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Sempre

Rimane sempre uno dei miei pezzi preferiti, quel décolleté che scivola giù, come d'incanto, lungo i tuoi fianchi sinuosi, mostrando al cielo i torniti seni e quell'armoniose curve da sanare.

Sarà peccato e peccato sarà se non sarà adesso. Subito.

Le fiamme complici di un caminetto acceso dalla tarda notte che sogghignano sapide. E noi: cumuli di carne che si rimescolano fra nuvole di piume e di cotone. Sudore e lacrime, come rugiada, inumidiscono i nostri corpi all'estasi dei sensi; un'ostinata foschia, per gli ansimanti respiri di due anime incontenibili e brave.

Lo squillo del telefono interrompe il coito.
Mi getto disilluso sul fianco e ti guardo, colpevole e disarmato. Il tuo non voler incrociare il mio sguardo comunica più di mille parole: insoddisfatta. Inevitabile.

La colazione è pronta e non ti aspetta alzata; parcheggiata ai piedi del letto, sul comò antico di fine ottocento: pezzo da novanta, unico lascito di una madre poco premurosa ma parecchio scaltra.
Che ti rimane di lei? Forse quel modo di affrontare la vita come se un domani non arrivasse mai, come se esistesse solo tutto e adesso, come se i vari progetti per il futuro fossero inutili irrealizzabili utopie.

Ti sento roteare il cucchiaio e riconosco il suo struscio sui bordi della tazza: mentre raffreddi il tè e il cuore. Risvolto i polsini e assesto la cintura. Lo specchio mi guarda con occhi infastiditi e folti capelli sgualciti, mentre indugio sulla porta, in tralice.
Le tue grandi labbra accarezzano il cucchiaio e trasalire è per te un attimo mentre la mia porta sbatte e divide le nostre strade fino a tarda sera.

Dentro di te è l'argento vivo e la sensazione ti crea immenso piacere, quel meritato piacere che non ti è stato concesso; del quale sei appena stata privata; stuprata da un senso del dovere che non ti s'addice, che ti appare estraneo. Stuprata. Da quell'insolente estraneo senso del dovere. Non è amore. Così, non può essere amore.

Eppure c'è, nella tua freddezza esteriore, quel piccolo spazio d'infinito che s'aggrappa all'impeto, alla spregiudicatezza, all'incredulità e consapevolezza del nostro essere affini...

È solo questione di tempo, piccola mia. Lascia scivolare le ore; lascia che il tuo desiderio rimanga integro fino al mio rientro; lascia che il tempo non giochi sporco con il tuo corpo, che la tua mente non ceda al fremito di quel desiderio. Conserva tutta te stessa. Lascia che ci sia anch'io, in quel momento, lì con te.

Pensieri di sconforto non ti sopraffaggano, dolcezza mia. Non lasciarti travolgere dalla crudezza della quotidianità, dalla scontatezza della vita. Non lasciarti trasportare dalla facilità di certe emozioni. Non sei solo tua. Tu sei mia. E voglio che anche questa sera tu sia mia. Per tutte le cose che mai ti ho detto. Per tutte le cose che mai sarò in grado di dirti e che mai potresti immaginare.

Certo. Tu non lo sai che, quando ti sfioro la pelle, è immensa la paura di ferirti; e che rubo il tuo profumo con quelle mie ruvide carezze. Tu mica lo sai... che, mentre nuoto fra la folla, serbo ancora il tuo sapore sulle mie labbra; e che sporchi la mia anima, solo guardandomi negli occhi.

Percorro intrepido le vie dell'isolato, zigzagando fra le zebre e i camaleonti luminosi, esibendomi al traffico come un abile violinista tzigano saprebbe improvvisarsi dinanzi al suo pubblico.
L'insegna affissa sulla Torre dell'Orologio non promette nulla di buono: pioggia intermittente di led azzurri per l'intero pomeriggio.
Ma che gliene importa ad un povero scribacchino che se ne starà seduto tutto il giorno nella sua poltrona di pelle marrone dietro un'indigesta scrivania in legno massello sotto un soffitto di mosaici bizantini a ricomporre i suoi frammentari pensieri disturbati dal tiepidume di quella lampada a incandescenza sorretta da un telescopico stelo in stridente acciaio?
Nulla. Un benemerito nulla.

Graffette e mine. Parole e numeri. Pensieri e colori.

Pensieri. E colori. E ancora pensieri. Ancora il tuo profumo sulle mie dita che affondo dentro la zip aperta; la tua foto appoggiata semi-eretta sul calamaio; l'emozione che scorre lungo la pelle, nelle ossa, nelle vene.
Ed è solo un breve e intenso assaggio del tuo amore: uno tzigano con l'archetto in mano che si esibisce solo dinanzi a te; l'aperitivo, dietro un brulicar di gemiti.

Facce di cera, facce di bronzo e facce da schiaffi che si succedono come ogni giorno su quella sedia, di fronte la mia scrivania; parole spese, parole strappate, parole perse che sciupo invano per non si sa bene quale motivo; poi lacrime di coccodrillo, orecchie da mercante ...e infine, di questo come di tutto il resto, ciò che resta è solo sabbia.

Attraverso la finestra, fa bella mostra l'orologio della Torre che mi raddolcisce il tempo con le sue lancette di liquirizia. Timbrar non nuoce, al primo accenno d'ombra; quando la Torre concede al sole di nascondersi dietro la propria schiena; e il brulichio nelle agorà vivacizza il centro, fra aperitivi e folle di shoppers e dumping folli.
Stacco l'interruttore. Il mondo delle responsabilità si spegne e svanisce nell'oblio.

Benedetta sera che accende folle la passione e affoga ogni pensiero; sera che illumina il tuo volto che è un luccichio di stelle; sera che non è troppo tardi ancora per effusioni e risa; che ti fai coccolare, che tengo i tuoi capelli fra le dita.
Cento battiti. E sussulti. E mille battiti ancora. Non può finire che in un'esplosione di eterno.

Eterno: quel momento, solo tuo e mio, per consumare la vita. Per le lenzuola sgualcite che ci avvolgono e per la sete d'amore che ci prosciuga la gola.

L'amore non è perfetto. L'amore non è per certo. L'amore può sbagliare, ma può anche imparare e riprovare. E ora siamo qui, nuovamente qui, tu l'amore ed io e dio fra noi e l'eterno sapore di questo fugace istante in cui mi hai, qui, ostinato, sopra e dentro di te, incombente, come spuma di mare e qui, dentro me, tu e l'eterno amore.

Il miagolio lontano di chi è alla ricerca di attenzioni, giunge indifferente alle soglie della porta; e non può cogliere quei tuoi soffocati gemiti di piacere, la forza della creazione, l'atto d'amore. Un fiume in piena. In un letto d'amore.

Due calici intonsi, posati senza cura alcuna sul tavolino, ignari testimoni del nostro fervore e di tanta palpitante impazienza.

E noi, qui, a riprovarci ancora.
Ancora. Riproviamoci. E ancora.
Sì... riproviamoci. Dai, riproviamoci...
Sempre.

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