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36 ~ Canea

Arriviamo all'aeroporto di Canea alle cinque e tredici del mattino, come aveva previsto Chris, e il sole ha già fatto capolino sopra l'orizzonte dando all'aria sfumature rosee e giallognole, adatte per l'arrivo in un'isola greca. Non abbiamo valige imbarcate, per cui ci basta prendere i nostri borsoni e scendere dall'aereo, diretti alla cittadina. Chris propone di chiamare un taxi appena troviamo l'uscita mentre io chiedo subito se il paese ha morfologicamente le forme adatte per utilizzare la bici. Lo trovo più adatto, per una fuga come la nostra, utilizzare mezzi estivi come le biciclette. Chris, d'accordo con la mia idea, mi sprona a camminare fino al centro avvertendomi che sarà una lunga passeggiata. Quando siamo per strada, comincio a snocciolargli tutta una serie di domande sui posti che ha visitato, sul tipo di programma che ha intenzione di seguire con me, su cosa vedrò. Ma emozionati come eravamo per l'atterraggio non ci siamo presi il nostro tempo per sistemarci dopo il viaggio di cinque ore. Chris ha dormito e si è riposato, ma io non ho chiuso occhio. Ho continuato ad accarezzargli le mani, presto sono passata ai capelli, ma non si è mai svegliato, così mi sono infilata le cuffiette e ho aspettato, perdendomi in parole e note. Così adesso mi ritrovo la testa appesantita, l'odore dei sedili di pelle sui vestiti e il cellulare scarico. Non posso nemmeno accenderlo e veder se ho ricevuto qualche chiamata, magari da parte di Stefano o dei miei genitori che non mi hanno vista rientrare con gli altri.

<<Possiamo trovare un locale, anche piccolo? Devo andare al bagno>>

Chris mi chiede perché non ci sono andata mentre eravamo ancora nell'aeroporto e io gli spiego che ero troppo su di giri e in quel momento non ci ho pensato. Come quando i professori rifiutano di mandare la bagno gli alunni durante la lezione, anche quando scappa, perché hanno la ricreazione per espellere ogni loro bisogno; come se comandassimo la nostra vescica.

Facciamo una sosta alle sei di mattina precise, dopo una ventina di minuti di camminata per le strade, come dei veri turisti poveri, in un bar di periferia che si trova su una strada secondaria sterrata. Hanno appena aperto e il proprietario, dall'aria stanca e un paio di rughe, o forse sono occhiaie, sotto gli occhi chiari ci ospita come se si fidasse ciecamente di noi. Scopro che Chris parla il greco, o almeno sa mettere su un paio di frasi decenti –come quella per chiedere dove sia il bagno- e io lo prendo un po' in giro prima di entrare nella piccola porta blu e darmi una sistemata.

Mi sciacquo la faccia, mi do una lavata ai denti anche senza il dentifricio e mi sciolgo i capelli solo per raccattarli di nuovo, questa volta in una coda che viene mossa. Quando torno da Chris, lui mi sta aspettando addosso alla parete, le borse ai suoi piedi.

<<Che ne dici se rimaniamo per la colazione? Ho fame>>

Appena pronuncia questa parole, il mio stomaco si esibisce in un ruggito degno di nota, che mi fa imbarazzare e concordo con lui. I proprietari ancora non hanno avviato bene la gestione, si tratta di un piccolo bar dove vendono anche cornetti e dolci sfiziosi vari, ma sembra piuttosto una birreria o un luogo di sosta per chi deve rifocillarsi alla svelta e mettere qualcosa nello stomaco. Solo dopo un buon quarto d'ora ci vengono a chiedere l'ordine e Chris parla anche per me, dicendomi subito dopo di aver chiesto del pane e del latte.

<<Hai dormito un po'?>> mi domanda Chris una volta che siamo nuovamente soli, con il cibo davanti al naso e un buon odore di tostatura che si diffonde dalle fette dorate.

<<Non molto, in realtà. Anzi, per niente. Ho ascoltato la musica fino a che non mi si è scaricato il telefono>>

<<La prossima tappa è il porto veneziano>> annuncia lui e fa una pausa per addentare una fetta. <<Lì possiamo affittare le biciclette, fare un giro e arrivare all'appartamento. Devo solo fare una telefonata al proprietario, dirgli che sono tornato.>>

<<L'amico di tuo nonno?>>

Annuisce in segno di risposta mentre beve un sorso di latte.

<<Parlami di lui>>

Se dobbiamo restare qui per rifocillarci e ricaricarci a dovere, voglio qualche informazione.

<<Gestisce una trattoria al porto, assieme alla moglie. Si chiamano Ariston ed Eudokia. Abitano sopra il locale, dove ci sono un altro paio di appartamenti. Li affittano agli amici durante le vacanze, solitamente, ma uno di questi era inutilizzato da anni. Si tratta di un paio di stanze, davvero troppo piccole perché insieme formino un salotto decente quindi non si sono mai presi la briga di chiamarlo davvero appartamento. Non lo affittano mai, così mi sono offerto di occupare quello. In cambio li avrei aiutati con la gestione per un po'. Mi occupavo di lavori manuali, principalmente: scaricare nuovi ordini, buttare la spazzatura, pulire prima  e dopo l'apertura, sistemare i tavoli. Ho anche aggiustato una finestra, una volta.>>

Finiamo di mangiare che fuori il sole ha già cominciato a irradiarsi cocente e sono felice di avere addosso una maglietta a maniche corte, così che non mi senta inadeguata con una canottiera ma non senta caldo. Paghiamo il conto che sono passate da poco le sette di mattina e ci adoperiamo per convincerci che la marcia verso il porto non sarà tanto lunga.

A un certo punto Chris mi offre la mano per attraversare una strada ampia, dove circolano veloci le macchine, e io l'afferro anche se mi sento una bambina. Da quel momento, non ci lasciamo più. È bello anche solo camminare con lui accanto, senza dire niente, il rumore dei nostri piedi sull'asfalto, o sull'erba, o talvolta sulla ghiaia.

<<Con un mezzo ci avremmo messo una ventina di minuti. A piedi quindi sono circa un paio d'ore>> m'informa, guardandomi oltre una sua spalla. Inclino la testa per ricambiare lo sguardo. <<Due ore di camminata?>>

Il mio tono esce stanco anche solo a pensarci ma Chris mi da un buffetto con il gomito. <<Miss bicipiti di ferro, non mi dire che non sei allenta per un po' di jogging>>

Prendo un grande respiro, gonfio il petto e raddrizzo le spalle. <<Sono nata pronta, non cederò per prima>>

Le ultime parole famose... Dopo mezz'ora di strade senza marciapiede, il sole del mattino che mi fa sudare la pelle e il peso del borsone sulle spalle, ho ceduto a un minuto di risposo. Chris mi guarda mentre mi accascio per terra stringendomi le ginocchia e chiedendogli pietà.

<<Non siamo nemmeno arrivati a metà del tragitto>> mi canzona lui, piazzandosi davanti al mio naso sudaticcio.

Alzo un po' la testa, inclinando gli occhi fino a farmi male per vederlo; il sole dietro di lui mi acceca. <<Solo un minuto, sto bene. Devo ricaricarmi>>

Allora mi alzo e mi sgranchisco le gambe, come se dovessi fare stretching. <<Mancano almeno altri dieci chilometri.>>

Spalanco gli occhi a quella notizia, proiettandomi in un futuro dove avrò il fiato corto, i piedi mal messi e le gocce di sudore mi avranno imbrattato la maglietta. Povero Chris, gli sono capitata proprio io!

Vedendo la mia esitazione alla sua notizia, abbassa sulle sue braccia il suo borsone nero e poi me lo lancia, facendomi barcollare. <<Tienilo tu, okay?>>

<<Ma sì, sto solo per morire dal caldo, mi fanno male i polpacci e ho bisogno di respirare con una bomboletta per l'ossigeno, neanche soffrissi d'asma. Che vuoi che sia un borsone in più sulle spalle>>

Non sente il mio sarcasmo, oppure lo ignora, perché mi da la schiena e la inclina verso il basso, porgendomi le sue mani.

<<Che cosa fai?>>

<<Salta su>>

<<Come?>>
Gira la testa per lanciarmi uno sguardo di quelli ammonitori, con tanto di unico sopracciglio alzato, la mia stessa noia lo sta annoiando. <<Avanti, io ho dormito e sono carico. Non pesi nulla. Salta su per un po', così non ti stanchi>>

<<Non ti salirò sulle spalle>>

<<Preferisci che ti carichi come un sacco di patate?>>

<<Non lo faresti mai>> lascio cadere il suo borsone ai miei piedi, tenendolo però per le cinghie perché pesa troppo. Chris si avvicina, non un filo di sorriso o di scherzo sul suo volto e si inginocchia davanti a me. Quando mi stringe le ginocchia, sussulto. <<Oh, no, no>>

Mi guarda rimanendo giù. <<Allora, mi sali in braccio?>>

Trattengo la mia voglia di alzare gli occhi al cielo e lo lascio girarsi di nuovo. Se proprio insiste tanto, perché non accettare? Si sorbirà il mio peso a suo rischio e pericolo, assieme a quello delle borse. Con un saltello mi ancoro alle sue spalle, il mio zaino stretto alle mie e il suo tra le mie mani, davanti al suo petto. Anche se non posso vederci entrambi, so che sembriamo buffi. Ma lui mi tiene per il retro delle ginocchia, ha una posizione dritta e tranquilla, come se davvero non pesassi nulla.

<<Quando ti stanchi, dimmelo>>

<<Se mi accascio a terra, sai che non ce la faccio più>>

Osservo il paesaggio accanto a me e ogni volta che una macchina ci sfreccia accanto, sussulto. <<La vista è grandiosa da quassù>>

Il busto di Chris vibra sotto una sua risata. <<Riesci a vedere la città?>>

<<Eh sì, anche i confini del mare. Quella è la Sicilia o lo stretto di Gibilterra?>>

Ride ancora e io gli poso il mento su una spalla, facendolo girare per un attimo verso di me senza che però i nostri occhi riescano a incontrarsi. <<Grazie>> mormoro al suo orecchio e so che gli piace, quando faccio così.

<<Ti ringrazierò anche io quando faremo a cambio>>

Sono scesa dalle spalle di Chris dopo una mezz'oretta, quando siamo arrivati a metà del tragitto, e quindi Chris ha voluto fare il cambio. Mi sono lamentata per dieci minuti, affermando che non sarei riuscita a sostenerlo, ma lui ha afferrato entrambe le borse e, ridendo, mi ha spronato a provarci. Così si è posizionato alle mie spalle e mi è letteralmente caduto addosso, facendomi piegare in avanti e ridere a più non posso, nonostante l'immenso sforzo che dovevo sopportare. Riusciva a toccarsi i gomiti con entrambe le mani anche abbracciandomi il petto e non mi aiutava allacciando le sue pesanti gambe al mio bacino; riusciva solamente a sbilanciarmi ancora di più. Ho ciondolato a destra e a sinistra senza alcun risultato, per un po', fino a che i primi passi non mi hanno fatto strizzare gli occhi di gioia. Chris continuava a ridere, e mi affaticava il doppio. Altri tre passi e siamo ridicolamente caduti a terra, per fortuna ci trovavamo su una strada sterrata, con erbaccia incolta ai margini, e ci siamo tenuti lontani dalla zona dove avrebbero dovuto circolare le macchine che però erano davvero poche e passavano lentamente. Un camioncino si è fermato, e il guidatore –un uomo anziano, con più peli sulle sopracciglia che sulla testa- ha borbottato qualcosa che non siamo riusciti ad afferrare, tanto parlava velocemente e tanto eravamo distratti dalla caduta. Chris era l'unico che poteva anche solo intuire cosa ci stesse chiedendo ma era troppo occupato a ridere, a buttarmi addosso lo zaino dandomi dell'impedita, per badare al signore che continuava a squadrarci. Dopo pochi secondi, esasperato, ha chiuso lo sportello dietro di sé e si è rimesso in macchina, sfrecciando via.

<<Ci avrebbe potuto dare un passaggio fino al porto>> ho detto, mentre mi stavo rialzando e mi pulivo dalla polvere bianca della strada. Chris ha imitato subito il mio esempio.

<<Ormai è troppo tardi, se ne è andato>>

<<Te l'ho detto che era una pessima idea>>

<<E tu dovresti essere allenata>>

Ha continuato a beffeggiarmi durante il cammino seguente, strattonandomi delle volte o prendendomi in giro tirandomi una ciocca di capelli. Allora mi allontanavo, o gli tiravo il borsone addosso che lui mi restituiva con altrettanto impeto.

Più ci avvicinavamo al centro più le strade si facevano affollate, le macchine circolavano, le voci riempivano il giorno. Ho sentito solo allora la bella sensazione di essere su un'isola greca, in una città nuova, solamente con Chris. Quando arriviamo al centro, sono le dieci passate e il sole ha portato fuori tutti gli indigeni del posto, facendo circolare persino carrozze con cavalli per i turisti, facendo aprire i mercati e circolare migliaia di voci con sfumature differenti.

<<Quello è il porto?>> Indico a Chris una zona più affollata, dove i colori sgargianti che si esibiscono sulle persone mi fanno sorridere di esigenza, voglia di immergermi nella massa e camminare per le piazze, voglia di conoscere il luogo. Anche da bambina mi emozionavo a ogni nuova vacanza, spronavo i miei genitori a fare lunghe passeggiate per le strade prima di andare al mare, la sera volevo sempre cenare fuori. Sentivo il bisogno di respirare una vita diversa dalla mia, anche se per poco tempo.

Chris non mi risponde, ma mi fa capire dal sorriso che gli affiora sulle labbra. Siamo arrivati, finalmente. Sento il peso del viaggio, sia in aereo sia a piedi, e ho solo voglia di sedermi e rimanere in quel posto per un po'. Ma Chris continua a camminare, facciamo lo slalom tra le persone sul marciapiede per raggiungere una meta precisa, che suppongo sia il locale di Ariston.

<<Nessuna pausa, vero?>> chiedo mentre continua a strattonarmi il braccio.

<<La faremo quando troveremo la trattoria, possiamo restare lì tutto il giorno se vuoi. Non è lontana>>

Mi avvicino a lui mentre con il braccio cerca di sostenermi anche il fianco, come se volesse aiutarmi persino a camminare, ma non mi stacco da lui, potrebbe davvero risultare utile questa posizione. Mentre camminiamo, a un passo persino regolare e ritmico, mi parla di qualche negozio che oltrepassiamo, mi indica una gelateria buonissima, un ristorante delizioso, una piazza popolare. E alla fine arriviamo, io con l'affanno, Chris con la luce negli occhi, quella che non lo ha abbandonato da quando ho detto di sì a questa assurda avventura.

La trattoria è vuota, manca ancora un po' all'ora di punta, per il pranzo, ma già profuma di fritti e birra. Alle pareti scure sono appese foto in bianco o nero, o bronzee, che ritraggono forse la storia della famiglia del locale, o tratti di storia in generale. C'è qualche lampada a olio di qua e di là appesa alle pareti, tra un quadro e l'altro, e le sedie sono simpatici sgabelli con dei cuscinetti rossi e bianchi dall'aria fresca e confortevole. Un ragazzotto con la divisa da cuoco, bianca e sporca di macchie di olio e di sugo, passa davanti a noi con una pila di piatti vuoti tra le mani. Appena ci adocchia, sorride smagliante.

Fa il nome di Chris, anche se con un accento straniero e il ragazzo si avvicina, lasciando cadere il borsone. Risponde al saluto con una pacca sulla spalla e poi gli occhi scuri del ragazzone puntano me. Chris continua a parlare in greco e io mi avvicino, facendo la migliore imitazione di un sorriso cordiale e vivace, non stanco e sudato, sperando che non mi stiano insultando alle spalle.

Christian gesticola nella mia direzione, mi lancia qualche occhiatina e poi parla ancora, regalando sorrisi e risatine. Tra le sue parole, riconosco i nomi dei proprietari della trattoria e poi il ragazzone mi porge una mano grossa e pelosa.

<<Achillios>> si presenta con una pronuncia che trovo simpatica. Stringo la sua mano, sorridendo.

<<Margherita>>

<<Margherita>> ripete lui, arricciando la r come fosse un suono buffo. Ancora una volta, mi chiedo perché mai la maggior parte delle persone cui mi presento, riflettano e ripetano il mio nome.

<<Achillios è il secondo figlio di Ariston ed Eudokia, adesso li va a chiamare>> mi spiega Chris, e come se Achillios lo avesse capito, riprende i piatti che aveva posato su un tavolo e sparisce in un'altra sala.

<<Sembri contento>> dico a Chris, una volta che siamo rimasti da soli. Lui si gira verso di me, facendomi calare lo zaino dalle spalle e posandolo a terra.

<<Lo sono, è un posto speciale questo.>>

<<Saranno contenti di rivederti>> lo incoraggio e un attimo dopo un paio di figure si avvicinano a noi, sorridenti come Achillios si è presentato. Una donna e un uomo. Lei è bassina e rotondetta, con un vestito a fiori che le circonda il corpo e accentua tutte le sue curve. Ha i capelli neri raccolti sul capo e una bandana chiara sulla fronte. Le rughe non rendono giustizia alla bellezza dei suoi occhi celesti e della sua bocca a cuore, che adesso sta mostrando dei denti luminosi. L'uomo è poco più alto, con i capelli spettinati e grigi. Indossa un paio di pantaloni marroni, di quelli con le bretelle stirate sopra una camicia bianca e stropicciata, arguti baffi bianchi calano sulla bocca lunga e sottile. Quella che credo sia Eudokia stringe in un abbraccio Chris, che mormora parole straniere, e appena ha finito con lui non mi lascia il tempo di presentarmi, mi stringe le spalle. Parla un po' al mio orecchio, come se potessi capirla, ma io mi limito a sorridere e chiedere aiuto con gli occhi al ragazzo.

<<Sono felici di vedere anche te>> mi traduce Chris dopo qualche convenevole con Ariston. Ci presentiamo brevemente, perché io posso solo dire il mio nome e stringere le mani, a parte sorridere e annuire. Chris decide di fare da intermediario appena ci invitano a sederci a un tavolo. <<Ti conoscono, ho parlato loro di te>>

<<Oh,>> faccio io, sorpresa dalle sue parole. <<Di loro che sono felice di conoscerli dopo che anche tu mi hai raccontato di questo posto>>

Chris traduce come richiesto e poco dopo Eudokia ridacchia, rispondendomi. Chris questa volta però non traduce a me, si limita a ribattere. Nasce un piccolo dialogo tra di loro, dal quale sono parzialmente esclusa, a parte le occhiatine che mi riserva Ariston. Dopo qualche tempo, passato per lo più a osservare le loro bocche pronunciare parole incomprensibili per me, Chris esclama, rivolto a me: <<Possiamo restare>>

<<Quanto vogliono?>>

I due proprietari mi lanciano uno sguardo assassino, come se mi avessero capito, e un attimo dopo comprendo che è così perché la donna mi risponde: <<Gratis!>>

Forse un po' d'italiano lo capisce, allora perché non lo ha detto subito così non mi limitavo a fare la bella statuetta per dieci minuti buoni?

Chris continua a discutere con loro per un po' e solo dopo, quando ci alziamo per dirigersi da qualche parte che non ho compreso, mi fa un breve riassunto. <<La stanza è al piano di sopra, possiamo restare quanto tempo vogliamo. Sono molto gentili>>

<<Come si dice "grazie"?>>

Chris mi sussurra la traduzione all'orecchio e tutti e quattro saliamo delle scale comode, e dai gradini bassi, fino a raggiungere un corridoio poco illuminato. Da lì si snocciolano una serie di porte con su scritto dei numeri, in oro. Noi raggiungiamo l'ultima ed Eudokia consegna la chiave a Chris.

<<Efcharistíes>>* dico, quindi, quando fanno per andarsene. La donna mi sorride, facendo comparire delle rughe attorno ai suoi occhi chiarissimi, e mi stringe le mani. Dice qualcosa, che Chris si prende la briga di tradurmi avvicinandosi alla mia spalla.
<<Ha detto che è felice per noi e ci augura una buona permanenza>>
Chris mi apre la porta e quando la richiude alle sue spalle, siamo finalmente soli. Il piccolo appartamento sembra davvero un'unica stanza che contiene tutto, si attiene alla stretta descrizione di Chris.
<<Ho bisogno di una doccia>> annuncio buttando lo zaino sul primo letto che trovo. Guardandomi intorno, noto che è l'unico letto a disposizione. È a una piazza e mezzo, comodissimo per una persona, adatto a due in caso di necessità.
<<Il bagno è quello>> Chris m'indica una porticina scorrevole e io sbircio dentro, trovandoci un angolino angusto che ospita water, lavandino con tanto di piccolo specchietto e doccia sul pavimento con un tenda logora a tracciarne i confini. Allora afferro tutto il necessario per una breve doccia ristoratrice e chiudo la porta, promettendo di fare presto. Lascio cadere i vestiti ai miei piedi, più tardi li recupererò, e mi lascio le ciabatte da mare quando scavalco le tende. L'acqua mi si rigetta addosso fredda e sussulto, quasi grido, tanto che Chris bussa alla porta per sapere se va tutto bene.<<L'acqua è gelida!>> grido, per sovrastare il suo forte flusso.
<<Ci mette un po' a riscaldarsi.>> m'informa lui dall'altra parte della stanza e io mi arrendo, saltellando sui piedi per cercare di trattenere altri gridolini.
Non mi piacciono le docce fredde, ho sempre preferito crogiolarmi nel caldo che arrivava ad arrossami la pelle, per sentirmi depurata fino alle ossa.Mi sciacquo forte i capelli e la faccia, poi mi insapono dolcemente il corpo. Quando finisco, il bagno non è diventato una cappa di vapore solo perché l'acqua è diventata calda gli ultimi cinque minuti, giusto il tempo di un'ultima ripassata per espellere i residui di sapone nelle zone più scomode.
Chris è seduto sul letto, sta rovistando nel suo zaino. Io ho indossato i cambi che mi sono portata nel bagno, una canottiera rossa e dei pantaloncini che arrivano al ginocchio, abbastanza larghi e di un tessuto leggero. Ma ho pettinato i capelli con le dita perché mi sono accorta solo dopo di non aver portato la spazzola con me nel bagno. Così chiedo a Chris di passarmela, dato che è vicino al mio zaino.In concomitanza con la mia richiesta, il cellulare di Chris comincia a suonare e vibrare.
<<È tuo fratello>> dice, alzando gli occhi sui miei. Così decido di rispondere io, mentre mi siedo accanto a lui ai piedi del letto. <<Preziosi!>> risponde Step, la voce rabbiosa al punto giusto.
<<Credevo foste diventati amici>> rispondo io, sorpresa dal suo chiamare Chris per cognome.
Mio fratello sospira. <<Maggie. Dove cazzo siete?>>
<<Mamma e papà sono preoccupati?>> decido di informarmi io, ignorando la sua domanda.
<<Mi hanno subito chiesto dove fossi, perché non sei arrivata ieri sera con noi. Ho creduto alla fine ci raggiungessi, e spero tu lo stia facendo ora. Allora, dove sei?>>
Ha un tono scorbutico, freddo e accusatorio, sicuramente non è solamente la preoccupazione per dove io mi possa trovare a renderlo così scontroso.
<<Siamo in Grecia>>
<<COME?>>
<<Scherzo.>>
Stefano non ride, ma sospira. E quindi dico: <<In realtà siamo sull'isola di Creta>>
Dall'altra parte della cornetta non sento un fiato e per un momento temo sia caduta la linea, poi un ringhio di sottofondo. <<Lo ammazzo. Prima lui, e poi te>>
<<Calmati, perché te la prendi tanto?>>
<<Suppongo sia un optional per te avvisare che ti fai un viaggetto tutta sola in Grecia con un ragazzo, non è vero?>>
<<Dove è andata Margherita?>>
Socchiudo gli occhi, sentendo la voce della mamma in sottofondo, e prevedo già l'inizio della furiosa litigata che ci aspetterà a ritorno. Un attimo dopo, la voce celestiale di mio fratello viene sostituita da quella della mamma.
<<Maggie?>>
<<Ei, mamma, ciao>>
<<Sei in Grecia?>>
<<Ehm... a Creta, in realtà. Scusa, scusami tanto. È stata una decisione improvvisa, abbiamo preso le nostre cose e siamo partiti, così, d'impulso. Avrei voluto avvisarti prima ma il cellulare è morto all'aeroporto e solo adesso abbiamo trovato un posto dove riposarci e respirare un po'>>
Sono sorpresa dalla serie di piccole bugie che le sto propinando per cercare di giustificarmi, anche se non ci sono giustificazioni, avrei dovuto dirle tutto prima ancora anche solo di decidere cosa fare. Avrò anche diciannove anni, ma il rapporto con i miei genitori è rimasto invariato e da quel punto di vista mi sento ancora soggiogata alla loro approvazione. Poi mia madre fa qualcosa che mai mi sarei aspettata. Scoppia a ridere.
<<Perché hai quella faccia?>> mi sussurra Chris, leggermente preoccupato. Allontano per qualche secondo il telefono dall'orecchio e giro la testa. <<Sta ridendo>>
<<Sei con lui?>> La mamma ha un tono esitante ma anche allegro, come se le avessero appena raccontato la battuta più spassosa del mondo.

<<Sì, mamma, sto con Chris>>

<<Oh, tesoro, come siete carini>>

Sorpresa, non trovo parole da ribattere. <<Carini?>> ripeto, spaesata.

<<Sì, anche se, quando torni, facciamo un discorsetto su com'è bello e necessario avvertire i genitori di un'impresa simile>>

<<Quindi non sei arrabbiata?>>

<<Sono sorpresa!>> risponde subito lei. <<Mi sarei aspettata un gesto del genere da tuo fratello, ma da te, mai. Insomma, finalmente fai qualcosa di ribelle, che si adatta alla tua giovinezza. Ne parlo io con tuo padre, non ti preoccupare. Cosa avete intenzione di fare?>>

Un lampo di coscienza fa capolino tra noi due appena pronuncia le ultime parole e io mi schiarisco la gola. <<Mi farà vedere la città, suppongo. Lui è già stato qui>>

<<Dov'è che state, di preciso?>>

<<A Canea>>

<<E quanto tempo avete intenzione di rimanere?>>

Lancio un'occhiata a Chris, anche se so che non la può sentire, ma non mi escono le parole per chiedere quello che ha chiesto mia madre. Così scuoto le spalle, anche se lei non mi può vedere. <<Non so, per un po'>>

<<Basta che torni, tesoro>>

Rido, spensierata ed esageratamente sollevata dalla sua tranquillità. <<Certo che torno, mamma. Non parlo una parola di greco e prima o poi mi finiranno anche i soldi. Davvero, mamma, va tutto bene?>>

<<Tutto bene. Solo, stai attenta. Ma divertiti, anche se non devi esagerare>>

Lei sa, conosce la storia. Ad un certo punto dell'anno passato, un giorno particolarmente pesante, non ricordo, forse dopo febbraio, le ho detto tutto. Le ho parlato di Chris, del patto, delle domande, della sua casa, delle prove, del tetto, del suo furgoncino, dei miei sentimenti. Le ho raccontato tutto, esplodendo come una nova, e lei è rimasta ad ascoltarmi sdraiata sul mio letto, con me sul petto, mentre mi carezzava i capelli. Mi ha consolata e mi ha ammonita, mi ha parlato di scelte giuste e di scelte sbagliate, dell'amore, della giovinezza, e anche del dolore. Da quel momento, ho capito di poter far affidamento su mia madre più che su chiunque altro nella mia vita. Anche prima avevo questa certezza, ma il rapporto madre-figlia è sempre limitato dalle congetture parentali, dalle stranezze nel parlare di certi argomenti. Con i mie genitori, invece, è tutto molto più tranquillo che in altre famiglie. E sono veramente grata di questo, ogni giorno.

Quindi ci salutiamo con altri convenevoli, alcune parole di confronto e altre d'incoraggiamento e le dico di salutarmi tutti. Quando attacco, Chris mi sta toccando le punte bagnate dei capelli, le pizzica come fossero di cristallo e potessero rompersi tra le sue dita.

<<Tua madre sa di me?>> è la sua prima domanda, inquadrandomi con quei suoi occhi di rugiada.
<<Beh, la tua ha sempre saputo di me>>

<<Beh,>> mi fa il verso. <<La mia sa tutte cose positive.>>

Taccio e non ribatto. Colpevole.

<<Vado a farmi la doccia anch'io, sono sudato. Però dopo possiamo andare a pranzo, e magari affittare le biciclette, che ne pensi? Facciamo un giro, ti mostro il porto e restiamo a cena lì>>

Mi piace come programma così annuisco forte, con un sorriso ebete sulle labbra che sembrano un paio di linee rosa. Sembro una bambina. Chris sorride di rimando e si alza, poi piega il busto, toccandomi il naso. Le sue labbra cercano di posarsi sulla mia guancia, ma io mi scanso e le faccio finire al lato della mia bocca. Basta quel contatto per farci sorridere entrambi, l'uno sulla bocca dell'altro. Quando si stacca, sento freddo solo in quel punto. Ma Chris non approfondisce, mi da le spalle e sparisce in bagno.

Allora afferro la spazzola e mi trascino a tastoni fino al fondo del letto, accanto ai cuscini e mi appoggio alla parete. Mi pettino di capelli piano, massaggiandomi la cute e infine mi stendo sentendo finalmente qualcosa di morbido sotto la testa. Mi concedo di chiudere gli occhi, solo per un istante, perché sono rilassata e felice. Mi sento benissimo, fantasticamente, esageratamente in pace.

Non mi accorgo nemmeno di sentire piano piano la testa sempre più leggera, il buio dentro le palpebre si fa più pesto e comincio a non voler più aprire gli occhi, non ancora. Un altro po', poi mi alzo.

All'inizio non capisco che è un sogno, ma poi noto che non sto nel letto.Vedo un ragazzo che mi parla, mentre entrambi siamo sdraiati su un prato, sopra di noi non c'è il cielo ma un'intera città, come se sopra le nostre teste fosse proiettato un film, che riguarda una cittadina greca. Le parole del ragazzo aleggiano attorno a noi, s'intrecciano ai fili d'erba ed echeggiano per le strade della città che si mostra sopra di noi.

Sono contenta che non posso crederci

Perché mi toglierebbe il fiato –

E vorrei guardare ancora un po'

Questa terra tanto curiosa!*









****

Aggiornamento notturno! Non ne ho mai fatti, e oggi ero ispirata, così... eccomi qua. Spero possiate gradire questo aggiornamento,da venti minuti è iniziata la pasqua quindi amatemi perché ho aggiornato anche in un giorno di festa.
Poche chiacchiere, alcuni chiarimenti:

1* Non mi intendo di greco, non l'ho mai studiato e ho utilizzato mezzi simili a google traduttore quindi perdonate la mia ignoranza a tal proposito.

2* La poesia alla fine del capitolo è di Emily Dickinson (strano vero?), la numero settantanove.

3* Questo è l'ultimo capitolo prima della BIG pausa. Lo so, non mi odiate troppo, vedrete che mi amerete già dal prossimo capitolo. Sappiate che dopo questo gli ultimi saranno pubblicati tutti assieme e... oddio, non sono pronta! Quindi, arrivati a questo punto... cosa vi aspettate succeda nei prossimi e ultimi quattro capitoli?

Sta per finire... non me ne sto rendendo conto, sul serio.

Va be, meglio andare a dormire, altrimenti rimano qui in eterno.
Vi auguro subito la buonanotte più buona e più notte di sempre, e ancora auguri per la Pasqua, anche se nella mia famiglia non si pratica festeggiarla in alcun modo particolare. Mangeremo solo tanto, yep.

🐳 Voglio trovare un ciurago nel mio uovo! Altrimenti ti pinnacolo, sappilo.

P.S. Scusate eventuali errori

Ai prossimi aggiornamenti, che saranno la fine. (piange in maniera triste e ridicola)

Xoxo

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