1.
Nell'aria c'era uno strano odore di sangue e distruzione quella mattina, ma nonostante tutto Ophelya uscì di casa con passo saltellato, tenendo ben stretta la cesta di vimini che usava per raccogliere i frutti di bosco nella piccola foresta dietro casa.
Quello era il più triste giorno di tutto il secolo per la città di Ustra. Quel giorno un'altra battaglia mischiava il fango al sangue di poveri innocenti, quel giorno, nel sud-est del regno di Sternen, infuriava l'ennesima guerra contro il regno di Frantiss, lo stato confinante, mentre dall'altra parte della Regione Centrale le persone vivevano liete la loro esistenza.
Ophelya, a Yaarthis, nel regno di Tramenj, raccoglieva i frutti di bosco preoccupandosi se sarebbe tornata a casa in tempo per salvare la vita ai piccoli lamponi che stavano tutti ammassati nel suo cesto.
Ghus, a Ustra, combatteva angosciato perché quello non fosse l'ultimo giorno della sua vita, per non diventare parte di quella matassa di cadaveri che tappezzava il terreno in una macabra danza di braccia e gambe piegate in modo totalmente innaturale.
Ophelya era convinta che la guerra fosse lontana, in fondo lei era solo una ragazza alla fine della sua adolescenza, ancora giovane seppur con un passato turbolento, inoltre non erano ancora giunte notizie di battaglie, ma non sapeva che presto lo stesso destino di Ghus l'avrebbe raggiunta ed entrambi i loro corpi sarebbero stati messi nell'Irrequieto Fuoco, si sarebbero ricongiunti sotto la Madre Terra, avrebbero cominciato a far parte dell'Acqua Vitale e dell'Aria Sussurratrice, i loro sguardi avrebbero incontrato l'Eterna Ombra e non avrebbero più visto la Divina Luce.
La Guerra dei Regni sarebbe rimasta nella storia, ma non i nipoti di Ghus né quelli di Ophelya avrebbero conosciuto i loro nomi o i loro volti. Quei due, abitanti di due regni opposti, lavoratori molto differenti, cittadini di città lontane, attesi dalla stessa terribile sorte.
La guerra era temuta da tutti, dal nobile che banchetta riccamente al bracciante che si spacca la schiena nei campi tutto il giorno. Tutti diventavano vittime della guerra, nessuno era risparmiato dagli orrori che prendevano vita in mezzo a quella terra, così sacra, ma anche così crudele. Gli occhi e le menti di tutti gli spettatori rimanevano sporchi, impastati insieme a sgomento e crudeltà.
Ophelya tornava a casa sorridendo per quello che aveva raccolto. Sul volto di Ghus si faceva largo una smorfia di disgusto osservando l'uomo a cui aveva appena spaccato la testa.
Ophelya svegliava i suoi fratelli minori per dargli la colazione. Ghus lottava per poter rivedere i propri figli.
Ophelya era contenta, nella sua povertà gioiva di quello che possedeva e dell'amore familiare che riceveva quotidianamente. Ghus voleva piangere in quel momento senza tempo, voleva tornare al suo palazzo, baciare sua moglie e tornare alle faccende aristocratiche; entrambi sapevano che il Destino li avrebbe presi: lei non ci voleva pensare, lui aveva la cruda verità davanti agli occhi.
Ghus e Ophelya, un uomo e una donna con anime destinate ad incontrarsi, un giorno, al di là del varco.
Un lampo.
Ghus si girò di colpo verso l'origine di quella luce, in tempo per vedere la comparsa degli alleati. Dall'altra parte del campo una decina di persone, fra uomini e donne, comparvero improvvisamente fissati da tutti gli uomini che combattevano sul quel terreno. I nuovi arrivati indossavano tuniche lunghe, pulite e colorate, in netto contrasto con le armature dei soldati, incrostate di terra e sangue; li riconobbero subito: erano i maghi e le streghe sotto il regno di Sternen, giunti per aiutare.
Questo vuol dire che stiamo perdendo pensò immediatamente Ghus. Non sporcherebbero le loro mani con il sangue se non ce ne fosse davvero bisogno.
Il soldato colpì di fronte a lui senza realmente vedere cosa stava succedendo, gli occhi rapiti dalla visione dei maghi, un soldato nemico cadde a terra con il lato del collo reciso. Continuò a combattere con tutte le forze, a fianco degli alleati e insieme ai compagni. Altra terra e altro sangue andarono a formare un nuovo strato di incrostature sulla sua armatura, un tempo splendente di luce radiosa.
Se qualcuno fosse passato per caso di lì, avrebbe potuto udire nomi impronunciabili di incantesimi sconosciuti ai comuni umani, avrebbe potuto sentire tonfi e schizzi di corpi che cadevano senza vita sul terreno. Se qualcuno avesse potuto avventurarsi all'interno di quella battaglia senza rimanere ucciso in poco tempo, avrebbe sicuramente visto con i propri occhi la potenza di quei maghi e di quelle streghe. Comandavano l'energia di quattro dei sei elementi come nessun altro riusciva a fare. Erano capaci di controllare la terra sotto i loro piedi, l'aria attorno ai soldati, l'acqua che si trovava nelle insenature del terreno e il fuoco che ardeva dentro tutti loro. Erano indubbiamente potenti, molto più di qualsiasi re mai vissuto nella Regione Centrale, e riuscirono a dare un considerevole aiuto ai soldati. Con i loro poteri salvarono innumerevoli vite, ma l'esercito di Sternen era stato inevitabilmente decimato e si trovava contro un'orda di uomini che contava un numero notevolmente superiore.
Ghus riuscì ad avere un istante di pace in cui si avvicinò, inginocchiandosi a terra, ad un compagno morente accasciato nel fango sostenuto da una carcassa di cavallo, bestia caduta brutalmente e ingiustamente in battaglia. L'uomo a terra si premeva un fianco, lasciato scoperto tra un pezzo dell'armatura e l'altro, completamente insanguinato dove probabilmente era stato colpito e poi, creduto morto dal nemico, non era stato finito, ma era stato lasciato lì ad affrontare solo e inerme il proprio destino.
<<Ce la faremo, resisti Deanq, ti porto dal medico in un battibaleno>> Ghus stava provando a rassicurare l'uomo esangue, fallendo miseramente.
<<Non serve, ormai la mia ora è vicina, non consumare le forze per me, piuttosto conservale per dire a mia moglie che la amo e ai miei figli che loro padre ha combattuto in modo eroico. Lo farai per me, vero Ghus?>>
<<Questo glielo dirai tu di persona>>
<<Sto morendo Ghus, non negarlo a te stesso - venne scosso da una tosse tremenda, sputando goccioline di sangue dappertutto - tu promettimi solo che glielo dirai>> gli occhi di Deanq erano supplichevoli e imploravano qualcosa che desiderava il suo essere più profondo.
<<Certo, te lo prometto, e ti prometto anche che ti porterò fuori da qui sano e salvo>> Ghus si portò una mano sul cuore, poi si alzò e continuò a combattere con ancora più ardore e forza di prima. Era riuscito ad eliminare altri tre nemici per una fortuna sfacciata, aveva lanciato qualche fendente a destra e a manca e per mera casualità era riuscito ad ucciderli o ferirli in modo talmente grave da farli allontanare. Lo stava facendo per sé e per la propria famiglia, ma lo stava facendo anche per un compagno e per la famiglia di questo. Doveva riuscirci, doveva uscire vivo da quella battaglia, doveva andarsene sulle sue gambe dalla città infernale di Ustra, doveva riferire che un padre di famiglia era caduto valorosamente e combattendo con tutto il fiato che aveva nei polmoni, glielo doveva, glielo aveva promesso.
Ophelya percepiva una strana sensazione allo stomaco, come se stesse per arrivare la notizia più brutta della sua vita. Joh e Wharz si alzarono dai rispettivi letti e si diressero nella cucina della casa reclamando gentilmente dalla sorella del cibo. Ophelya diede loro ciò che aveva preparato e poi si mise a pulire tutti i diversi ambienti della casa, ma quella sensazione non se ne andava, continuava a percepirla, sempre più forte e sempre più limpida, cresceva come cresce l'edera, lenta e invadente. Non voleva che i suoi fratelli vivessero le stesse orribili esperienze che lei aveva dovuto affrontare quando aveva circa la loro età, non voleva che fossero in pericolo, voleva proteggerli con tutto il fiato che aveva in corpo, fino alla sua ultima briciola di forza. Joh andò nell'orto dietro casa a raccogliere quello che sperava fosse cresciuto, mentre Wharz si diresse nel pollaio a raccogliere le uova che sarebbero servite per il pranzo. Completamente assorta nei suoi pensieri non si accorse che qualcuno aveva bussato alla grande porta di legno. Solamente quando l'uomo all'esterno della casa urlò che c'era una comunicazione importante, Ophelya si ridestò dai suoi pensieri e aprì la porta.
<<Scusi signor soldato, non l'avevo sentita>> disse la ragazza sistemandosi i capelli in fretta e osservando chi l'aveva distratta da tutto quel vortice di angoscia in cui era immersa fino a qualche secondo prima.
<<Nessun problema signora. C'è una comunicazione urgente, sto andando di porta in porta a consegnare la pergamena che il nostro re Vizti ha comunicato di dare a tutti. Non si faccia prendere dal panico, i generali hanno tutto sotto controllo, questo è solamente un avviso>> aveva risposto il soldato bardato di un'armatura ferrea, pesantissima soltanto a vederla.
<<Va bene signor soldato, arrivederci e lunga vita al re>> Ophelya aveva detto il tutto un po' sbrigativamente, aveva la necessità di leggere quello che le era stato consegnato, di capire cosa il re volesse comunicare a tutti.
<<Lunga vita al re>> aveva risposto l'uomo prima di allontanarsi verso il suo cavallo nero come la pece e ripartire in una corsa selvaggia verso la prossima abitazione e la prossima famiglia da avvisare. Prima di rientrare in casa la ragazza diede una veloce controllata ai fratelli e notò che erano impegnati a giocare nel campo adiacente, poi tornò nella sicurezza inespugnabile di quella casa.
Aprì la pergamena e non avrebbe mai voluto farlo. Stava arrivando e nessuno poteva impedirlo. Il suo incubo si stava ripetendo, ma questa volta avrebbe fatto qualcosa, non sarebbe rimasta in disparte a subire e basta, avrebbe reagito, per lei e per i suoi fratelli. Loro non avrebbero dovuto saperlo, sarebbero dovuti restare all'oscuro di tutto finchè non si fosse presentato il momento decisivo.
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