13 - Nessuno è al sicuro
Scomodamente addossate le une sulle altre sul sedile posteriore del pickup, le criminali meno credibili della storia videro scorrere pigramente oltre i vetri dei finestrini le varie casupole pittoresche che, disseminate qua e là, interrompevano un paesaggio altrimenti parso selvaggio e disabitato. Alcune dominavano collinette minuscole, altre si nascondevano dietro alberati spontanei, altre ancora avevano pure la staccionata tinta di bianco, oppure un recinto rustico.
L'ansia provata dalla nuova circostanza era superata solo dal sussulto provato nel notare alcuni corvi neri macchiare i colori vivaci della natura. Stavano seguendo la vettura, ed erano talmente insistenti che la scortarono fino alla centrale della polizia.
Quei pennuti davano nell'occhio, ed Eby se ne era accorta, ma ciò che le sfuggì fu più inquietante di quanto sospettava. Quegli esseri, un po' prima di arrivare a destinazione, s'imboscarono nel fitto della radura che costeggiava la viabilità sterrata e uno a uno, sfiorando la terra, sprigionarono un denso vapore nero, oscuro. Da quei suffumigi innaturali presero forma loro: i detestabili ceffi vestiti alla Blues Brothers versione infernale. Furono scaltri nel non farsi scoprire.
A rasserenare gli animi però, fu la sensazione regalata nel vedere una bambina dalla capigliatura a boccoli e un vestitino lungo e fiorato, con tanto di cuffietta a sbuffo, che correva a piedi scalzi sul prato. Una drag queen ruppe il silenzio.
«Ragazze! Ma dove ci troviamo? In una puntata extra de la casa nella prateria! Guardate quella bambina!» esortò Bambam indicandola col mento. «Sembra Sara kay uscita fuori dalle copertine dei quaderni!» sorrise in cerca di un disperato pretesto per sdrammatizzare la situazione. Liling la trovò carina, mentre Eby, vedendo quello scricciolo correre così veloce, sperò non cadesse. La osservò preoccupata. Poi di nuovo ebbe ragione. La piccina ruzzolò.
«Sceriffo! Si fermi la prego! Quella bambina è caduta!» Eby, apprensiva, avvertì l'uomo indicando col mento il finestrino. Belmer frenò. Guardò a sinistra, oltre il basso terrapieno e inquadrò la piccola. Fece una smorfia titubante.
«Non posso… io…»
«Sceriffo, la prego, non può rimanere insensibile, potrebbe essersi fatta male, ha bisogno di aiuto!»
L'uomo non si girò a guardare la mora, che con tanta umanità lo stava pregando, ma vide nel riflesso quegli occhi scuri imploranti. "Non sono persone pericolose, l'ho capito…"
«Siamo sole, stanche, affamate, ammanettate e con i tacchi alti! Anche se volessimo fuggire non impiegherebbe mezzo secondo per riacchiapparci!» esclamò Bambam e Liling le fece eco.
Senza sospirare o compiere alcun gesto, Belmer aprì la portiera.
«E va bene. Però sul serio, non muovetevi, d'accordo?»
Lo sceriffo non impiegò molto per sistemare la situazione, Bambam invece avrebbe voluto immortalare nel tempo e nello spazio l'attimo in cui egli si alzò dal sedile.
«Ragazze! Avete visto che sedere! Fa più ombra di una montagna!»
«Smettila di sbavare, e sposta i tuoi cocomeri di gomma!» rimbrottò Liling infastidita dall'addossarsi dell'amica.
«Sei ammirevole squisita Bambam, riesci sempre a trovare il lato "b-uono" delle cose!» commentò Ebony preoccupata più per la bimba.
«Bé, ho buon occhio, e poi se posso trarre qualche beneficio da questo casino delle streghe, perché non approfittarne?» ribatté vedendo lo stellato già di ritorno.
Alla richiesta d'informazioni lo sceriffo spiegò a Mamì che la bimba non s'era fatta nulla. Abitava anche a poche decine di metri e così l'aveva accompagnata in braccio. Al gesto cavalleresco Bambam sospirò, invidiando la fortunata piccina.
Ebony, tranquillizzata, riprese a pensare alla situazione attuale. Insieme alle compagne era allo sbando, totalmente in balia degli eventi. Non avevano più nulla. Non avevano un posto dove andare.
La vista della centrale soppiantò le congetture della mora. Era del tutto simile a una villa padronale, o una casa colonica, in gran parte fatta di legno con i muri del primo piano in solida pietra, perciò non aveva l'aspetto che le drag queens s'aspettavano. Non c'era nemmeno un'insegna. Aveva invece un delizioso tetto spiovente molto articolato, con vari abbaini dalle finestre circolari. Attorno i muri esterni campi incolti ricchi di alberi, e qua e là panchine sollevate ai lati dalle radici delle querce. Il parcheggio era approssimativo, le auto degli agenti, non proprio regolamentari, trovavano sistemazione un po' ovunque, con particolare predilezione per le ombre proiettate dagli alberi dalle ampie fronde. L'aria era tersa, complice l'estrema vicinanza del parco naturale dello Yellowstone, non era viziata come quella di Pocatello.
Sotto al portico, un gruppo di uomini e donne in divisa si scambiavano quattro chiacchiere, fumando e sorseggiando caffè diluito, come un copione sempre uguale, sempre lo stesso, sempre incolore, come la solita monotonia di paese. Almeno fino a quando non arrivarono le nuove ospiti accompagnate dallo sceriffo, dopo che ebbe parcheggiato il pickup nero sotto una quercia ombrosa.
La sola vista dello stellato animò due collaboratori più giovani, che intimoriti corsero dentro la centrale a riprendere qualunque cosa stessero facendo.
Una ragazza bionda con un nasino piatto e prominente come una banderuola, avanzò incontro allo sceriffo, pronta a offrirgli uno dei due bicchieri di porcellana pieno di caffè che sorreggeva con una mano.
«Ehi Vin!»
«Ehi Trix! Ti va di scortare queste tre missis? Devo interrogarle»
«Perché non hai chiamato?» si scaldò subito vedendo le appariscenti drag queens sgusciare fuori dal pickup.
«Non ho avuto tempo. Manda qualcuno a sistemare la baraonda in piazza, c'è un po' di scompiglio» la liquidò compito. «Offri alle ospiti qualunque cosa sia avanzata dai cesti delle colazioni, per favore. Sarò subito dentro, tranquilla». Le ragazze notarono e apprezzarono la premura dello sceriffo.
Trixy Shine, la vice sceriffo, sbuffò. Squadrò le ragazze ammanettate ma non le giudicò da nessun punto di vista. Elaborò silenziosamente l'aspetto di ognuna.
«Signorine, ehm… Missis, da questa parte!» indicò la strada verso il portone con tono imperioso, ma constatò che non erano necessarie le maniere forti. Le drag queens erano terrorizzate dalla situazione. Avrebbero percorso la strada anche saltellando su un tacco a spillo se solo glielo avesse chiesto. Trixy sospirò di nuovo. Nonostante fosse giovane aveva avuto a che fare con molti delinquenti, data la professione scelta, e sapeva riconoscerli quando ne incontrava uno. Non aveva chissà quale capacità di osservazione, ma le era palese che per l'orientale, la latinoamericana e la mora, quella era la prima esperienza con la legge. Si chiese chissà cosa avevano combinato. Non le baluginò nemmeno il pensiero che fossero donne di vita, il loro portamento era troppo intriso di dignità e grazia per essere delle volgari libertine. Tuttavia l'esperienza le suggerì di non abbassare la guardia. In fondo erano delle straniere.
«Mamì, da uno a dieci, quanto siamo incasinate?» bisbigliò Bambam camminando affianco all'amica.
«Mantieni la calma Bamby, vedrai che ne usciremo fuori» cercò di tranquillizzarla l'altra.
«Non abbiamo provocato di proposito tutti i disastri di stamattina, e sono sicura che lo sceriffo se ne sia accorto» valutò la pragmatica Liling.
Un sonoro fischio attirò l'attenzione delle drag queens mentre sfilavano nella sala adibita a ufficio comune, dove poche scrivanie si contendevano lo spazio vitale, concedendo una viabilità piuttosto angusta da percorrere.
Il sorriso compiaciuto disegnato su una bocca bavosa, che più di una cavità orale sembrava un buco scavato nel grasso, per quanto il proprietario era obeso, faticava ad aprirsi quando parlava, perciò salutò col capo, quando le drag queens si voltarono verso lui, premurandosi di fare intendere chi fosse stato a emettere il becero richiamo.
Le ragazze voltarono lo sguardo verso il vice sceriffo, ignorando quell'uomo sprofondato in una sedia d'acciaio rinforzato. Qualcuno però lo riprese, ma alle ragazze non importò nulla ugualmente.
Trixy fece accomodare le ammanettate su tre sedie di diversa fattura, di fronte a una scrivania zeppa di scartoffie e un computer datato.
«Il budget dei contribuenti non è puntuale» constatò Liling sedendosi, al che la rappresentate della legge annuì.
«Questo è un piccolo insieme di frazioni, lo stato non lo considera molto poiché povero» spiegò avendo cura di offrire loro i donuts rimasti nei cestini degli spuntini, così come aveva raccomandato Belmer.
Ebony Mamì, situata in mezzo alle amiche, espresse il desiderio di essere liberate dalle manette, promettendo di non ostacolare le procedure d'ufficio.
«Pazientate un po'» chiese dopo pochi secondi la bionda. «Vinnie è un bravo sceriffo, ma è attento a certe cortesie. Quando arriverà valuterà se togliervele. Nel frattempo, favorite pure» aggiunse allungando a ognuna le ciambelline ricoperte di zucchero.
Le ragazze ringraziarono di cuore e non si fecero pregare. Erano in deficit di cibo da quasi due giorni, e se non avessero avuto gli occhi di mezza dozzina di persone addosso, avrebbero pure sniffato lo zucchero che era volato via man mano che si erano servite, nonostante l'impiccio del ferro ai polsi.
Il parco ristoro smorzò un po' la tensione e rese l'attesa meno snervante. Alla fine però lo sceriffo Belmer non si fece attendere più di tanto. Aveva ricevuto una chiamata da parte di un collega il quale l'aveva informato dell'arresto di una donna e che la stava traducendo in centrale.
Finalmente seduto al suo posto si scusò del contrattempo, senza eccessi di cortesia, poi formulò la prima domanda, la più scontata.
«Nomi, generalità e cosa stavate facendo?» emise l'ultimo appunto tradito da un sorriso ricordando il rocambolesco incontro.
Ebony Mamì lo spiazzò pacatamente.
«Troverete le nostre generalità sulla carta d'identità che ognuna ha con sé. Se poi usaste la cortesia di liberarci dalle manette, vi toglieremmo l'imbarazzo della perquisizione», ma malgrado la proposta di una via d'uscita pratica e corretta, Trixy si offrì solerte a eseguire ella stessa la ricognizione fisica, al che Vinnie Belmer respinse la sua disponibilità. Lui aveva capito che le ragazze erano delle drag queens, la vice invece no.
L'aspetto delle ospiti aveva soggiogato per bene la bionda. Non sospettava la realtà dei fatti. L'illusione su di lei aveva funzionato fin troppo bene, forse anche con la complicità dello scarso spirito di osservazione che sapeva essere carente.
Belmer liberò i polsi dalle manette. Nel farlo raccontò a Trix in modo chiaro cos'era successo quella mattina. Il resto pretese di scoprirlo dalle drag queens.
La bionda, nell'apprendere la dipartita della mucca, sospirò. «Accidenti! Mr Dave è mio zio! So cosa combina con il suo bestiame! Non è la prima volta che uno dei suoi buoi scappa via impazzito. Droga quelle povere bestie affinché producano più latte. Molto probabilmente quella mucca si è buttata contro la roulotte senza nemmeno rendersene conto per quanto stava soffrendo. Liberarla dall'agonia è stato un atto di umanità!»
Belmer fece spallucce ascoltando la collega.
«Però resta il fatto che le signorine… cioè le Missis, hanno arrecato un danno a una proprietà, e per questo ci sarà una penalità da scontare…»
«Un momento!» la interruppe lo sceriffo. «Io ero presente nella roulotte quando è successo il fatto, e garantisco che non c'è stata volontà d'intenzione. Poi ho fatto visitare la mucca da Reginaldo il veterinario. Ha riscontrato recenti ferite profonde su tutta la carcassa, compatibili con segni di maltrattamento, perciò la responsabilità delle missis decade all'istante» annunciò piatto.
«SÌ!» urlarono Liling e Bambam rinfrancate. Eby invece sospirò sollevata portando con grazia una mano sul petto, come a voler togliere con quella il peso che la vicenda le aveva piantato sul cuore. Incrociò lo sguardo con Trix, ma senza trasmettere astio.
«Se siamo innocenti, perché allora ci avete arrestato?» domandò spontanea Bambam. La mora allargò le braccia tenendo i palmi delle mani ben aperte. Il gesto frenò l'esuberanza delle compagne al punto che chiusero la bocca.
«Lo sceriffo Belmer ci ha condotto in centrale per sottrarci alle proteste della gente in piazza. Perché resta il fatto che abbiamo rovinato i preparativi della loro festa, è comprensibile. La nostra unica fortuna è che il capo giurisdizionale di Holywood sia stato testimone di quanto è successo. In altre circostanze saremmo finite dietro le sbarre senza appello».
La mora aveva colpito nel segno, ma non poteva dirsi ugualmente indifferente per la mucca Marybella Mericheddar, che pure essa innocente rimaneva.
Belmer, guardingo dietro la scrivania, allargò le braccia per in attimo. «Signore, era proprio quello che volevo evitarvi. Contando sul fatto che siete solo di passaggio, vi propongo di permanere in centrale il tempo necessario per riparare la roulotte, o magari cercarvi un altro mezzo. Per il momento sono obbligato a registrarvi. Se mr Dave verrà a reclamare devo dargli la possibilità di un appoggio legale… voi capite?»
Trixy emise una risata nasale. «È decisamente improbabile! Le sue stalle verrebbero messe sotto sequestro temporaneo per gli accertamenti sanitari, un danno che non può permettersi, e chissà cos'altro salterebbe fuori oltre a quello che sappiamo!»
Di ciò che quel tipo combinava con le sue mucche, per le drag queens, lasciava il tempo che trovava, piuttosto erano intimorite dalla natura della festa, al che quasi insieme chiesero maggiori informazioni.
«Ah! La nottata delle Versiere! È una ricorrenza annuale organizzata dai residenti in memoria della caccia alla streghe del periodo dell'Inquisizione americana. Alcune famiglie discendono dai primi inquisitori» spiegò Trixy senza celare indifferenza. «Se la cosa vi interessa potete venire a dare un'occhiata. Credo che nel giro di pochi giorni la gente non farà più caso all'incidente, anche perché è una ricorrenza quasi uguale ad Halloween» aggiunse, senza mostrare emozioni, perché era palese che la cosa non la interessava.
Il trio, sentendo la parola caccia assieme a streghe, avvertì i donuts ribellarsi alla digestione, poi le associarono inconsciamente all'esclamazione del prete in piazza: "non permetterai a nessuna strega di vivere!", Ebony soltanto mantenne l'autocontrollo emettendo un flebile: «Interessante…», le altre si lasciarono sfuggire tremori e sussulti traditori mentre recuperavano dalle tasche interne degli abiti i documenti richiesti dallo sceriffo.
Vinnie le registrò, dopo aver fatto allontanare Trixy con una scusa. Non mostrò sorpresa nel constatare nomi maschili. Non batté ciglio scoprendo che la messicana Bambam Gladys era in realtà Zacarìa Del Porto Sulvaran, era palese l'origine orientale di Liling Fricotin, poiché l'anagrafe l'aveva registrata come Lìng Qiu, ma non sospettava il poetico significato "gemma pendente d'autunno". Destò sorpresa solo il nome della mora: Momi Honua* Zambon, poiché non riuscì a inquadrarne l'etnia.
Eby anticipò lo sceriffo spiegandogli che era americana, adottata da una coppia d'italiani veneziani. Non dichiarò però che loro erano purtroppo passati a miglior vita, poiché erano già stati in là con l'età quando l'accolsero in casa. Avevano trascorso una vita piena, emozionante e se ne erano andati serenamente. Momi dopo scelse di partire alla ricerca delle proprie origini, ma il destino decise per lei un'altra strada, la strada di Ebony Mamì.
Vinnie, una volta messi a posto i dati, restituì i documenti, poi chiese ancora:
«Cosa vi ha spinto a venire in un luogo che persino le guide naturalistiche evitano?»
«Siamo alla ricerca di una persona» si lasciò sfuggire Bambam, un azzardo che comprese solo quando le amiche la fulminarono con lo sguardo. Ebony cercò di correre ai ripari. Lo sceriffo però si era ormai incuriosito. Cosa poteva inventarsi per non rivelare tutta la storia delle fattucchiere, di Noviluna e del fantomatico erede?
Nulla.
Almeno riuscì in qualche modo a far comprendere alle compagne di lasciar parlare solo lei, quando un provvidenziale trambusto dirottò l'attenzione generale verso una nuova ospite.
Ebony decise di scoprire chi ringraziare. Era una ragazza, autentica, una rossa dai capelli lunghi e scombinati, che senza troppa resistenza si lasciava condurre dritta dritta in cella. Sembrava ubriaca, o sotto effetto di stupefacenti forse. Rideva e salutava i poliziotti come se li conoscesse. E davvero qualcuno entrava nella cerchia delle sue conoscenze, dato che la minigonna, le calze a rete e il top meno coprente del mondo, suggerivano esattamente il degrado peggiore che una donna possa raggiungere.
Non mostrava nessun segno di colpevolezza, o pudore, e quando arrivò al cospetto dello sceriffo Vinnie Belmer, fece forza e frenò gli agenti che la tenevano sottobraccio. Studiò brevemente le drag queens con una smorfia.
«Come va Vinny? Vedo che finalmente arrivano i rinforzi! Ciao ragazze, hanno beccato anche voi?»
Di nuovo Eby bloccò con un cenno le amiche. Bamby e Liling non sopportarono le allusioni di quella, e solo perché era la mora il loro punto di riferimento morale, si trattennero a spiegarle cosa pensavano di lei.
Ebony inquadrò gelidamente quella creatura della notte, poi ruotò il viso verso lo sceriffo che pure rimase affascinato dal suo sangue freddo. Quel gesto era un messaggio che l'uomo apprese chiaramente come fosse scritto a caratteri cubitali. Sorrise lievemente.
«Mi spiace che abbiate dovuto fare la conoscenza di Favola, perché…»
«Perchè ho le tette da favola!» esplose la rossa liberandosi del top a dimostrazione del proprio orgoglio. A quel punto lo sceriffo scattò in piedi e diede ordine categorico di rinchiuderla. Quella in tutta risposta annunciò che era di casa ormai e che conosceva tutti. Difatti nominò i clienti presenti nel commissariato, al che i chiamati all'appello si nascosero il volto dietro le scartoffie. Fece eccezione solo l'obeso, lui ostentò con gesti inqualificabili il personale apprezzamento.
Ebony Mamì ebbe una idea. «Sceriffo, noi non ce ne andremo di qua se non dopo aver insegnato le buone maniere a miss Favola!»
«Lasciate perdere signore, quella è un caso disperato. Passa più tempo qui che a casa!»
«Perfetto! Tanto dovremo trascorrere anche noi del tempo qui, almeno fino a quando non recuperiamo i nostri effetti e riparato la roulotte», propose signorilmente la mora accennando un flebile sorriso. «Ah! Sa una cosa, noi vorremmo rimanere qui a Holywood per sistemare alcune faccende di eredità»
Lo sceriffo inarcò un sopracciglio incuriosito. Poi, al gesto che Ebony fece a Liling, ottenne da lei il documento firmato dalla titolare del Gatto Fucsia. L'uomo comprese essere l'attestato di proprietà di un terreno. Portava in calce il nome di Arnaud Moiré, ovvero l'effettiva identità di Madame Chantilly.
Nel mentre che l'ufficiale e le drag queens chiarivano le rispettive posizioni, Favola rimase dentro l'ultima cella in fondo al corridoio. Approfittò dell'attimo concitato per guadagnare la finestra sbarrata. Emise un soffio leggero, al che un corvo nero si posò sul bordo del cornicione e infilò il becco tra le sbarre.
«Sono arrivate! Chiama gli altri e cercate le lanterne! Dovete trovarle e distruggerle!» il corvo gracchiò qualcosa.
«Non mi importa come, estirpatele seccatele, mangiatele… l'importante è che non entrino in contatto, altrimenti sarà impossibile contrastare le streghe!»
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Note facoltative:
Momi Honua vuol dire pressappoco: una perla all'improvviso.
Assicuro che si tratta di una lingua esistente, e che verrà svelata alla fine.
Versiere: in senso letterario, essere diabolico di sesso femminile, comunque un altro modo per definire una strega.
La ricorrenza festiva sopra esposta non esiste.
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