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Prologo, 20 agosto 2002

Era una tiepida giornata di agosto a Denver, Colorado.

''L'ultima settimana di libertà'', così era definito quel periodo dai ragazzi.
Erano gli ultimi giorni prima dell'inizio di un nuovo anno scolastico.

Una bambina di circa sei anni stava giocando nel cortile di casa sua con le bambole. Aveva dei lunghi capelli castani, ondulati, che teneva indietro con un sottile cerchietto lilla, dove era attaccato un piccolo fiocco di lato, del medesimo colore.
Nel giardino accanto, due piccoli occhi curiosi osservavano timidamente i movimenti delicati della bimba: appartenevano al suo piccolo vicino di casa, un bambino della stessa età di lei. Egli passava i pomeriggi così, ad osservarla mentre giocava, incuriosito dai discorsi, le risate e le storie che lei creava.
A volte si poneva anche domande e, addirittura, si rispondeva.

Dopo circa cinque minuti la bambina smise, mettendo delicatamente le bambole a terra. Prese un altro gioco, composto da vari pezzi di plastica colorati e, con attenzione, si mise a creare una torre.
Il bambino, ancora più incuriosito, quasi senza accorgersene, inizió ad avvicinarsi sempre di più.
Lei, sentendo dei passi avvicinarsi, si giró dalla sua parte per vedere chi fosse.
I loro occhi si incrociarono.
Rimasero a fissarsi per un po', e in quel piccolo arco di tempo il bambino si rese conto dei bellissimi occhi verdi che la bambina aveva.

Ad un certo punto quest'ultima decise di rompere il silenzio.

«Vuoi giocare?»
«I-io?»
«Sì.»

Il bambino scosse la testa e abbassó lo sguardo.
«Perchè?»
Lei continuava a fissarlo, ma lui non si azzardava nemmeno a riprendere il contatto visivo.

«Mi prenderai in giro.»

La bimba all'inizio sembrò confusa, quando si accorse che dei piccoli tic stavano torturando la spalla del misterioso bambino.
A quel punto lui alzó lo sguardo, aspettandosi di vederla spaventata o addirittura schifata, ma rimase piuttosto sorpreso quando al contrario, lei gli sorrise e gli diede uno dei pezzi di plastica colorata.

Lui prese posto vicino a lei e, titubante, prese il pezzo, posizionandolo sopra la torre che lei aveva già iniziato a creare.

La bimba continuava a sorridere raggiante, facendogli segno di prenderne un altro.
Lui lo prese; il pezzo azzurro che aveva in mano era appena entrato in contatto con gli altri quando un tic improvviso alla mano gli fece spingere involontariamente, con forza, il pezzo contro la torre. Crollò tutto in pochi secondi.
Guardó la bambina.
Lei rimase impassibile, fissandolo negli occhi per qualche secondo.
Il bambino era mortificato; stava già iniziando a chiederle scusa quando lei, improvvisamente, scoppió a ridere, lasciandolo del tutto confuso.

«Non s-sei arrabbiata..?»
«No! Sei buffo!» Esclamò tra le risate.

Lui sorrise appena, lanciandole uno sguardo veloce.
«Come ti chiami?» Chiese con un filo di voce.
Il sorriso della bambina si fece più ampio.
«Theresa, tu?»
«Tobias.» Rispose titubante. La bimba sembrò pensarci qualche istante.
«Ti chiamerò Toby.» Decise infine.
«O-okay... Mia madre mi chiama così..»
«Da oggi in poi anche io!» Esclamò con aria allegra.
Lui sorrise, questa volta un vero sorriso.
«Io ti posso chiamare Tessa?»
«Mia madre mi chiama così!» Rispose Tessa indicando Toby, che scoppiò a ridere.
I due passarono tutto il pomeriggio a ridere, scherzare e giocare. Nel cuore di Toby si accese un po' di speranza: forse quella bambina gli avrebbe finalmente donato un po' di serenità.

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