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0.1 ~ La prima volta che ti ho vista

Chris

Settembre, quinto anno

Ho riattivato Whatsapp una settimana prima dell'inizio della scuola. Ho chiamato Lorenzo e lui mi ha preso a parolacce per il restante quarto d'ora. Così ho attaccato. Mi ha richiamato verso sera, ridendo, non dandomi nemmeno il tempo di accennare a come stessi, al perché fossi scomparso durante l'estate, al perché l'anno prima ho avuto delle agevolazioni saltando la scuola così spesso, che lui aveva preso a bombardarmi riguardo un nuovo progetto a cui dovevo per forza partecipare.

L'ho ascoltato per le restanti due ore, curioso, divertito, affamato di tutte le novità che mi ero perso in quei mesi. Ma più di tutto, nostalgico per quello che non avevo vissuto. Mentre parlava con un'entusiasmo che mi era mancato, la rabbia cominciava a macinare nel mio stomaco, i suoi vapori fluirono nella mia testa, riempiendola di idee potenzialmente distruttive.

Prima ancora che me lo proponesse ufficialmente avevo già deciso: sì, mi sarei candidato come nuovo rappresentante degli alunni.

«Oh, hai Stefano come rivale» mi ha detto con una risata un po' troppo acuta, un po' troppo seria. Non pensavo a Stefano Bianchi da tre mesi, pessimo modo per introdurlo nuovamente nella mia vita.

«Dai, magari vinci anche tu insieme a me» gli ho risposto, fingendo che l'argomento non mi avesse toccato.

Alla fine della telefonata, mia madre era apparsa dalla sua camera e mi aveva squadrato in silenzio, la coda sfatta da un pisolino che si era protratto troppo a lungo.

«Con chi sei stato tutto questo tempo?»

«Amici.»

«A?»

«I!»

«Si, certo»

Mi aveva strizzato l'occhio, con la tipica espressione compiaciuta di chi crede di aver capito quando in realtà non ha idea di cosa sta parlando. Anche se il breve dialogo mi aveva subito innervosito, sentivo la voglia di raccontarle della candidatura. Avevo tutti questi desideri mescolati tra di loro, volevo parlare dei miei sentimenti e farle sapere che tornare a scuola mi innervosiva, ma anche che dovevo prendermi una rivincita, che quell'anno avrei vissuto assieme ai miei amici e non potevo perdermi niente. Ma non le avevo parlato per tutta l'estate, come forma di protesta dell'anno infernale che avevo passato, e stavamo ancora alle strette. Lei fingeva che non avessimo un problema, io facevo di tutto per ricordarglielo ogni giorno con il mio mutismo.

Il mio silenzio le ha fatto alzare le spalle rassegnata. «Prepari la cena tu oggi?»

Avevo steso una proposta per le elezioni quella sera stessa, contagiato dall'entusiasmo di Lorenzo, e gliel'avevo sottoposta il primo giorno di scuola, quando ero riuscito a sfuggire alla massa di persone accalcate attorno al mio furgone.

Quel ritorno da vincente mi aveva dato subito uno scopo che non sapevo mancasse alla mia vita: sentirmi parte attiva del mondo, della mia stessa esistenza.

Ero stato nervoso, avevo buttato al cestino almeno tre pagine vuote.

Adesso stringo il foglio con la stesura di un discorso ridicolo come se ne valesse della mia vita. La palestra si riempie con una velocità che mi fa sudare le mani.

«Ansia da prestazione?» domanda Bianchi con quel sorriso un po' storto che mi ha sempre fatto venir voglia di infilargli due dita negli occhi.

«Mi sento imbarazzato» rispondo, con un tono naturale che lo spiazza. Si sta già preparando la battuta quando lo interrompo repentinamente. «Per te. Insomma, hai davvero un coraggio impressionante a mostrare così apertamente la tua faccia da culo.»

Lorenzo scoppia a ridere, canzonandolo affettuosamente. Bianchi mi ignora come un professionista, mi da le spalle e chiama qualcuno nella folla.

«Pensavo avessi deciso di fare la pace» sento sussurrare da Lorenzo.

Lo pensavo anche io, ma Bianchi è sempre sul piede di guerra. Scrollo le spalle, cerco di non pensare a lui. Non quando tento di capire chi abbia chiamato.

Si avvicina esitante, a piccoli passi, inghiottita da una felpa che le sta decisamente troppo larga. Vorrei chiederle se non senta caldo lì dentro ma ha occhi solo per Bianchi. Non riesco a sentire la conversazione che hanno ma il modo in cui lo guarda, oh... Gli occhi le si accendendo di una rabbia giocosa che mi fa sorridere. Rilasso subito le guance per non sembrare un maniaco, abbasso gli occhi quando mi rendo conto che la sto fissando.

Se ne va via troppo presto, Bianchi le urla dietro. Lei alza il braccio, gli fa il medio, torna seduta. Solo per questo, ha conquistato la mia stima.

«Ma chi è?» domando a Lorenzo, lontano dalle orecchie indiscrete di Stefano.

«Chi?»

«Lei» accenno alla sua direzione con la testa. Si sta sedendo tra due amiche, bisbigliano, le sue guance anche da questa distanza sono rosse come semafori.

«Margherita, dici? Ma come chi è! E' la sorella di Step.»

«Ma non era più piccola?»

«Sì, lo è. Fa il quarto.»

Credevo molto più piccola. Non sapevo frequentasse questa scuola. Possibile non l'abbia mai vista in giro? Bè, a mia discolpa posso dire che sono stato un po' distratto negli ultimi due anni.

«Oh» Lorenzo mi spintona. «Non fare strani pensieri.»

«No, ma va»

Entrano i professori, la preside, tutti fanno silenzio. Uno per volta raggiungiamo il microfono, ci presentiamo e veniamo acclamati secondo il nostro grado di gradevolezza. Io, modestamente, più degli altri. Tutte le mie buone intenzioni sfumano l'attimo in cui provo a parlare, ad articolare le prime frasi sconclusionate di un discorso pietoso. Perché si ricordano di me. Perché mancavo loro. E loro sono mancati a me. Lorenzo mi batte sulle spalle a ogni scoppio degli applausi. Persino Bianchi sembra divertito da tutta questa solidarietà. Non avevo idea che così tanta gente mi conoscesse, che fosse felice del mio ritorno, che si fosse accorta che questo momento per me significa davvero qualcosa.

Nella gioiosa baraonda, lei mi guarda come se sapesse il mio segreto. Mi sorride piano come se non volesse disturbare il mio momento. Le sue guance rosse sono un faro per il mio sguardo. Perché mi guarda così? Perché cerco l'approvazione nei suoi occhi?

Possibile che abbia capito?

Penso sia la prima volta che mi vede. E' la prima volta che io vedo lei.

Fuori scuola, mentre mi pavoneggio per la mia vittoria, circondato dai miei amici, illuminato dal sole del primo pomeriggio, impavido nella mia giacca logora, mi sporgo verso il mio migliore amico per non farmi sentire dagli altri.

«Come hai detto che si chiama la sorellina di Bianchi?»



***
Tu tu tuuu, tutututu tu tu tu tuuuuu...
(Si capisce che è la sigla della Century Fox?)

Bè che dire follettini e follettine, primo raccontino scritto. Ne seguiranno altri, ovviamente! Fatemi sapere cosa ne pensate e se avete altre idee, su con la vita, è il momento di tirarle fuori.
Baci pentastellati

Xoxo❤️

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