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0.4 ~ Non ti spaventare

Chris

Verso gennaio/febbraio


Il posto dove ti sto portando... Non ti devi spaventare
Chi cazzo sono, un criminale? Perché dovrebbe spaventarsi? Potrebbe essere inorridita, piuttosto, schifata, arrabbiata, triste, impietosita, confusa. Sarà tutte queste cose, appena avrà visto dove abito, chi sono.

La mia agitazione mischiata alla sua non mi ferma dallo spingere sull'acceleratore, cambiare marcia e continuare ad andare nella direzione dell'inferno. Abbasso il finestrino per respirare aria fredda, sperando che mi alleggerisca i pensieri.
Maggie è fuori di sé sul sedile del passeggero, guarda da tutte le parti sperando di capirci qualcosa e il mio pessimo umore non la aiuta a rilassarsi.

«Non scapperò a gambe levate» mi conferma, dopo l'ennesima volta che l'accuso potrebbe succedere.

«Me lo prometti?» tento di non sembrare patetico, di controllare la mia voce, ma esce fuori solo un groviglio di nodi borbottanti. «Prometti che mi ascolterai e rimarrai finché non avrò spiegato la situazione?»

Le scappa una risata isterica, anche se fa di tutto per annuire. Con la testa, con le braccia tese in avanti, con gli occhi sgranati che cercano il mio sguardo.

«Così però rischi davvero di spaventarmi. Mi stai mettendo agitazione.»

«Non ti agitare»

Ironia sulla mia lingua, amara come la mia vita. Come quello che mi si presenta di fronte, illuminato dai miei fari. Freno il furgone in una nuvola di terra. Mentre lei è occupata a cercare di individuare in che posto siamo, ne approfitto per uscire e passare dal suo lato. Osservo ogni suo movimento, da quando apro la portiera a quando scende. Le fisso il volto che è capace di parlare più di lei, di comunicarmi i suoi stati d'animo. E' il ritratto della confusione, immersa in un mare di ipotesi e pensieri, con gli occhi chiari anneriti dalle supposizioni, le labbra imbronciate perché non le fornisco spiegazioni. La guardo aspettandomi che capisca, aspettandomi che scappi, aspettando che le venga in mente di non saper più cosa dire. Aspetto che tenti di consolarmi, aspetto delle parole di circostanza.

Il suo silenzio rischia di uccidermi.
Il mio mi ottura la gola.

Ho davanti una ragazza che conosco a malapena eppure mi sembra di capirla meglio di quanto capisca me stesso. Ho voglia di capirla, ho voglia di parlarle, ho voglia di confessarmi con lei.
La guardo cercando qualcosa. Andiamo Maggie, convincimi. Ti prego, accettami.
La guardo perché vorrei penetrare la sua testa, vorrei trovarmi lì dentro, tra desideri e proibizioni, a ballare con i sogni. Vorrei sentire le parole sussurrate a sé stessa, le congetture, le ipotesi. Tutti i meccanismi che la rendono Maggie mi gridano contro per farsi ascoltare, come il canto di sirene instancabili. Agogno ogni suo giudizio, ogni suo pensiero. Per questo ho spinto sull'acceleratore e non sul freno, per questo mi trovo qui a mettere a rischio l'unica cosa che non ho mai tentato di rovinare. Perché Maggie saprebbe cosa farne, mentre persino tra le mie mani è una situazione senza capo né coda. Maggie darebbe un senso.

Sorride. Sorride a me, una mano che tenta di avvicinarsi al mio volto ma poi si blocca. Sarebbe stato troppo per noi. Vorrei quella mano ma lei non lo sa. Le sorrido come risposta. Le sorrido perché c'è riuscita.

«Facciamolo.»

°°°

«Avanti» le dico, per smorzare l'imbarazzo. «So che in quella testolina si sono formulate una miriade di domande. Quindi... Spara.»

Non lo faccio per lei. Io voglio sapere cosa ci sia in quella testolina. E lei vuole risposte, quindi immagino si tratti di un doppio guadagno.

«Risponderai sinceramente a tutte?»

«Non vedo che ho da perdere a questo punto»

Parte con la più semplice e la più complicata. Mia madre. Cosa ho da dire su mia madre? Su due piedi, mi viene ben poco. Subito mi sento in colpa, merita più che una risposta evasiva. Merita una storia tutta sua, merita una casa più grande, più legale, figli più rispettosi, meno rancorosi. Merita.

«Avanti, racconta» mi esorta Maggie posandomi una mano sul braccio. Una scossa elettrica mi attraversa fino al collo. L'istinto primario sarebbe di stringerle la mano, portarmela sulla guancia e restare così finché non mi sentirò al sicuro. Potrei dirle questo: non mi sento al sicuro. Con nessuno, mai. Perché nessuno sa di mia madre, di dove vivo, del perché vivo così. E io voglio che nessuno lo scopra, mai.

Ma Maggie è qui, vuole che parli, vuole sapere. Infondo, ho deciso io che lei ne valesse la pena, che sarebbe stata la scatola delle confessioni. Così racconto, di mia madre, dei miei fratelli.

«Non mi hai mai parlato di loro» commenta a bassa voce, sempre più immersa in questa storia che per me è così fredda.

«Non ti ho mai parlato di me» mi scappa prima che sia troppo tardi. Mi sento un pagliaccio.

Continua con le domande e io continuo con le risposte, continuo anche se mi agito e mi arrabbio ma tento di controllarmi. Lei è qui che ascolta, che argina le mie risposte troppo nette e affilate. E' qui che ci sta provando, ci sta provando per davvero.

Convincimi, Maggie. Resisti.

Non dovrei sottoporla a una cosa del genere, perché io non valgo la pena.

«Grazie» la sento dire, vicina dopo che mi sono allontanato, calma dopo che mi sono agitato. Una sola parola che echeggia nella mia testa e pizzica ogni corda nervosa.

«Grazie per avermi detto tutto questo. Grazie per avermi fatto vedere questo posto. Non me lo aspettavo, lo ammetto, ma non ho intenzione di scappare a gambe levate né tantomeno sminuire queste informazioni. Sono la tua vita e finalmente io sto imparando a conoscerti. Quindi, grazie.»

Come si fa a essere riconoscenti a chi è riconoscente a noi? Come si fa a... Ma come ha fatto a capitare lei nella mia vita? Con tutto ciò che possiedo, con ogni strumento e ogni sforzo di cui sono capace, mi impegnerò a non rovinare una persona del genere. Maggie è una rarità e io ce l'ho letteralmente tra le mani.

«Perché mi hai detto tutto questo?» domanda ancora, e sembra non finire mai. Lei vuole sapere, vuole capire, vuole essere partecipe. No al caos, no all'incertezza, no al disordine. No a tutto quello che ho sempre pensato fosse adatto a me.

«Perché abbiamo un patto e ho intenzione di rispettarlo. Dovevo essere sincero con te. E poi, adesso abbiamo un posto in più in cui rifugiarci.»

E non sono mai stato più onesto di così. Unire l'utile al dilettevole, il bello al brutto per rendere tutto un po' più accettabile. Maggie mi fa questo effetto, rende tutto sopportabile.

«Vuoi vedere il mio letto?»

E da lì è una escalation di movimenti circospetti sul materasso, di sguardi furtivi, sorrisi a mezze labbra e guance sempre più ansiose, occhi più lucidi. Ci rifugiamo nella nostra comunicazione più efficace, il gioco, lo scherzo camuffato che ci rende entrambi imbarazzati e timidi, audaci e sfrontati. Ci scheggiamo con le parole, gli guardiamo aspettandoci qualcosa dall'altro. Mi sento frenetico accanto a lei, come dovessi dimostrarle qualcosa, dovessi farla sentire eccitata, divertita, felice allo stesso tempo. Con me. Con sé stessa. Ho voglia delle sue reazioni.

«Non dovresti vergognarti davanti a me, devi affrontare questa paura.»

Ormai siamo ben oltre l'imbarazzo, o almeno dovremmo. Lei sembra sempre essere incastrata in una cerniera, a metà strada tra l'inesperienza e la vergogna. E come glielo spiego che se si lasciasse andare, se credesse più in sé stessa, se vedesse più sé stessa, potrebbe persino conquistare il mondo? Mi basta farle capire che può conquistare la sua vita. Per cominciare, dovrebbe apprezzarsi un po' di più. Sarebbe più facile darle direttamente i miei occhi per donarle una prospettiva diversa, quella di una ragazza che fa sentire al sicuro, che elettrizza, che eccita con le parole.

Alla fine la convinco e la invoglio a provarci con provocazioni a cui non fa resistenza. Non troppa, almeno. E' pur sempre Maggie. Si spoglia lentamente, sta al gioco. E' davanti a me, su di me, con quella pelle arrossata che le dà un'aria ingenua e provocante allo stesso tempo. Mi eccita sentirla tremare per la sua stessa sfrontatezza. Non ha niente di cui vergognarsi, niente che non sia godibile agli occhi, alle mani e a tutto il resto del corpo. Mi basta pensare che lei cammina con quel corpo, che lo muove, che ci vive, che ci respira e sogna dentro, che se lo tocca, se ne prende cura, per farmi cadere in catalessi orgasmica. La curva della schiena che precipita a strapiombo sui fianchi larghi, la curva ovale del ginocchio, le smagliature pallide ai lati delle cosce, l'ombelico che mi sorride, le sue mani che non sanno dove posarsi. Le mie lo sanno e vanno dritte alla meta.

Si poggia alle mie spalle, condivido il suo peso. La sua pelle è salata e fresca. E io la rendo ancora più fredda quando tolgo l'ultimo strato che la separa dalla completa nudità. Ho un potere tra le mani che mi fa sentire invincibile. In questo momento esisto solo io, con lei davanti a me, le nostre pelli sono febbricitanti. Esiste il suo respiro mozzato e il mio agitato, i nostri cuori che pompano nei petti a una velocità spaventosa. Mi spoglio davanti a suoi occhi con una velocità che non mi appartiene per non farla sentire sola in questo stato.

«Visto, non è stato difficile.»

Le accarezzo le braccia per distoglierla dall'intenzione di coprirsi. Vicini, ci tocchiamo. Vulnerabili insieme, circondati dai miei segreti e dai suoi pensieri.

E so di voler, dover, fare due cose con lei. Entrambe bellissime. Entrambe spaventose.

Una la consumiamo con un entusiasmo ancora mai sperimentato. Diamo libero sfogo alle nostre voci, alle nostre esigenze. Io guido lei, lei si lascia guidare, mi tenta, mi stimola, vuole provare cose nuove. Le inibizioni sono ormai dimenticate. Provare questo con lei mi fa sentire fortunato.
Tutto lo stress accumulato, la nostra attrazione mai sopita, mi spingono a muovermi con un'insistenza di cui lei gode. Si lascia scuotere sul mio corpo, si regge a tutto ciò che ha intorno, compreso il mio corpo. Io mio aggrappo ai suoi fianchi, stringo gli occhi talmente forte contro il suo collo, nel suoi capelli, che per un attimo mi sembra di essere lei, con lei, in lei. Lo sono, sono tutto questo e altro. Lo siamo, insieme.

E' sesso travolgente, divertente, caotico e nuovo. Ci fa entrambi tremare. Soddisfatti piombiamo sfiniti sul materasso, ancora vicini come a non poter sopportare una separazione troppo netta dopo un'esperienza così potente. In affanno e sudati, ma soprattutto sorridenti come dei bambini in coma da zuccheri, ci osserviamo con una nuova complicità.

Cerco di parlarle senza darmi una voce. Cerco di farglielo capire con i miei occhi, la mia faccia, il suono dei miei sospiri e il gioco delle mie mani - come riesce a fare lei tutte le volte che la osservo - cerco di farle capire che mi sto perdendo. E non so se sia la cosa giusta per me al momento. Non so bene nemmeno come controllarlo. Non riesco a controllarmi e a frenarmi quando Maggie è vicino a me.

Mi struscio di nuovo contro di lei con delicatezza, la faccio ridere un paio di volte in più prima di farle la mia proposta più indecente.

Perché adesso dobbiamo fare l'amore lento.
Perché adesso è il mio turno per dirle "grazie".














****

Sorrynotsorry la sessione estiva è peggio di un'apocalisse zombie. E non è ancora finita! Pregate per la mia anima... e soprattutto per la mia carriera universitaria.

Viele danke per aver letto.

🐳 e tu? Adesso sei felice riunita con il tuo spirito animale?

Baciotti amiche e amici

Xoxo❤️

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