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3 - A caccia di divertimento

Alzo gli occhi verso la luna.

Rotoli di luce candida mi scivolano lungo la pelle, infiltrandosi in ogni solco delle mie braccia e proiettando davanti a me un'aura di biancore. Il resto della mia cute, seppur chiara di proprio, crea un contrasto stupendo con la sua parte gemella baciata del buio.

All'acqua del Mare Senza Confini accade più o meno lo stesso: ondine ed increspature espongono al cielo un lato albino rifulgente, mentre l'altro, che guarda il fondale, rimane immerso nel nero, tendente però al bluastro tipico dell'acqua. Intanto il liquido cristallino schiaffeggia le mie ginocchia con colpi deboli, senza potermi arrivare alle cosce.

Resto spalancata in quella posizione, rimirando i luccichii delle stelle appuntate alla volta celeste.

Avevo bisogno di un momento di pausa: è da parecchi minuti che non ho fatto altro che raccontare a Sbysty tutto. La sfera nel pesce ed il suo potere, che ora abbiamo nascosto con cura in un cassetto. Roba da raccontare in due frasi, ma che io ho dilungato in un centinaio.

Ma tutto viene bruscamente interrotto dallo schiocco di due mani contro la mia schiena.

Dopo un secondo sono già affondata nell'acqua di faccia. Fitte di gelo mi pungono la pelle mentre Sbysty si stacca.

Riemergo voltolandomi ossessivamente e sputando acqua.

Sbatto le palpebre un paio di volte per togliere l'acqua dalle cornee. Dopo, riesco a vederlo, davanti a me, con un sorriso trionfante sul volto, nonostante l'oscurità notturna rotta dalla sola luce lunare.

La mia mente elabora un piano diabolico in un secondo.

Salto, con un balzo felino, verso di lui, per dargli una spinta ancora più forte come vendetta.

Ma lui, previdente, ruota di novanta gradi su un piede, schivando il mio attacco.

Nel momento in cui io gli resto davanti coi piedi per terra, in equilibrio precario, confusa dalla sua mossa, mi dà un altro spintone. Cado su un fianco. Poiché colta impreparata, ingollo ancora più acqua e devo rivoltarmi come un'onda impazzita per riemergere.

Tiene in mano il pallone, facendo qualche passaggio tra le ginocchia. Quando mi rivolge nuovamente lo sguardo, reindossa quel sorrisetto beffardo e sfottente. Mi fa rosicare così tanto che vorrei riempirgli quel bel faccino di assestatissimi, precisissimi e meritatissimi schiaffi.

Ma le mie gambe, così come i miei polmoni, implorano pietà e riposo. Sono costretta ad arrendermi a ciò che postulano. -Hai vinto.

Il suo sorrisetto si fa ancora più beffardo e sfottente mentre si avvicina a me che sono ancora semi-distesa, torreggiando. -Brava bambina - commenta accarezzandomi i capelli come accarezzasse una razza. Il mio istinto omicida si dà ad un intenso lavoro. -Quindi non ti dispiacerà se...

Sfila a velocità stratosferica le mani e me le lancia lungo i fianchi per farmi il solletico.

Mi raggomitolo, in una risposta corporea automatica, mentre i miei polmoni impazziscono: mi balzano all'impazzata e la mia pelle si accumula cercando di evitare i suoi polpastrelli spietati. -Il solletico no! - grido, muovendo le mani e cercando di schiaffeggiarlo alla cieca. -Vaffanculo!

Ridiamo entrambi.

Comincio, vedendo che resiste, a scalciare. Gli colpisco le ginocchia, così che perde l'equilibrio e capitombola con un sonoro splash.

A quel punto sono io a ridere, e di vero gusto.

Ma non sembra essere lo stesso per lui quando la sua testa riemerge dall'acqua, esibendo una smorfia contorta dal dolore. -Ahia.

Le mie risate cessano, come fossero azionate da un interruttore. -Cos'hai? - chiedo, improvvisamente spinta a proteggerlo.

-Non so - dice. -Ho sbattuto il naso contro qualcosa.

Per un momento temo possa venirgli un'epistassi. -Stai bene, almeno? - chiedo, ponendogli quasi istintivamente la mano sulla spalla.

-Certo - afferma, -ma che cavolo ho colpito?

A causa del buio non riesco a vedere moltissimo sotto la superficie dell'acqua. -Vediamo.

Raspo con le mani nella sabbia. Lui nel mentre mi osserva con una smorfia sempre dolorante, ma su cui ora affiora della curiosità. Ci disponiamo in modo che la luce lunare possa aiutarci.

Dopo qualche secondo di movimenti, tocco un oggetto solido.

Lo tasto un attimo prima d'estrarlo. Ha una forma sferica, e saggiandone tutta la superficie posso percepire due protuberanze cilindriche tremolanti, che si muovono leggermente mentre maneggio l'oggetto. Un presentimento mi avverte già di cosa troverò.

Lo afferro per intero, con delicatezza perché non si attivi, e lo estraggo dall'acqua.

Come mi aspettavo, è una sfera identica alla precedente, con due protuberanze, e grazie alla luce lunare riesco a distinguerne il colore: verde e rosso. Ma un particolare è diverso.

Tutta la superficie, seppure intagliata e modellata come l'altra sfera, è bianca. Di un bianco tendente al grigio, spalmato come una patina liscissima sulla superficie... metallica.

Non che abbia visto molti metalli in vita mia. So che esistono perché alcuni a Zakarol hanno rinvenuto qualche roba di metallo, oppure nel mare, ma non servono a nulla. Quegli alcuni li tengono a casa per bellezza, sebbene non abbiano nulla di realmente bello.

Ma questa non è fatta di metallo normale. La sua superficie ha la stessa parvenza, ma è candida.

Sbysty alza gli occhi verso di me: probabilmente ha già capito. -Quella cosa di ieri?

Lo guardo per un attimo senza batter ciglio, prima di liberare gli occhi dal cipiglio che stavo assumendo e di curvare le labbra ad articolare una risposta. -Sì. Ma il colore è diverso.

Lui la prende in mano per il diametro, con una lentezza gentile, guardandomi come per chiedermi il permesso. Dalla mia mancata reazione, capisce che non ho nulla in contrario. Anche se preferirei restasse in mano mia.

Se la rigira un pochino tra le mani, come cercando qualcosa. Poi preme la protuberanza verde.

La mia bocca corre ad urlargli "NO!", ma è già troppo tardi. Ma vuole davvero rimanere intrappolato in un parallelepipedo di vetro?

Ma quel parallelepipedo non appare. Nulla arriva ad imprigionarlo.

Al contrario, appare qualcosa nell'aria. È un disegno, ma come sospeso. Figure di luce bianca, sopra ad un rettangolo fluttuante blu. C'è un nonsoché di immateriale nell'immagine, come se si potesse attraversare con le dita.

Ed in effetti, appena la tocco con un dito, quello la trapassa completamente, come non esistesse.

-Ma... - dice Sbysty, rimanendo poi a bocca aperta. Sta ancora fissando l'immagine, mentre io mi ero concentrata sui miei polpastrelli. Torno a guardarla, e vedo che qualcosa adesso si sta persino muovendo.

-Cos'è questa stregoneria? - sussurra Sbysty, mentre io studio la figura. Al centro c'è un grande cerchio. Non proprio un cerchio, ma una figura circolare irregolare e frastagliatissima. La forma ricorda molto Zakarol; invece, al centro del cerchio stesso, si vedono alcuni simboli, una specie di lingua strana.

Attorno al centro si vedono tre punti disposti a triangolo. I due più in alto corrono verso quello inferiore, come unendosi; dopo di che, il puntino rimasto corre verso il basso. Mentre lo fa il cerchio scorre verso l'alto scomparendo. Quando il punto raggiunge un lato dell'immagine, la sequenza ricomincia.

Non mi serve dirgli che sono sconcertata. Dopo quel parallelepipedo, non potevo aspettarmi questa. Infatti ci guardiamo negli occhi con la stessa espressione imbambolata, quasi a bocca aperta. Solo dopo un mezzo minuto oso dirgli: -Premi quello rosso.

Lui obbedisce, e l'immagine si avviluppa per un attimo in un filo sottilissimo per poi tornare risucchiata nella sfera.

Lui assume uno sguardo più stupito. Nel mentre gli chiedo: -Hai una tasca?

E così, mentre lui lo tiene in una tasca chiusa, possiamo finire questa nottata.

Altri tuffi, nuotate, qualsiasi cosa. Ma soprattutto lo spingo, lo annego a tradimento, lo schizzo perché s'infreddolisca, assieme a tante altre crudeltà. E lui fa lo stesso.

Non ci preoccupiamo affatto della sfera. Che mai potrebbe farci oltre a produrre un'immagine?

Soltanto dopo un'ora piuttosto tarda, dopo che ho cercato per l'ennesima volta di affogarlo, invano, lui propone riemergendo: -Comunque io sto morendo di sonno...

Mi faccio una breve analisi fisica e vedo che, dietro adrenalina ed ossitocina messe in circolo da tutte le crudeltà che stavo attuando, anche la mia mente sta collassando.

-Pure io - constato. -È il caso di ritornare?

-Sì.

Non batto ciglio (tranne che per il sonno). Cominciamo a procedere, anche se con una certa lentezza, verso la costa. Non la raggiungiamo se non dopo tre minuti di scalciate e bracciate: a quanto pare avevamo raggiunto una secca piuttosto lontana. In questo punto l'acqua era piuttosto limpida, così che non dobbiamo scrollarci di dosso della sabbia.

Alla fine arriviamo, e camminiamo verso la strada. Afferro la sua mano con delicatezza. Non riesco a non notare come non abbia sospirato, al contrario di ieri pomeriggio. A quanto pare si è reso conto che è qualcosa di naturale.

Quando imbocchiamo la prima via, che naturalmente è vuota, vista l'ora, andiamo a passi leggeri e controllati. Di nostro non riusciremmo ad imprimervi forza, ma non vogliamo neppure svegliare mezza città. -Quindi, per domani - esordisco sussurrando - vieni anche tu in spiaggia al tramonto?

Lui annuisce.

Per il resto del tragitto fino a casa non riesco a trovare un altro argomento di conversazione, e francamente la mia mente ottenebrata non vuole neppure parlare. Così camminiamo in silenzio, ed io percepisco solo lo scintillio delle stelle, le scabrosità sotto i piedi ed il suo calore sui polpastrelli.

Alla fine, sbuchiamo in Via del Lino.

Così, prima di sciogliere la stretta, gli chiedo: -La sfera? Voglio tenerla io.

Forse vorrebbe ribattere, ma in ogni caso non ce la farebbe perché il suo sonno traspare chiaramente dal suo solo sguardo. Infilando una mano nella tasca, la estrae e me la porge senza una parola.

La raccolgo dalla sua mano quasi esitando. Qualche goccia d'acqua, che mi è rimasta sulle dita, passa alla sua superficie fredda, che mi dà i brividi.

Ora che ci penso, questa notte è stata piuttosto fresca, tanto che non mi sono asciugata camminando. Posso ancora sentire l'umidità che popola la mia pelle. Non dovrebbe essere un problema, comunque: magari mi terrà un po' di frescura addosso, cosa che non disprezzo. Non danneggerà neanche il materasso, spero: il tessuto dovrebbe essere impermeabile. Ma anche se la sabbia si bagnasse, chi se ne frega: tanto si riasciugherà al sole di domani.

Così, rimango per un secondo con la sfera in tasca, fissandolo. Poi, riesco ad articolare: -Buonanotte, Sbysty.

-Buonanotte, Eth.

I nostri passi sono davvero silenziosi mentre ritorniamo alle rispettive porte. Questa nuotata notturna ci ha davvero spompati.

Cerco di fare il meno rumore possibile mentre entro in casa e procedo verso le scale. Cerco di non far scricchiolare il loro bambù, ma non è molto facile se non con un passo felpatissimo.

Riesco a fare capolino nel piano superiore senza svegliare nessuno. Tutto, com'è prevedibile, stanno dormendo.

Vedo mio padre e mia madre nel loro angolo, e mio fratello in fondo, anche se riesco a vederne solo la testa visto che è coperto dal lenzuolo.

Sempre facendo attenzione a non far scricchiolare le canne, mi dirigo verso il mio letto.

Ed alla fine lo raggiungo davvero.

Ovviamente mettere l'abito è fuori discussione: dormirò col solo costume. Se lo mettessi si bagnerebbe dopo due secondi, e non ho voglia di dormire avviluppata da tessuto madido.

Per la stessa ragione decido di non tirare su la coperta. Abbinando la frescura dell'acqua a quella della notte odierna, passerò, forse dopo tanto tempo, una dormita al freddo. E la desidero parecchio, dopo una vita di caldo.

Di sicuro domani mi sveglierò asciutta come la sabbia, ma intanto mi preservo così.

Dunque, quando chiudo gli occhi dopo non aver dato neppure un segno della mia presenza, una serie di sensazioni comincia a cullarmi.

Tra queste, il tocco delicato ma pungente delle goccioline d'acqua. Il freddo, che mi punzecchia i pori. Il tessuto tiepido del materasso e della sabbia, che si piegano sotto i miei leggeri spostamenti. Tutto questo mi circonda mentre sprofondo rapidamente nel sonno.

Ovviamente, non so quanto dormo. Non so cosa sogno. La mia mente è ottenebrata, e sente solo il desiderio di staccarsi dal mondo.

Quando mi sveglio, tutto sembra esser stato soltanto un velo nero calato sui miei occhi.

Ora vedo la calda, rovente e rischiarante luce del sole. Vedo di nuovo la realtà, la stanza nei suoi colori naturali, il letto di mio fratello vuoto.

Vuoto?

Improvvisamente e d'istinto le orecchie mi si drizzano.

Il mio cuore, che ha accelerato ad un battito doppio, si calma immediatamente quando sente una voce risuonare dal piano inferiore.

Mentre mi alzo, non faccio a meno di notare come avessi ragione ieri: sono asciutta come la sabbia estiva.

Dopo qualche consueta contorsione, i miei piedi raggiungono il pavimento, dove premono provocando una piccola frattura. Ma non è il primo scricchiolio che si senta in questa casa.

Zampetto fino alle scale per poi scendere. Al piano terra, vedo solo mio fratello, che sta rientrando dalla cucina. Il tavolo ha però ancora qualche briciola, segno che è appena stata fatta colazione.

Solo quando realizzo che anche lui indossa solo il costume mi accorgo di quanto faccia caldo. Tra un pochino avrò gli occhi liquidi. E tutta quella massa di pelle, quando lui viene a chiudermi nel consueto abbraccio, non lo allevia di certo. Ma non rinuncerei mai a questo calore umano, a questo affetto. I suoi.

-Ti faccio qualcosa? - mi chiede Shat, quasi timidamente.

-No. Non ho fame. - E giustamente. Ieri ho ingollato tricchie come non ci fosse un domani. Non che sia una fan della tricchia, però è buona. E cavolo se riempie. Da fare invidia ad un banchetto pubblico. -Piuttosto, oggi che farai? - gli chiedo, alzando un po' la testa per guardarlo negli occhi.

-Stamattina i miei amici organizzano un torneo di Herget - risponde. -Capirai che non posso mancare.

Ovviamente. Adora i giochi di carte, ed Herget è quasi una tradizione. Non ci rinuncerebbe mai. Così commento: -Tanto sei scarso.

Riesco a vedere uno sguardo assassino nei suoi occhi prima di voltarmi, diretta al giardino. Però vengo bloccata dalle sue braccia, che mi spingono il ventre all'indietro e mi fanno atterrare su di lui. Mentre la presa si rafforza, sollevo lo sguardo. Vedendo la sua faccia, capisco di essere nei guai. -Ora che ci penso, dedicherò comunque un po' di tempo alla mia adorata sorellina.

Non potrebbe dirlo con un tono più malefico.

-Oh, non scomodarti. Vai pure a giocare - replico, premendo leggermente verso l'esterno per liberarmi. Ma sta stringendo troppo.

-Cosa? Mi rifiuti? - Ora ha una voce quasi cattiva. E quando avverto un delicato tocco sui fianchi, capisco che è troppo tardi.

Comincia a strapazzarmi.

Rapidi ed implacabili movimenti mi infliggono un solletico micidiale. Culmina in una risata improvvisa ed isterica, che mi priva quasi completamente i polmoni dell'aria.

Le mie mani partono istintivamente all'indietro: lo riempio di schiaffi, pugni, colpi e percosse varie, senza però ottenere molto. D'altronde, in questo stato, nessuno si aspetterebbe né che abbia una buona mira né una forza sufficiente.

Vedendo questo, e sentendo l'opprimente reclamo dei miei polmoni, mi sforzo e spingo in avanti. Riesco a rompere la tenuta delle braccia; appena me ne accorgo corro in avanti per fuggire.

Peccato che vada a sbattere con la faccia contro un muro.

Il mio naso si comprime, concedendo la tortura anche alla mia fronte. Poi, rimbalzando, la mia faccia si stacca. Una profonda e dolorosa impronta, però, continua a gravarmi sulla pelle. Le mani si gettano istintivamente in avanti.

-Quanto sei stupida - mi mormora da dietro. La sua voce è più vicina di quanto mi sarei aspettata.

Pur essendo un colpo al cuore, queste parole mi disegnano un sorriso sulla faccia. Che, per di più, si amplia quando sento di nuovo le sua dita scorrere intorno a me, chiudendomi nel secondo abbraccio di questa giornata. Percepisco il calore della sua testa alla mia sinistra, che mi sfiora la spalla.

-Quanto sei stronzo - rispondo io, girandomi per lasciargli sulla guancia un bacio e facendogli un buffetto sull'altra. Lo vedo continuare a sorridere mentre, come serpenti che si ritirino, le sue braccia abbandonano il mio corpo. Poi, mi piazza una delicata pacca sulla spalla, e la scuote.

Sto ancora guardando il muro mentre annuncia: -Io ora esco a giocare. A dopo!

Riesco a voltarmi in tempo per vederlo spalancare la porta. Dico "ciao" mentre la richiude, riportandola al suo posto con un tonfo secco.

Rimasta sola, guardo il salotto.

Realizzando che non stamattina non ho un bel niente da fare.

Continuo a fissare una credenza per qualche secondo.

Poi i miei piedi, come muovendosi di volontà propria, zampettano anch'essi verso la porta.

Quasi non ne sento il rumore mentre la apro e poi la richiudo, con velocità felina, catapultandomi nella strada istantaneamente. Per la rapidità che ho avuto il mio cervello neanche ha elaborato il cambiamento, come se mi fossi tuffata in un portale magico.

Ancora non c'è troppa gente in giro. D'altra parte, il vero delirio è di sera: adesso ci sarà ancora un po' di gente a dormire. A giudicare dalla meridianina (che ho ancora al polso), sono solo le nove e mezza.

Sempre muovendosi autonomamente, i miei piedi corrono alla casa accanto.

Bene, ora possiamo attuare il nostro piano.

Busso alla porta con decisione.

Quasi immediatamente dal piano superiore sento un sospiro. Dopo di che, alcune parole gridate: -Chi è?

-Eth! - urlo io in risposta verso l'alto.

Sbysty si affaccia dalla finestra (nella sua casa, dà anche sulla strada: è stata tagliata su sua richiesta).  -Che c'è?

-Andiamo a nuotare? - grido, saltellando sui piedi e col tono di una bambina che chieda un dolce alla mamma.

-Fammi scendere - sibila, così piano che lo sento a malapena.

Mi lascia così, trepidante ed impaziente, davanti alla porta. Registro con la mente ogni tonfo dei suoi passi che rimbomba attraverso le canne della casa. Non so perché sia in questo stato: improvvisamente l'idea di nuotare con lui ancora, a distanza di poche ore, mi ha come elettrificata.

Dopo una ventina di secondi, la porta si ritira all'indietro, rivelando il suo muso lungo accompagnato da un'espressione scura e smorzata dal sonno.

Il mio primo impulso è di non aspettare una conferma e trascinarlo a forza di braccia fino in acqua, ma viene bloccato dalla sua voce. -Eth, abbiamo nuotato anche ieri.

-E quindi? - rispondo io. -È Snih questo! Un po' di vita!

Lui mormora tra sé e sé, masticando una frase molto simile a "che palle". -Ma variare un po' la tua vita? - si passa una mano nei capelli, pettinandoli. -Se facciamo un salto alla Sfipiana? È un secolo che non ci andiamo.

Vero. Non ne sentivo molto la mancanza, perché mi ero assuefatta al mare ed al lavoro continuo; per di più non sono proprio una sportiva coi fiocchi. Ma quel posto garantisce sempre grasse risate, almeno in quei periodi in cui le idee proliferano.

-D'accordo - dico io. Ed anche se una pesantezza sonnolenta continua a gravargli sulla faccia, vedo farvi capolino della luce, quella luce che voglio faccia sempre splendere.

Mentre camminiamo verso la spiaggia nord, commento, per spezzare il silenzio: -Speriamo che qualcuno abbia inventato un nuovo sport.

Lui è ancora immerso nel mondo dei sogni, ma risponde. -Infatti. Io adoro quel meccanismo. Ognuno può proporre un nuovo sport, così non ci si annoia mai.

Non potrei concordare di più. -Nel caso c'è sempre la classica partita a Tira e Squarta - continua.

-Ti ricordi l'ultima volta? - dico sforzandomi di non ridere.

Ma quando replica -Sì, purtroppo - sono costretta a farlo. Viene come uno scoppio, così che lascio immediatamente la sua mano e mi butto contro il muro più vicino.

Anche se nel mio campo visivo entrano solo le canne della casa a cui mi sono appoggiata, di sicuro la poca gente che ora è in strada mi sta fissando.

Quella volta, c'erano tutte le premesse per fare una partita normale e senza intoppi (cosa quasi impossibile in quel gioco). Quello era il mio presentimento. Io avevo scelto il lato sinistro della linea, quello rosso, quindi avevo legato i miei braccio e gamba sinistri ai corrispettivi destri di Sbysty. Dopo di che, ci eravamo posizionati sul cerchio bianco di partenza, pronti a tirare fino a percorrere tutta la linea e raggiungerne l'estremo. E con noi anche l'avversario.

Ci guardavamo intensamente negli occhi. Un attimo prima che iniziasse lo scontro, gli avevo scoccato l'occhiata di sfida più perfida che la storia ricordi.

Solo che dopo tre secondi di stasi, in cui entrambi aspettavamo che l'altro facesse la prima mossa, Sbysty diede uno strattone così forte che inciampò in avanti. Cadde in avanti, finendo disteso sulla riga blu del suo campo. Il problema è che con lui trascinò me, che, avendo due arti legati, capitombolai proprio su di lui. Eravamo chiusi a libretto. Inutile descrivere quanto imbarazzante fosse quella posizione: mai si è vista caduta più rovinosa.

Un botto.

Esco di colpo dalla mia fantasia, strappata da un suono orrendo, esplosivo.

I miei occhi corrono freneticamente alla ricerca di Sbysty. Quando incrocio i suoi, capisco subito che concordiamo su cosa dovremmo fare.

Una rapida occhiata dietro mi fa vedere che la casa dalla parte opposta si è improvvisamente... rotta. Divelta: molte canne che la componevano sono cadute a terra, spezzate, inondando la strada e scoprendo un intero piano dell'edificio. La sala delle riunioni cittadine.

In un caos generale, riempito dalle grida e dai passi di tutti quelli che stan correndo via, al sicuro.

Nonostante tutto, mentre volto la testa assieme a Sbysty verso la direzione da cui siamo venuti, riesco a vedere una cosa ai margini della strada, vicino ad un pezzo di muro.

Una sferetta di un giallo scintillante.

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