My light
"Come little children I'll take thee away,
Into a land of enchantment,
came little children the time's come to play,
here in my garden of shadows "
-Come little children-
Jacob e (t/n)
Circa un mese prima...
"Va bene. Il tempo è finito, consegnate i compiti e preparate lo zaino"
Disse la maestra Carla, una donna ormai vicina alla pensione e con i capelli tinti di biondo rigorosamente tirati all'indietro, quando suonò la campanella, battendo le mani per attirare l'attenzione degli alunni e iniziando a passare per i banchi a ritirare i compiti.
Titolo: la mia mamma.
Faceva questo lavoro da anni, forse anche troppi pensava e ogni nuova classe sembrava più vivace della precedete, una volta era stata una bava insegnate amante del suo lavoro, ora che gli anni erano aumentati però, questo amore era diminuito e il suo programma didattico, prima così vario, ora era immutato da anni.
Ancora una volta avrebbe corretto quasi venti temini sulla mamma e ancora una volta avrebbe letto sempre le stesse cose.
La mia mamma è bella, voglio bene alla mia mamma, la mia mamma mi compra le caramelle e così via.
In fondo che voleva farci?
I bambini erano pur sempre bambini, non poteva certo pretendere di ottenere un tema vario e strutturato.
Mentre ritirava i compiti dai vari banchi e mentre i bambini, uno per volta, si caricavano lo zaino in spalla e uscivano dalla classe ridendo e scherzando, uno studente attirò la sua attenzione.
I capelli di un bruno chiaro e lisci coprivano i suoi occhi (c/c) mentre continuava freneticamente il disegno della mamma infondo al tema sperando fino all'ultimo di riuscire a finirlo.
Eppure era strano, aveva pensato la maestra, sapeva che quel bambino non aveva madre eppure quando gli aveva detto che avrebbe potuto scrivere del padre le aveva risposto che non voleva, lo voleva fare sulla mamma come tutti gli altri.
"Forza..."
Diede un'occhiata al nome scritto sul banco, erano passati mesi eppure ancora non ricordava bene i nomi.
In realtà non aveva neanche voglia di impararli.
"...Jacob, il tuo papà ti sta aspettando, consegna il tema"
Il bambino alzò lo sguardo e lo fissò implorante sulla maestra.
"Ti prego! Ho quasi finito!"
Carla però non si fece intimorire e indispettita prese il foglio in malo modo strappandolo dalle mani del bambino.
"No. Hai avuto lo stesso tempo degli altri quindi consegnerai come gli altri"
Più di ogni altra cosa la maestra voleva andarsene a casa e certamente non sarebbe stato quel bambino a fermarla.
Quanto era lontana la pensione, si ritrovò a pensare con malinconia.
Jacob si imbronciò subito, aveva quasi finito, mancava di colorare il prato e avrebbe finito il disegno della mamma.
Non poteva certo farglielo vedere poi se non era finito.
E se avesse preso un bel voto lui voleva certamente farglielo vedere!
Invece di protestare però, prese il suo astuccio e lo mise con rabbia nella zaino, se lo caricò in spalla e stava per uscire dalla classe ad occhi bassi quando la maestra lo richiamò ancora, irritata dal suo comportamento, e lo costrinse a fermarsi.
"Jacob! Come si dice quando si va a casa?"
La maestra Carla incrociò le braccia al petto e guardò paziente quel suo alunno a suo avviso indisciplinato, che borbottò controvoglia un veloce "arrivederci maestra Clara" per poi correre fuori dal padre.
Il padre, il signor Michel Benedict, un uomo alto, sui venticinque anni, i capelli neri e lucidi tirati all'indietro con del gel e dei chiarissimi occhi blu, indossava un completo in giacca e cravatta bordeaux e stava messaggiando al telefono quando il figlio uscì dalla classe.
Appena lo vide, imbronciato e con la testa china, mise da parte il telefono e gli andò incontro per prendergli la cartella e salutarlo con un'ampio e sincero sorriso.
"Come mai quel broncio tesoro?"
Lo salutò con un largo sorriso affettuoso prendendolo per mano e portandolo fuori verso la macchina.
"La maestra non mi ha fatto finire il tema"
Borbottò il bambino guardando a terra.
L'uomo aggrottò la fronte e guardò il suo bambino, era così carino quando si imbronciava che era difficile prenderlo sul serio.
"Oh no! E per quale motivo avrebbe fatto una cosa così orribile?"
Disse aprendo la portiera del passeggero accanto al guidatore per poi mettersi alla guida e lasciare dietro lo zaino.
"Perché ha detto che era finito il tempo"
Ammise il bambino mentre il padre gli metteva la cintura di sicurezza.
"Be allora non c'era proprio nulla da fare Jake, hai provato con gli occhi dolci? No? Beh la prossima volta potresti provarci"
Jacob aveva scosso la testa, non era bravo a fare gli occhi dolci come diceva il papà.
Ma se solo ci fosse riuscito forse... avrebbe potuto finire il disegno e la mamma sarebbe stata contenta.
Vedendo che si stava per mettere a piangere Michele provò con un'altra domanda per distrarlo mentre metteva in moto l'auto.
"Di cosa parlava il tema?"
Quando sentì la risposta si rabbuiò per un momento.
Sapeva che qualcuno aveva abbandonato quel bambino davanti alla sua porta anni fa e lui non aveva avuto il cuore di separarsene.
Aveva quasi meno di un anno quando aveva fatto le pratiche per l'adozione, non aveva cercato la madre e certamente non le avrebbe restituito il bambino se glielo avesse chiesto.
Chiunque avesse il cuore di abbandonare un bambino così piccolo non poteva essere considerato un genitore.
"Che ne dici se oggi ti prendo un gelato e giochi fuori con gli amici, eh ometto?"
Disse riacquistando il suo sorriso solito e scompigliando i capelli castani del bambino.
Gli occhi di Jacob, quei grandi occhi (c/o) che Michele tanto adorava, si illuminarono, ma non per quello che il padre credeva, si illuminarono perché se poteva giocare fuori, aveva pensato il bambino, sarebbe potuto andare nel bosco vicino casa e allora avrebbe potuto vedere la sua mamma.
"Si!"
Michele sorrise, non sapeva che il suo amato figlioletto si inoltrava così spesso nei boschi, qualche volta lo aveva visto ma sembrava stesse giocando con gli amici, il loro era un paesino piccolo al limitare del bosco, per andare al lavoro doveva fare parecchi chilometri con la macchina e raggiungere la città vicina.
Le uniche cose che erano lì era qualche casa, un parco giochi, le elementari e l'alimentari ma in compenso gli spazi verdi dove far giocare i bambini non mancavano di certo e l'aria era sicuramente più pulita di quella della città.
Arrivati a casa Michele parcheggiò sul viale davanti casa, una casa coloniale americana, bianca, a due piani e con delle colonnine sul porticato, e aprì la portiera al figlio.
"Torna quando fa buio o ti vengo a cercare"
Gli aveva detto con quel suo solito sorriso che nascondeva la sua stanchezza fisica prima che il bambino potesse correre via a giocare.
Tornava infatti dal lavoro in città ed era terribilmente stanco ma tirare su quel bambino non era mai stata una fatica ma, anzi, era stata la sua gioia da lì a cinque anni.
"Certo!"
Rispose allegramente il bambino che fece per scendere dall'auto ma poi, come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa di importante, si girò, non poteva certo scendere senza primo ringraziarlo.
Si avvicinò al padre e gli diede un bacio sulla guancia per poi ringraziarlo ancora e correre via.
Per la fretta si era anche dimenticato del gelato.
Felicemente iniziò a correre verso i primi alberi e poi sempre più in là, oltre la staccionata e verso il profondo della foresta.
Quando la vegetazione si fece più fitta rallentò il passo e iniziò a guardarsi intorno, la mamma gli aveva detto tante volte di stare attento se voleva venire a trovarla e così lui faceva.
Non sapeva dove stava andando, era come un gioco per lui, una sorta di nascondino, non sapeva dov'era ma sapeva che la mamma l'avrebbe trovato.
Si fermò quando sentì dei passi alle spalle, mancava ancora tanto al tramonto quindi non aveva ancora paura del bosco e poi perché averne?
La mamma l'avrebbe trovato e allora sarebbe stato al sicuro.
Gli ultimi rami vennero spostati e mostrarono una figura alta, almeno per il bambino, con una felpa senza maniche e le braccia coperte di bende.
I pantaloni e la felpa erano macchiati e sbiaditi e portava una lunga lama alla destra e alcuni coltelli alla sinistra.
A chiunque quella figura avrebbe trasmesso una sensazione di diffidenza ma non a Jacob.
I suoi occhi si illuminarono e iniziò a correre verso la madre a braccia aperte, calpestando le foglie secche sul terreno e rischiando quasi di cadere a causa del terreno accidentato.
Lei sorrise sinceramente felice di vederlo e lo accolse tra le sue braccia tenendolo stretto a se, lo sollevò da terra e lo fece ridere girando su se stessa.
La risata e il sorriso di quel bambino erano diventati la sua ragione di vita.
Le si era spezzato il cuore quando aveva dovuto abbandonarlo, la gravidanza era stata difficile ma tenerlo sarebbe stato impossibile.
Quando lo aveva lasciato aveva promesso a se stessa che non lo avrebbe più rivisto, non sapeva con quale miracolo era riuscita a rimanere cosciente il tempo necessario per far si che non succedesse nulla di grave al bambino, alcune volte non c'era riuscita e allora aveva temuto il peggio ma alla fine era nato...
... e lo aveva abbandonato.
Aveva scelto la persona che le sembrava più adatta e si era ripromessa di non vederlo mai più e invece ogni notte lo andava a trovare finché non fu lui a cercarla nei boschi.
Aveva pianto per la paura e la gioia quel giorno.
Gioia perché l'aveva riconosciuta come mamma, come la persona che ogni notte furtivamente si intrufolava nella sua camera, lo baciava, carezzava e lo guardava dormire e paura perché temeva si potesse fare del male, male come aveva sofferto lei se non peggio.
Il tempo era passato ma non era successo nulla di male, anzi ogni giorno riusciva a strappare sempre più tempo per dedicarsi al suo piccolo Jacob e i loro incontri erano diventati il loro momento felice.
Un segreto che avrebbero dovuto tenere entrambi.
Come ogni pomeriggio giocarono finché non divenne tardi, ora erano pirati e poi degli avventurieri, poi, quando il cielo si fece sempre più rosso fino a diventare colore del sangue, (t/n) lo condusse fuori dal bosco e lì lo lasciò.
Era stato un giorno felice quello, speciale come pochi.
Eppure quella volta avevi un brutto presentimento, rosso di sera bel tempo si spera, dicevano, ma tu avevi la sensazione che il domani sarebbe stato più cupo del previsto.
Quando vidi Jacob sparire in casa ebbi l'impressione che quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avresti visto.
Non volevi ammetterlo ma un leggero mal di testa ti aveva attanagliata per tutto il giorno e tu più di altri sapevi cosa significasse.
Sospirasti prima di avviarti suoi tuoi passi e ti eri inoltrata nel bosco da un pezzo ormai quando una voce, purtroppo ben conosciuta ormai, ti raggiunse alle spalle.
"Undertaker"
La tua felicità era finita.
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Ok
Buona sera signori e signore questo è il primo capitolo
Spero davvero di non essermi gettata in qualcosa di più grande di me.
Fatemi sapere
e addio
poitre1234
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