Non so neanche più se chiamarla casa. Non so più quale sia la mia casa. Credi che mi importi qualcosa di uno stupido corso in più che nessun college guarderà mai perché probabilmente non sarò degna di iscrivermi?!» singhiozzò.
La presi per il braccio e la trascinai al suo armadietto, poco distante dal mio.
«Potrebbe essere un buon modo per distrarti dai problemi, invece. E, se ti impegni, sicuramente verrai accettata dove desideri. Non darti per vinta.» tentai di convincerla.
«Ma io sono stata vinta. Non è rimasto più nulla in me che abbia lo spirito giusto per combattere, nulla.» perseverò lei, poi mi diede le spalle per avviarsi verso la sua prossima lezione, differente dalla mia.
Mi tornarono in mente le parole di Peter: adesso mi prendo cura io di lei.
Forse non era del mio supporto che Maddie aveva bisogno. Era scontato che io credessi in lei e nelle sue potenzialità, dal momento che era la mia migliore amica. Ma se le avessi dimostrato che anche qualcun altro poteva mostrare la stessa fiducia? Che sperare non era ancora un tentativo vano?
Se Peter si riteneva parte del nostro gruppo, come era ovvio che fosse ormai, quello era il momento di dimostrare che era capace di tirare fuori dall'oscurità dei suoi sentimenti, all'apparenza inesistenti, l'affetto che provava verso di noi e, in particolare, verso Maddie. Associare Peter e Maddie era sempre stato un pensiero azzardato, a dire il vero: laddove Maddie si piazzava fra i logorroici dediti al gossip e alle risate frivole, ecco che Peter era attivamente invischiato in elucubrazioni di carattere scientifico, ecologico ed industriale-economico; laddove Maddie esprimeva le proprie emozioni con foga e spessore talvolta teatrale, ecco che Peter nascondeva anche il più piccolo turbamento interiore e si atteggiava ad una roccia che niente e nessuno pareva scalfire; laddove Maddie si lasciava trasportare dagli eventi e si aggrappava a comode illusioni, ecco che Peter rimaneva fermo, come un ombrellone issato in profondità nella sabbia, pronto a fare da scudo a tutti con l'aria di stabilità e certezze che emanava, convinto che il mondo non fosse un luogo idilliaco né la popolazione umana degna di grandi lodi, ma altrettanto sicuro che un margine di miglioramento ci fosse sempre e che lui sarebbe stato parte di coloro che avrebbero fatto la differenza, prima o poi, anche se soltanto su un piccolo gruppo di persone. Prigioniera del proprio mondo fragile e conosciuto contro pioniere delle lande lontane, per sempre sfuggente dalle insidie del cuore, i miei due amici erano proprio agli antipodi.
Avrei tanto desiderato scrutare in una sfera di cristallo e avere il potere di conoscere il futuro, se avessi tentato di spingere Maddie e Peter l'una fra le braccia dell'altro. Innumerevoli libri e trasposizioni cinematografiche avrebbero dovuto insegnarmi che fingersi Cupido era un gioco pericoloso, più un attentato al disastro che altro, ma io nutrivo una certa speranza nei miei progetti. Arroganza nel supporre che le mie intuizioni dovevano essere corrette? Piacere ricavato dal brivido del rischio che manipolare i miei amici avrebbe potuto avere un esito positivo così come negativo? Oppure mancanza totale di sinapsi sufficienti a decretare che non era nemmeno un progetto, ma un paio di ipotesi campate in aria nello stesso perimetro?
Oscillavo nel dubbio. Mi presi la testa fra le mani, incapace di contenere quello che esplose come un mal di testa martellante. Complice l'arrivo previsto delle mestruazioni, ero sicura che senza un medicinale non ne sarei uscita viva. Frugai nella borsetta dove tenevo trucchi, assorbenti e altre piccole cianfrusaglie utili nella vita di tutti i giorni: mi era rimasta solo una pastiglia.
Ignorai il ritardo che stavo accumulando e mi affrettai, per quanto possibile, al distributore di bottigliette d'acqua. Infilai una monetina, che venne rigettata giù. Provai ad inserirla nuovamente, ma venne rifiutata ancora.
«Hai bisogno di una mano?»
Rischiai un infarto.
Mi voltai di scatto, sicura che fosse stata un'allucinazione. Quella non poteva essere la voce di Eric. Eppure, l'avrei riconosciuta fra un milione di altre voci.
I miei occhi inquadrarono quello che credetti l'impossibile: il suo metro e ottanta di statura, i capelli castani corti sui lati e leggermente più lunghi sopra, la barbetta che gli incorniciava il volto, gli occhi un po' piccoli rispetto al viso, il fisico senza pretese di chi si tiene in forma ma non per sport, l'aria strafottente di chi sa precisamente che cosa vuole e anche come ottenerlo. Era proprio lui, ogni dubbio scemò in un istante.
«Eric...» crollai.
Scoppiai a piangere. Stupida, talmente stupida che non mi sarei stupita se avesse preso e se ne fosse andato senza dir nulla, come era già stato capace di fare, ma mi aggrappai a quel frammento di realtà che mi stava dicendo chiaramente che lui era lì e che era lì per me, per nessun altro. Non gli era mai importato di nessuno, tranne me. Col tempo, avevo imparato che non gli importava neanche di me, non abbastanza se non per nulla.
Tutto il dolore che avevo provato in uno stato di rinnegamento mi si schiantò addosso all'improvviso come un furgone carico di piombo. Mi straziò, mi dilaniò, mi fece capitolare. Non caddi per terra perché Eric fu veloce a sorreggermi, a capire che avevo bisogno di aiuto, e il mio inconscio malamente attaccato al mio amore per lui preferì essere soccorso da lui e farsi trattare male ancora una volta, piuttosto che rimanere sola di nuovo.
La verità era che non ero stata per niente brava a processare le mie emozioni. Avevo semplicemente respinto il carico, sofferto in silenzio, senza neanche sapere esattamente di cosa, tentato di uscirne e rimanere coscientemente nell'incomprensione del motivo per cui non ero stata capace di uscirne.
Alzai gli occhi su di lui, ma fece troppo male. Preferii rintanarmi nel suo petto, abbracciata da quelle stesse mani che avevano fatto di me la persona più felice del pianeta e anche quella più triste. Se avesse giurato di rendermi felice, come mi resi conto solo allora che non aveva mai fatto, gli avrei creduto con la stessa imbecillità con cui le masse popolari credevano a tutte le promesse irrealizzabili che i politici facevano loro, in cambio del sostegno elettivo. Ma Eric non mi aveva mai fatto promesse. E l'unica spiegazione che riuscii a darmi fu che sapeva bene di non poterle mantenere.
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Riecco il nostro eroe! Signore e signori, mettetevi in coda dietro Chloe per scoprire cosa gli è successo: l'uomo ermetico di questa narrazione non cederà tanto in fretta...
Baci 💙
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