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1 - Fine della tranquillità

Chiunque ricevesse questo registro scritto sappia che non è colpa nostra. Oddio, non proprio tutta colpa nostra, ma anche un po' vostra. Sì, perché se trovate e leggete questa comunicazione all'avanguardia, che voi chiamate piattaforma Watt "qualcosa", molto probabilmente verrete sloggiati, sfrattati, insomma vi ritroverete in mezzo alla strada, se siete fortunati, o fortunate. Alla peggio, non darete per scontato che vi sveglierete il giorno dopo. Questo perché anche voi siete un po' streghe.

Dunque...

«In principio furono i tacchi a spillo, l'invenzione più importante dopo la penicillina. Poi arrivarono le parrucche e il mondo scoprì l'arcobaleno.
Beh, non esageriamo. Per qualcuno però è così»

«Ehi! Mamì! Invece di farneticare robe filosofiche, perché non inizi a spiegare che ci facciamo vestite da suore?»

«E se non ti scoccia troppo, vorrei sapere com'è che io sono una suora incinta?»

«Hai ragione Liling, ma soprattutto vorrei capire come hai fatto a rimanerci incinta!»

«Care Bamby e Liling, la vostra Mamì vi spiegherà tutto, promesso, ma prima è importante che noi tutte lasciamo la testimonianza della nostra vita»

«Testimonianza un corno! Non voglio mica fare testamento! Ho solo vent'anni!»

«Ce li avevi dieci anni fa forse, squisitissima Bambam Gladys»

«Rifatti le tette, Liling Fricotin, che sei piatta come un pandispagna!»

«Fate silenzio o vi prendo a schiaffi tutte e due! Non so quanto spazio ci sia in questo affare moderno, e le cose accadute sono molte e molto complicate!»

«Forse è meglio lasciar parlare il tempo, non vi pare? Innanzitutto, qualcuno ha idea di dove cavolo cappuccio ci troviamo? È tutto così in penombra, con troppe candele tutte bianche, tutte anonime, tutte raggruppate!»

«Si chiama chiesa, Liling tesoro! Dovresti riconoscerne una quando la vedi, con tutti i romanzi smielati che leggi!»

«L'ho detto io, mai aprire una porta sinistra cigolante, mai mai mai! Si finisce in un luogo come questo: con il soffitto altissimo, colonnati pieni di ragnatele grosse come reti da pesca e una cinquantina di persone sedute su delle panchine sbilenche che ti guardano con gli occhi sanguinolenti! Lo sanno tutti che va a finire così!»

«Per le patate di Pocatello! E quello cos'è?»

12 MESI PRIMA

L'autobus blu elettrico virava all'incrocio dell'arteria stradale principale della città di Pocatello. I passeggeri assorbirono divertiti la morbida curva disegnata dalla conducente, una figura femminile dalla pelle d'ebano e dalle mani affusolate e robuste, dove ciascun dito terminava in unghie laccate di rosa confetto luccicante. Il sorriso abbozzato, senza pudore di essere notato, trovava il suo riflesso sullo specchietto retrovisore appeso in mezzo al vetro lindo che mostrava repentino il mutamento del paesaggio urbano. Palazzine colorate e pochi negozietti di vario genere qua e là e gente amena che li frequentava abitualmente.

Suscitare l'ilarità nei passeggeri, seppur solo guidando l'autobus con manovre più o meno spettacolari, costituiva la fonte principale del divertimento di Ebony, la conducente. Divertimento che aumentava quando al microfono segnalava l'approccio alle fermate sequenziali della linea percorsa, e captava la delusione espressa nelle esclamazioni per la fine della corsa, scaglionati in gruppi indefiniti.

In mezzo a tanti passeggeri, più o meno anonimi, poche comparse spiccavano per singolarità. Chiariamo una cosa però, nessuno è più singolare dell'autista con i suoi completi fuori dal comune, costituiti da camicie leggere, leggermente aperte sul petto, e pantaloni a zampa di elefante abbinati sempre in tinta coordinata. Le scarpe poi, se non avevano il tacco ultra dodici non le considerava indossabili.

Il portellone a doppia anta rispose al pulsante di apertura e un cagnolino dal pelo lungo e grigio, sbucò come un pupazzo a molla dalla scatola di certi giochi obsoleti. Saltellando i gradini, l'animaletto registrava avido l'odore di pulito del grande automezzo. Il guinzaglio stretto nella mano della padrona si tese come una corda di violino. Il nasone nero del simpatico animale sembrava rimbalzare sulla moquette e puntava dritto dritto verso l'autista.

Oh! Quanti e quali appellativi lei veniva chiamata ogni giorno! Un flusso costante e irregolare di: "ciao Eby", "buongiorno Ebo!", "come va Ebby?", "Ebon, veloce ma non troppo, ah!"... la bonarietà della gente era ciò che la faceva sentire viva, e i suoi sorrisi illuminavano per un attimo gli animi dei passeggeri.

Muffin, il cagnolino, non faceva differenza. Già per la strada trainava la vecchia padrona, chiaro segno di una totale mancanza di disciplina e, all'arrivo dell'autobus, non di rado la faceva inciampare.

«Muff! Tesoro della mamma! Piano, piano, zuccherino peloso!» gorgogliava quella ammirando l'espressione serena di Ebony prima di salutarla.

«Buongiorno signorina Mug, mi spiace per Muffin, ma gli animali non sono ammessi nella corsa!» esclamò calando una palpebra dalle lunghissime ciglia finte come un sipario da teatro su un occhio, incurvando la bocca in un sorriso civettuolo.

Ignaro dell'appunto rivolto a lui, Muff si diresse sul basso divisorio della cabina della conducente e approfittando dell'allentamento del guinzaglio, balzò allegro tra i piedi di Ebony.

La signorina Mug, che tanto signorina non era, dato che pettegolezzi di piazza confermano essere una vedova da quando scoprì il marito tradirla con la vicina di casa, decise di fregiarsi dell'appellativo proprio dopo quell'episodio. Il fatto accaduto, col tempo, assunse sfumature diverse e piuttosto colorite man mano che passava di bocca in bocca, ma la sostanza era semplice: il caro maritino ebbe un infarto nel momento preciso in cui la signorina Mug l'aveva scoperto a letto in flagranza di cornificazione. Lo vide avvinghiato come un polipo equatoriale alla vicina di casa mangia uomini.

La soddisfazione nel vedere schiattare il fedifrago la ripagò di anni di sopportazione e accondiscendenza forzata. Anche in termini economici la soddisfazione fu immensa, data l'eredità milionaria ottenuta in seguito al decesso. Per rispetto, verso sé stessa, sia chiaro, non indossò mai nulla di nero... giudicò sufficiente tutto il buio del quale era stata investita la sua anima durante la vita coniugale.

Unico fioretto che decise di rispettare, in barba alle giornate assolate estive, o sotto le bufere invernali, era fare shopping al Walmart. Era la giusta reazione all'austerità alla quale il defunto consorte l'aveva condannata per oltre quarant'anni. E ora, voci di quartiere sussurrano che sia diventata un'accumulatrice seriale di oggetti di ogni tipo. Questo fatto però è difficile da assodare, perché la cara vecchina non faceva entrare nessuno nella sua villa affacciata al Mountain View Cemetery di Pocatello.

«Ma sei sempre più affascinante ogni giorno che passa cara Ebony! Sai, dovresti proprio sposarti! Con mio figlio ad esempio!» emetteva il suo solito pensiero ripetuto come un mantra, sempre poco convinta, perché troppo impaziente ogni giorno di raggiungere il centro commerciale. Oltretutto lei di figli non ne aveva e di sicuro non s'era mai accorta che Ebony in realtà, sotto i vestiti e dietro il maquillage, fosse biologicamente un uomo.

Vero è che non era la signorina Mug l'unica a non accorgersi del trucco ben riuscito e a Ebony la cosa divertiva un sacco. In fondo, non è che andava in giro vestita con colori sgargianti, nonostante li amasse alla follia. La sobrietà era uno dei motti che la rappresentava.

Di tutt'altra apertura mentale erano gli scolari dell'Idaho State University. Naturalmente c'era tra i pochi viaggiatori chi non vedeva di buon occhio un nero vestito da donna, che per di più conduceva uno degli autobus maggiormente utilizzato dai cittadini.

Ebony però, non aveva le spalle larghe in certe situazioni. Esemplare fu quella volta in cui frenò di colpo l'autobus a metà percorso sulla quinta strada, irritata da un tipo alticcio che stava importunando una ragazza. Gli occhi dei signori di una certa età, alcuni già trapassati con nelle retine il ricordo vivo di quell'aggraziata femmina, registrarono avidamente l'ondeggiare sinuoso delle sue natiche. Il passo cadenzato e rapido, accompagnato dal ticchettare dei tacchi alti, faceva parte di una sinfonia di grazia ed eleganza nei movimenti di spalle e mani sventolanti. Percorse tutto il corridoio, ignorando gli sguardi degli ammiratori, frettolosa di raggiungere l'ubriacone molesto, furbescamente imboscato nei posti in fondo all'automezzo, convinto di essere al riparo dagli occhi di Ebony.

«Se c'è una cosa che proprio non sopporto, è frenare di colpo nel bel mezzo del traffico, disturbata da un idiota che fa l'imbecille con una delle mie passeggere!» fece l'occhiolino alla giovane che se ne stava rannicchiata sul sedile accanto al finestrino con l'espressione esasperata sul viso. Un cenno di sospiro la rasserenò.
«Allora! Sei pregato di scendere immediatamente dall'autobus fintanto che puoi farlo ancora con le tue gambe!»

L'omuncolo, un tipo sulla quarantina conciato male e vestito peggio, azzardò a risponderle volgarmente al ché Ebony, sorridente, lanciò una manata contro il pulsante di apertura del portellone posteriore. Con nonchalance, strattonò il deficiente dal posto a sedere e sul suo deretano stampò un calcio mai visto, facendolo volare letteralmente fuori. Egli sbatté in malo modo la testa contro la campana della raccolta differenziata del vetro, posteggiata sul ciglio della strada, senza quasi accorgersene del volo imprevisto.

Un piccolo applauso coprì le scuse di circostanza dovute per l'insignificante contrattempo.

A un paio di fermate prima di arrivare al Walmart, un'altra creatura leggiadra si accinse a usufruire del servizio pubblico di Ebony.

Era una specie di geisha, un raro incrocio nippo cino tailandese. Vestiva un abito lungo alla coreana e cavalcava un paio di sandali orientali alti infilati ai piedi fasciati da calze bianche come avorio.

Lei snobbò l'entrata centrale e quella posteriore. Voleva a tutti i costi salire dalla parte della conducente.

«Oh! Sei sempre molto puntuale, ma fai presto ugualmente che devo sistemare la merce nuova in negozio!» le raccomandò lei avendo cura di consegnarle una confezione regalo...

«Oh! Liling, come vanno gli affari?»

«I clienti non si lamentano, "gli affari" fanno il loro dovere e le batterie non si esauriscono sul più bello!» cinguettò l'orientale puntando un posto vuoto mantenendo il nasino ben alzato, incurante degli sguardi di un gruppo di mormoni che la indicavano quale venditrice di articoli peccaminosi.

Ebony, senza distogliere lo sguardo sul traffico, agganciò con una mano l'involucro. Sorridendo lo mollò sull'ampio cruscotto. Una signora attempata inclinò il viso in avanti facendo scivolare i pesanti occhiali e registrò le vibrazioni del pacchetto misterioso che prese a muoversi come se fosse dotato di volontà propria. La vecchia signora elaborò subito il possibile contenuto e la sua bocca disegnò una "u" rovesciata.

Con un veloce gioco di sguardi, Ebony captò l'espressione della donna silenziosa. Nessuno sapeva che effettivamente il silenzio era l'unico "suono" che riempiva la sua casa, malgrado fosse sposata. Specie di notte, la quiete era anche più intensa.

Appena raggiunta la fermata, la signora tentennò prima di sfilare davanti a Ebony, troppo avvinta dal pacchetto semovente. Allora, la mora non perse l'occasione e con un gesto discreto e veloce, le allungò l'oggetto del desiderio e l'altra lo accettò facendolo scomparire dentro la borsetta di paglia ricamata. L'ultimo sguardo complice sancì la nascita di una simpatia reciproca.

Ebony non poteva immaginare che la notte stessa, il quinto piano del palazzo dove abitava quella donna, da tutti riconosciuto come il più tranquillo dell'isolato, beh... non fu più tanto tranquillo. Gridolini acuti e prolungati iniziarono a echeggiare sonoramente e qualche vicino immaginò che quella casa fosse posseduta dagli spiriti maligni.

A proposito di gridolini, nessuna creatura reggeva il confronto con Bamby Gladys, famosa modella di alta moda, nonché intima amica di Ebony e Liling.

Apparve mezz'ora dopo l'arrivo al parcheggio dell'aeroporto, dopo che molti passeggeri, tra i quali anche l'orientale, avevano raggiunto le loro fermate, tutte rispettate nei tempi, anche quella degli scolari abituati all'uso del mezzo pubblico.

Era un vero sollievo far scendere questi ultimi, perché tra loro si nascondeva chi proprio non gradiva la conducente, giudicata indecente sia nell'aspetto che nel ruolo che rivestiva. A dirla in poche parole, erano intolleranti alle differenti sfumature delle quali il mondo è pieno.

Era sul punto di rimettere in moto l'autobus, scocciata dalla troppa attesa, quando una figura minuta ed elegante sbucava dalla folla di passeggeri in uscita dal terminal. Si trascinava un trolley fucsia all'apparenza pesantissimo. Il volto olivastro, ben incorniciato da splendidi capelli neri a onde ampie, era imperlato di sudore. La sua voce mostrava senza ritegno tutta l'ansia che un essere umano possa provare.

«Ehi! Eby! Accendi quel dannato affare e parti!» strillò sbracciandosi.

«Ecco! È arrivata la pazza! Il trio è al completo!» sospirò ormai abituata alle stravaganze dell'ultima congiunta. «Se si fosse fatta riempire di elio le bocce finte che ha, credo che sarebbe in grado di volare!» biascicò incurante di essere ascoltata dall'altra che già aveva lanciato la valigia dentro l'autobus.

«Hai detto qualcosa Mamì?» ansimò affaticata Bamby lanciandole uno sguardo di sottecchi.

«Solo che sei favolosa!» squittì enfatizzando sciccosa l'aggettivo e, alzandosi dal sedile, mimò un bacio guancia a guancia, senza contatto, subito corrisposto dall'amica.

«Adesso, per favore, PAAARTIII!» le urlò isterica.

«Ma si può sapere che cavolo cappuccio hai combinato?» le chiese saltando sul sedile del guidatore. Ignorando la disperazione di Bamby, Ebony intravide mezza dozzina di uomini vestiti in nero, eleganti e con gli occhiali da sole.

«Ma cos'è? Il remake di "men in Black" versione Pocatello!»

«Tu sei tutta scema! Parti, PARTI!» gridò fino a far risaltare carotide, giugulare e pomo d'Adamo tremolante.

Ebony, sbuffando, saltò nel sedile e chiuse gli sportelli dell'autobus un secondo prima che almeno tre dei ceffi in nero salissero. Solo allora Bamby crollò sul primo sedile ed emise un lungo sospiro di sollievo.

«Accidenti! Vorrei tanto scomparire alle volte!»

«Io, invece, in "volte" come queste, vorrei tanto riempirti di schiaffi! Ma si può sapere cosa volevano quei tipi da te?»

«Ti giuro che non lo so! Ero appena scesa dall'aereo, e avevo notato che mi stavano seguendo. Il che è normale trovandomi in un aeroporto. Ma il punto è che sono sempre stata in mezzo alla folla, proprio come raccomanda la prima regola salva chiappe delle drag queens!»

«Brava ragazza!» sussurrò orgogliosa Ebony mentre faceva manovra. «Ma non sarai un po' esagerata a evitare così i tuoi fans?»

«Eby cara, i miei fans mi mandano cespugli di rose color salmone, gioielli d'alta moda e inviti a feste mega galattiche! E mi gridano in faccia che sono meravigliosamente incantevole, non mi danno della "strega" proclamando la mia morte imminente e poi di banchettare con le mia carni usando le costole come stuzzicadenti!»

Ebony storse gli occhi riparati dietro gli occhiali da sole metallizzati stile anni novanta, sicura che l'assurdità descritta da Bamby era l'ennesima esagerazione alla quale lei e Liling erano ormai abituate. Assurdità che non cessarono di riempire le sue orecchie e fare a cazzotti con i neuroni, almeno fino a quando non caricò in vettura un'intera squadra di rugby. Allora sì che le scemenze finirono di torturare Eby.

«Ancora non capisco perché vi ostinate ad abitare a Pocatello! Non c'è vita, manca tutto...!» asserì mentre vide sfilare il folto gruppo di ragazzoni aitanti e vigorosi.

«Flora e fauna non ci manca!» la corresse Ebony rispondendo a tutti i ragazzi che vollero salutarla.

Intanto, in una viuzza appartata e poco frequentata se non per recarsi specificatamente al Memory Forever, nota agenzia di pompe funebri, separata da un sottilissimo strato di cartongesso dal Tiger Mind, il peccaminoso esercizio commerciale di Liling, una coppia di uomini vestiti elegantemente comparvero sulla porta.

Liling dapprima non se ne accorse, anzi, avrebbe giurato di non averli nemmeno visti arrivare in strada. Forse era il registro quadro della contabilità aperto sul bancone a distrarla al punto da non averli notati. Strano. Quando compilava i documenti usava sempre gli occhiali da vista.

Uno dei due stava per emettere una richiesta, quando il cellulare di Liling suonò e lei, alzando un dito e allargando un sorriso, indicò di attendere un attimo.

«Eby! Sei pazza! Ho clienti qui! Me li fai scappare!»

Ebony, dopo aver scaricato Bamby, informò subito l'altra del trio del suo arrivo, senza omettere nulla.

«Quindi ti ha detto di essere stata inseguita da tanta gente cattiva e minacciosa? Strano! Lei è così simpatica, vivace, "aaapelta!" A chi non si è concessa stavolta?» domandò ma chiuse immediatamente la comunicazione, scocciata nell'anima, ma sorridente difronte ai due clienti.

"Che accidenti è tornata a fare quella! Quella porta male! Porta sempre male!" pensò mentre con la bocca illustrava ai due avventori i vari reparti del negozio e ciò che esponeva.

Liling, quando notò che quelli portavano addosso due vestiti uguali, neri ed eleganti, li scambiò per dei dipendenti dell'esercizio affianco al suo e roteò gli occhi al soffitto.
«Se siete qui per il solito reclamo da parte del signor Arcibald Suarez vi avverto che state perdendo tempo. L'America è uno stato libero e io posso svolgere il mio lavoro dove mi pare!» annunciò facendo scivolare di soppiatto una mano sotto il bancone individuando velocemente il pulsante di emergenza per le segnalazioni al nove uno uno.

Non era una novità che il proprietario dell'esercizio delle onoranze funebri fosse talmente indignato per l'eccessiva vicinanza di un esercizio commerciale licenzioso. Infatti, sin dal primo giorno d'apertura del Tiger Mind il señor Suarez, bacchettone per antonomasia, espresse continue rimostranze.

Per Liling era una novità invece, la visita di controllo esattoriale di una coppia di uomini muniti di tutte le credenziali esposte nei documenti che entrambi le avevano messo sotto il naso.

"Perfetto! Adesso mi strozzeranno con tutte le tasse che non sono riuscita a pagare!" imprecò mentalmente. "Vorrei tanto strangolarli questi due!" aggiunse abbandonando il pulsante delle emergenze, accondiscendendo a girare il registro che stava compilando.

«A voi ragazzi, mi raccomando, non siate troppo cat... ehm, esigenti!» chiese con un sorriso poco convincente. Al che, la coppia in nero rimase muta. Liling notò all'istante due particolari bizzarri. Primo: rigirarono il registro al contrario buttando un occhio indifferente, secondo, la fissarono in maniera impassibile.

L'idea di azionare il pulsante del nove uno uno le baluginó all'istante, senonché, tutta accigliata, socchiuse la bocca notando le orbite inesistenti che facevano capolino dai lati delle lenti da sole indossate dai due.

Perplessa, si sfilò i suoi di occhiali e li buttò nel cestino nascosto dietro il bancone. «Bah! Occhiali cinesi!» esclamò l'orientale non credendo a ciò che aveva appena visto.

«Allora ragazzi? Tutto okay? Se girate il registro lo leggerete meglio!» suggerì allungando una mano.

Il brivido che provò nell'attimo in cui uno dei due le afferrò il polso la raggelò di colpo.

Istintivamente prese in mano il primo oggetto a caso tra i tanti, più o meno contundenti, e lo usò a mo' di mazza... dato che la forma non suggeriva altri usi. Comunque, riuscì a colpire il naso del figuro e a liberarsi dalla presa. Le sue gambe a quel punto furono più veloci del pensiero. Il volto impaurito le incrinò il candido trucco orientale. Fece in tempo a raggiungere la porta di servizio oltre lo scaffale delle ultime novità filmografiche di genere... xxx, quando l'altro l'acciuffò prima che aprisse la porta e senza scrupoli, lanciò Liling contro un manichino vestito, o svestito, a seconda dei punti di vista, con strisce di cuoio nero borchiato e una frusta allacciata in una mano.

Traumatizzata dalla situazione iniziò a tremare. «Maledetta Bambam Gladys, questa è tutta colpa tua!» imprecò quando di nuovo il brutto ceffo muto l'afferrò per un braccio e la sollevò da terra. Lilin non vide nessun'altra soluzione se non sacrificare le unghie finte e graffiare con quelle il volto dell'aggressore. Ancora una volta si liberò.

«Ma che cosa volete da me?!» piagnucolò vedendo prossima la fine della sua vita. Ma nonostante ciò, l'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio. Afferrò la frusta da sadomaso e infilò il manico dentro un'orbita dello scellerato sfondando la lente scura dell'occhiale. La mossa le diede l'opportunità di frapporre qualche metro di distanza tra lei e loro.

«Perché non mi lasciate in pace! Volete i soldi della cassa, prendeteli! Della merce che vi interessa? Prendete tutta quella che volete! Ma andate via di qua!» gridò a voce tremula agitando a casaccio la frusta.

La confusione generata nel negozio attirò l'attenzione del señor Suarez e di alcuni suoi dipendenti i quali, protestando per il trambusto, accorsero per ammonire verbalmente la screanzata finta donna di dubbia moralità. Al che, si videro difronte la scena che segnò la fine del commercio di robe immonde, espressione tipica del bacchettone beccamorto.

Liling, infatti, presa dal furore e dalla voglia di sopravvivere all'aggressione, riuscì a legare i due malviventi in perfetto stile bondage. Il fatto che si sia buttata addosso a essi, con l'espressione sconvolta, l'acconciatura mezza slegata e il respiro affannato, giocò totalmente a suo sfavore.

«Ma che storia è questa? Signorina Fricotin, si ritenga sfrattata a partire da questo preciso momento!» sentenziò la signora anziana che accompagnava señor Suarez, l'affittuaria dei locali commerciali di zona, pompe funebri comprese.

Liling, accovacciata addosso ai due rifiuti umani, si sentì giudicata erroneamente. Protestò ma non l'ascoltò nessuno.

«Aiutateci! Questa donna è pazza!» emise uno.

«Cosa?!» ribatté Liling oltraggiata.

«Sì, io e il mio compagno volevamo comprare, ma lei ci ha aggredito!» aggiunse l'altro legato come un salame da stagionare.

«Non è vero che siete muti! Non potevate stare zitti ancora un po'?!»

La situazione degenerò in una lunga discussione, al termine della quale, Liling tra le lacrime, abbandonò per sempre il negozio incassando insulti di ogni tipo. La coppia di uomini, approfittando della presenza complice dei benpensanti, fuggirono via ammantati dell'ingiusto verdetto d'innocenza. Sotto i baffi però risero lugubri.

«E adesso dove vado?» si chiese una volta raggiunta la Yellowstone avenue. Come unico colpo di fortuna, l'autobus blu di Ebony Mamì giunse quasi avesse una coincidenza con lei da rispettare.

Il portellone si aprì e insieme a esso i dotti lacrimali di Liling.

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