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There's someone for you...

 "C'era una volta un mercante, al famoso mercato di Baghdad. Un giorno vide uno sconosciuto che lo fissava con stupore e capì che quello sconosciuto era la Morte. Pallido e tremante il mercante fuggì dal mercato e corse molte e molte miglia per arrivare alla città di Samarra: era certo che là la Morte non lo avrebbe trovato. 

Ma quando giunse a Samarra il mercante trovò ad attenderlo la sinistra figura della Morte.

«Molto bene», disse il mercante. «mi arrendo: sono tuo. Ma dimmi, perché avevi il volto sorpreso nel vedermi stamattina a Baghdad?»

«Perché», disse la Morte, «avevo un appuntamento con te stasera, qui a Samarra»"

-Parabola della morte inevitabile-

 

Jacob e Jeff


Un libro.

(T/n) aveva usato un libro in particolare per fare quella mappa e aveva dato tutto a Jacob, dicendogli di nasconderlo e Jeff non avrebbe esitato un secondo per andarselo a prendere.

Questa volta, mentre correva per le strade con il bambino alle calcagna che gli pregava a gran voce di aspettarlo, con la mappa stretta in mano e superando ogni ostacolo della strada, non si curò se quest'ultima fosse illuminata o meno, non si curò che qualcuno potesse vedere o sentire, nella notte, la sua sinistra figura che correva per la strada principale deserta, veloce come non aveva mai fatto prima, con un bambino, a metri di distanza, che cercava faticosamente e disperatamente di seguirlo per non rimanere da solo per la strada.

Jeff non si curava di queste cose mentre il suo cuore batteva fino a fargli male, con i polmoni in fiamme e i muscoli che continuavano a muoversi incessanti e scattanti, un passo dopo l'altro, un'ampia falcata velocemente sostituita da un'altra.

Aveva iniziato quella folle corsa subito dopo la fine del racconto del bambino.

Il libro, nella camera, nel cassetto.

Questo era ciò che di più importante sapeva in quel momento e, dopo aver raccattato la mappa e la cartina e averle gettate dall'altra parte della recisione facendole passere per le sbarre, si era arrampicato di corsa, ancora più velocemente e con maggiore decisione rispetto alla prima volta, così veloce che Jacob si chiese se quella persona davanti a lui fosse reale o se non fosse uscita fuori da una sorta di storia dell'orrore.

Si era fatto ricadere di peso, atterrando con un tonfo sui piedi, piegando le ginocchia e con una mano in vanti per ammortizzare il colpo mentre, con l'altra, già afferrava quelle carte e scattava via senza degnare di una spiegazione il bambino ammutolito da tale comportamento.

Jacob lo aveva visto scappare via, lo sguardo ceco davanti a tutto quello che non fosse il suo obbiettivo, e, mentre lo rincorreva e vedeva quella figura in felpa bianca, impegnata in quella corsa frenetica contro chissà chi, sparire sempre più lontano ad ogni svolta, sentiva i muscoli dolergli e le gambe cedergli per lo sforzo nel vano tentativo di inseguirlo.

All'ultima svolta, quando lo raggiunse ormai stanco morto, si rese conto che anche Jeff aveva il fiatone, meno del suo ma comunque lo aveva, i capelli lunghi e neri erano scompigliati dalla corsa e quello sguardo, quello di chi è prossimo alla linea del traguardo e non ha nessuna intenzione di cedere contro il suo invisibile avversario, quello di chi da il massimo e anche oltre per il proprio obbiettivo, non lo aveva ancora abbandonato.

E allora perché fermarsi davanti alla porta d'ingresso?

Quando Jeff era arrivato davanti alla casa aveva i muscoli in fiamme e un solo pensiero per la testa ma aveva passato troppi anni a dedicarsi all'omicidio, troppi anni a stare attento ad ogni particolare, troppi anni a stare in guardia e troppi anni ancora a essere un ricercato per non notare quel piccolo e a prima vista insignificante particolare.

Oltre il buio male illuminato della notte ormai prossima alla fine, oltre il cancello di steccato dipinto e lungo il viale del giardino verso il porticato, anche se in ombra, poteva vedere la porta d'ingresso, semplice, verniciata di bianco ma soprattutto aperta.

Non troppo, giusto il necessario per sgusciare dentro e riuscire indisturbati subito dopo.

A questo punto i casi erano due, qualcuno era entrato oppure era uscito ma dubitava fortemente che fosse stato il proprietario a farlo, se lo avesse fatto infatti, probabilmente dopo essersi reso conto dell'assenza del figlio, avrebbe attraversato la porta in preda al panico e certamente non l'avrebbe socchiusa.

Un ladro sarebbe entrato da una finestra, perché aprire la porta e attirare attenzioni?

Lasciarla aperta, quel poco che bastava per attirare l'attenzione, quel tanto che bastava per invogliare chiunque ad aprirla, come una busta nera sul tavolo in mezzo a mille bianche.

Non era un caso.

Mentre Jeff pensava a queste cose Jacob si era fermato a riprendere fiato e guardava lo sguardo attento dell'assassino con curiosità, non aveva notato la porta aperta e questo lo portò a chiedere all'unica persona accanto a lui cosa stesse succedendo ma Jeff non rispose subito, si avviò con passo lento e deciso verso il cancelletto e lo aprì con una mano.

Non cigolò, l'unico rumore di quella notte dall'aria ferma e innaturale erano i loro respiri affannati che si condensavano in piccole nuvolette di vapore nel freddo e, nell'atmosfera e nella stranezza di quel momento, Jeff poté distintamente sentirvi la presenza della morte, l'oscura presenza dal pesante manto di nebbia, impalpabile, fredda, gelida e reale.

"Rimani qui"

Non c'erano inflessioni nella sua voce e il suo sguardo rimaneva fisso su quella porta che lo invitava ad entrare.

Non percepiva la presenza di nessuno in quella casa ma sapeva che al mondo vi erano persone abbastanza pericolose e, nel caso ci fosse stato il bisogno di combattere, non voleva assolutamente un moccioso tra i piedi.

"Perché? E' successo qualcosa?"

Jacob si alzò in punta di piedi per cercare di vedere dietro a Jeff ma, oltre la figura del porticato in ombra tagliata dal cancelletto troppo alto per lui, non vedeva assolutamente nulla di sospetto.

"Ubbidisci e basta"

Replicò Jeff senza staccare gli occhi dalla porta mentre spalancava definitivamente il cancelletto e infilava le mani nella tasca della felpa per afferrare il coltello.

Jacob capì subito che quello che aveva appena ricevuto, espresso con un tono freddo e deciso, era sicuramente un ordine e, mentre Jeff si avviava per il vialetto di casa sua, dopo l'esperienza passata a confronto con la rabbia di quell'individuo dal sorriso inciso, non osò discutere e si limitò ad osservalo mentre avanzava.

L'immagine di Jeff lo colpì abbastanza, anche a distanza di anni probabilmente lo avrebbe ricordato in quel modo, poco tempo prima era stravolto dalla rabbia, impulsivo e violento ma ora, per chissà quale motivo, avanzava a testa alta, gli occhi puntati su un qualcosa che lui non capiva ma che gli ricordò un lupo in guardia, all'apparenza calmo, le spalle rilassate e il sorriso impassibile eppure, ci avrebbe giurato, era sicuro che chiunque lo avrebbe attaccato avrebbe avuto filo da torcere.

Jeff raggiunse la porta con pochi passi e, prima di aprirla lentamente con un piede, osservò che la serratura non era affatto forzata, la porta era stata aperta dall'interno ed era un vero e proprio invito ad entrare, lo stavano aspettando?

Un sorriso si allargò sul suo volto immaginando chi lo stesse attendendo, l'adrenalina iniziò a scorrere nelle sue vene e, quando fu sicuro che sarebbe stato in grado di affrontare chiunque, un leggero ridacchiare gli uscì dalla gola mentre spalancava definitivamente l'entrata e varcava la porta pronto ad accettare e vincere ogni sorta di sfida.

Entrò nella casa senza alcuna esitazione, la porta, già socchiusa, si era aperta senza un rumore sull'abitazione mortalmente silenziosa.

Era tutto in ordine, nulla era stato toccato o trafugato, quadri o oggetti di valore giacevano al loro posto, il buio avvolgeva gli interni e l'unica luce che rischiarasse l'ambiente era quella tenue e artificiale dei lampioni che penetrava dalla finestra in fondo al corridoio e dalla porta alle sue spalle contribuendo così a proiettare sul pavimento la sua figura allungata.

Una casa tranquilla, in una notte tranquilla di quel tranquillo paese di periferia al limitare del bosco, se non fosse stato per quel pressante odore di morte e sangue che viziava l'aria interna e che avrebbe fatto soffocare chiunque.

Chiunque tranne lui, lui ci era abituato e tranquillamente, come se guardasse la replica di un film già visto milioni di volte ma che non aveva mai smesso di divertirlo, sorrise mentre seguiva con gli occhi l'appena visibile scia di sangue che macchiava le scale sulla sinistra del corridoio e portava al salone adiacente sulla destra dove, quell'odore nauseabondo di carne e sangue, era particolarmente forte.

Non smise di sorridere quando mosse i primi passi all'interno dell'abitazione immergendosi nel buio e nel tanfo che non rappresentavano affatto un ostacolo per la sua persone e si diresse deciso verso la scia di sangue davanti a lui per sfiorarla con una mano.

Il sangue era ancora abbastanza fresco e una macchia rossa si formò sul suo dito che poi portò alla bocca.

Leccò il dito sporco di quella sostanza, ne assaporò il sapore forte e ferroso che ad altri avrebbe fatto storcere la bocca, per poi leccarsi con gusto il contorno della bocca e le cicatrici lungo le guance.

Sentiva che la sua serata stava per prendere una piega inaspettatamente dolce e piuttosto divertente.

Con quel dolce e ferroso sapore in bocca osservò la scia che scendeva giù per le scale per poi seguirla con gli occhi e girare lentamente la testa verso destra studiandone attentamente la forma.

Qualcuno, e poteva anche giurare chi, era stato ferito, forse anche gravemente, e trascinato di forza giù per le sale, si potevano notare impronte insanguinate e allungate con la forma delle dita lungo tutta la parete delle scale, immaginava lo avessero trascinato per i piedi, facendogli sbattere la testa ad ogni singolo gradino, per poi trascinarlo mezzo intontito nel salone e girare sulla destra, arrivando così in un punto cieco per la sua visuale a causa della colonna che divideva le due entrate per il salone.

Non stava più nella pelle, si mise a ridere mentre girava la colonna e rise ancora di più davanti a ciò che vide.

Dietro il divano, appoggiato ad esso di schiena e contornato da quello che prometteva di diventare un lago di sangue, stava quel figlio di puttana.

Jeff, mentre ancora rideva allargando il suo sorriso all'inverosimile, si inginocchiò tra il sangue e le gambe dell'uomo, aperte e ritorte in una maniera innaturale per osservare meglio il lavoro che era stato svolto.

Le gambe, come aveva già precedentemente notato, erano rotte, le braccia ricadevano molli e abbandonate sui fianchi e anche la testa penzolava sul petto che presentava un'ampio taglio all'altezza dello stomaco mettendo a nudo gli organi interni dell'apparato digerente.

Le dita di ogni mano erano ritorte al contrario, le unghie erano state tutte strappate e, quando afferrò la testa dell'uomo per il cuoio capelluto e gli sollevò la testa, Jeff poté notare con un briciolo di dispiacere che i muscoli della mascella erano già stati recisi ed essa ricadeva molle, ricoperta di rivoli di sangue denso e grumoso e saliva schiumosa, lasciando intravedere i denti spaccati all'interno.

Il volto, e avrebbe giurato non solo quello, era livido per il pestaggio, un'occhio era così gonfio che difficilmente si sarebbe aperto, il naso era spaccato e perdeva sangue così come le labbra ma, la cosa che gli piacque di più, fu constatare che quel bastardo respirasse ancora nonostante fosse ormai incosciente.

Un'inquietante risata a stento soffocata uscì dalla gola di Jeff mentre affondava le mani in quel taglio sul ventre e ne torceva le budella facendo svegliare Michel in un'altro incubo di dolore.

Altro sangue gli risalì fino alla gola e, non riuscendo a sputarlo, mentre una parte di esso colava lungo i lati recisi della mascella, mischiando il sangue e la saliva fino a creare una disgustosa bava rossa, altro sangue gli rimaneva in gola, facendolo tossire e creandogli lancinanti fitte di dolore al costato, rischiando di farlo soffocare.

Probabilmente soffocare ora sarebbe stata una benedizione per lui ma, quando riuscì un poco ad apri l'occhio meno pesto, si chiese davvero se non fosse già morto e se, l'orribile e terrificante volto che gli si presentò davanti, bianco quasi come quello di un morto ma con occhi grandi e cerchiati di nero, accesi di una macabra gioia che gli fece sentire, ironia della sorte, un grande buco allo stomaco, facendogli torcere le interiora dalla paura, non fosse in realtà il demonio in persona.

Per non parlare di quel sorriso, quel sorriso che prometteva di farlo morire nella maniera più atroce possibile e che gli fece venire voglia, nonostante non ne fosse in grado, di pregare e supplicare, di prostrarsi a terra nella paura e chiedere la grazia di essere lasciato morire in pace.

Solo dopo, con orrore, Michele si rese conto che quella figura, prima di avvicinarsi a lui e iniziare a sussurrare al suo orecchio parole macabre con un tono di voce quasi familiare, estrasse la mano, rossa del sua sangue, dall'interno del suo ventre.

Avrebbe voluto urlare, vomitare per il disgusto e svegliarsi la mattina, agitato e sudato tra le sue coperte bianche ma sicuro che quelle due figure non fossero mai arrivate.

Purtroppo per lui però, tutto quello che poté fare, fu tossire alto sangue e bava dal sapore del ferro.

"E' un piacere rincontrarla. Michel. Benedict"

Jeff scandì bene nome e cognome della persona dinanzi a lui mentre due sensazioni ben diverse iniziavano a scorrere giù per la spina dorsale dei due uomini.

Per il primo; gioia ed eccitazione, l'attesa lo stava mettendo in estasi, tutto quel sangue, quel corpo martoriato lì davanti a lui che lo aveva aspettato per tornare a dormire un'ultima volta, per ricambiare il "favore" che gli aveva fatto non poco tempo prima mentre, il secondo; fu attraversato da una scossa di terrore e sconcerto quando realizzò in quel mostro l'uomo che, solo poco tempo prima, aveva ringraziato di cuore.

"Il mio nome, è Jeff, Jeff the Killer, per essere precisi, è stato davvero un... piacere conoscerla!"

E così dicendo, Jeff tornò a ridere così forte che finì per mancargli il respiro, dovette alzarsi e appoggiarsi al tavolo dietro di se mentre rideva e si sorreggeva al legno per non cadere, la testa riversa all'indietro in una risata liberatoria che lo scuoteva dal profondo del sue essere, i capelli, di quello strano nero bruciato, che gli ricadevano all'indietro lasciando completamente scoperto quell'orribile volto da incubo che disperò ancora di più Michele quando lo riconobbe davvero.

Era lui, non c'erano dubbi, era una delle persone di quelle foto di quella sera, uno psicopatico.

Aveva ringraziato uno psicopatico per aver salvato suo figlio, probabilmente, se fosse arrivato troppo tardi lo avrebbe ammazzato quel bambino e ora cosa voleva?

Aveva sospirato di sollievo quando aveva scoperto che Jacob non era in casa all'arrivo di quei due mostri che lo avrebbero poi ridotto così com'era ora ma se... NO!

Non voleva neanche pensarci, il suo povero bambino preso e torturato da quel mostro, una terribile ansia si impadronì di Michel quando si chiese dove fosse finito Jacob se non tra le mani di quel mostro. 

"Sai Michel, sei stato un grandissimo figlio di puttana"

Disse Jeff quando smise di ridere e fissando qualcosa nel vuoto.

Il volto era sempre sorridente ma, la cosa che spaventò di più Michele, fu lo sguardo nei suoi occhi, erano lucidi, coscienti, non era un folle in preda ad un delirio e, quando Jeff si rimise di nuovo inginocchiato davanti a lui, Michel seppe da quello sguardo che quella persona, quel mostro, quel Jeff the Killer, era felice e perfettamente cosciente della sua situazione.

"E sai perché lo sei stato, Michel?"

Pronunciò Jeff mentre estraeva dalla tasca il suo fidato coltello e Michel, impotente davanti a tutto, non si prese neanche la briga di provare a rispondere, sapeva che quella era una domanda retorica e, inoltre, sapeva che sarebbe morto comunque a momenti, la vista si faceva sempre meno chiara, i suoni erano ovattati e doveva sforzarsi per dare un senso alle frasi.

Jeff, consapevole della situazione del moribondo, appoggiò la punta del coltello nel mezzo della gola dell'uomo afferrandolo per i capelli in modo tale che guardasse bene negli occhi chi lo stesse uccidendo e, stringendo la presa sul coltello, continuò a parlare.

"Ti sei preso una cosa che mi appartiene, non avresti dovuto metterle le mani addosso, neanche gli occhi, non dovevi proprio notarla, la sua vita, ogni suo istante e ogni suo respiro mi appartengono dal primo all'ultimo, è MIA. Sai di chi sto parlando vero?"

Jeff parlava e Michel capiva ancora meno, stava perdendo coscienza velocemente e, sia per rendere la cosa più interessante che per farlo rimanere cosciente, Jeff iniziò ad affondare la lama nel collo dell'uomo partendo prima dalla punta per poi fermarsi e ricominciare a parlare.

Il dolore permise a Michel di comprendere almeno il senso della frase.

"Non avresti dovuto scoparti (T/n), ti sei divertito quella volta? E' il momento di pagare, le puttane si pagano sempre e questa volta riscuoto io il prezzo. Lei è mia e, nel caso se ne fosse dimenticata..."

Jeff, stringendo i denti in un misto di rabbia ed eccitazione per la gioia che stava per provare, affondò con decisione l'arma nel collo dell'uomo fino a metà lama permettendo ad un flusso di sangue, ormai quasi esiguo, di uscire piano lungo la pelle, un tempo curata e morbida, del moribondo.

"Nel caso se ne fosse dimenticata me la sbatterò così forte che quando avrò finito non si ricorderà neanche più il suo nome e poi lo rifarò ancora... e ancora... e ancora, fin quando non oserà mai più tradirmi o anche solo lasciarmi. Lei. E'. Solo. MIA"

E con l'ultima parola affondò completamente la lama nel collo di Michele che, se già prima era in difficoltà per respirare, ora non riusciva proprio a farlo.

Un rumore gorgogliante, prodotto probabilmente dal sangue rimasto in gola e l'aria che cercava di uscire ed entrare nei polmoni, proveniva dalla sua gola mentre quella bava rossastra e grumosa ricadeva agli angoli della mascella fino a concentrarsi sul mento.

Con uno scatto della mano, mentre si gustava ogni istante di quella agonia, estrasse la lama dalla gola dell'uomo, il sangue iniziò a fuoriuscire da esso e il corpo di Michel venne scosso dalla tosse che lo portò a tossire sangue sul volto di Jeff che, ancora lì inginocchiato, non si sarebbe perso neanche un istante di quel soffocamento e non si schifò minimamente di tutto quel sangue ma, anzi, ne fu contento come un bambino alle prese con un giocattolo nuovo.

Come ultima cosa, mentre la vita scorreva definitivamente via da Michele, si avvicinò all'orecchio dell'uomo in modo tale che potesse sentirlo e gli pronunciò queste distinte parole.

"Non preoccuparti, mi occuperò io del piccolo Jacob, ora... torna a dormire figlio di puttana"

La voce di Jeff, subdola e inquietante, strisciò su Michel come un serpente viscido e velenoso, il suo cuore, già allo stremo, batté un'ultimo e forte colpo per la paura, poi, quando un fiume di lacrime stavano già bagnando il volto tumefatto dell'uomo, Michel Benedict, l'uomo allegro, quello che curava ogni aspetto della sua vita e di quella di Jacob perché le considerava così importanti, cessò di esistere.

Morì così, in preda al dolore, sotto lo sguardo sadico e implacabile del suo assassino e con la sola immagine del figlio che aveva amato con tutto se stesso e che mai più avrebbe rivisto.



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Ok. Io osserverei un minuto di silenzio per il povero Michel... sapevo dall'inizio che sarebbe morto ma mi ci ero anche affezionata...

Era una brava persona, non aveva fatto nulla di male e voleva solo il meglio per Jacob, era innocente.

Ma nel mondo non muoiono solo le persone che lo "meritano", ("meritano" perché nessuno merita di morire) ma anche le persone innocenti.

E' un po rivoltante questo capitolo forse ma lo avevo in testa da un pezzo.

Detto questo....

Probabilmente questo è il punto X a cui volevo arrivare, rileggerò il capitolo dopo e deciderò, il prossimo fine settimana potreste trovare o un annuncio o un capitolo.

A poi

poitre1234

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