Capitolo 13, 2016
«Theresa Nicole Arget: venti anni, non troppo alta, capelli castani ondulati ed occhi verdi. Scomparsa due giorni fa... Ha qualche sospetto, agente Rods?»
«A dire il vero sí.» Rispose l'agente alzandosi dalla sedia e prendendo dei fogli. Ne attaccò uno con una calamita ad una lavagnetta lì vicino. Era una foto.
«Questa è la ragazza scomparsa ormai quarantotto ore fa.» Esordí scrivendo il nome di Tessa sotto la foto; dopo ne prese un'altra, questa volta raffigurava un ragazzo.
«E questo è Tobias Erin Rogers.» Continuò facendo la stessa cosa.
L'altro agente sussultò, riconoscendo Toby.
«Rogers? Il suo caso è stato concluso molto tempo fa...»
L'agente Rods fece una risatina.
«No, si sbaglia agente Haight. Il suo caso non è stato concluso, è stato sospeso tre anni fa per mancanza di prove, dopo due settimane di ricerche. È stato dichiarato morto. Tuttavia... Il corpo del ragazzo non è mai stato trovato.» Fece una pausa, poi continuò «Si dà il caso che Arget e Rogers erano vicini di casa.» Disse alzando la voce, tracciando con il pennarello una linea che collegava le due foto.
«E pare anche che nel periodo che va prima della scomparsa del ragazzo, i due si stavano rendendo conto di provare di più di una semplice amicizia. Così hanno raccontato testimoni vicini ai due ragazzi.»
L'agente Haight ascoltava in silenzio, limitandosi ad annuire.
«Pensa che Rogers sia tornato per prendersi la ragazza?» Chiese successivamente al collega, che annuì.
«Onestamente, Rods... Non credo sia possibile. Rogers aveva molti problemi, mi ricordo perfettamente le circostanze del suo caso.» Affermò subito dopo. In risposta, l'uomo davanti alla lavagnetta prese un'altra foto, questa volta era un fotogramma di una videocamera di sorveglianza di un condominio.
«Lui è il killer che un mese fa ha ucciso tutti i membri della famiglia Henderson. Si firma usando il nome "TT".» Disse scrivendo questo nome sotto la foto. «Nella ripresa si possono notare vari elementi che si collegano con la storia di Rogers. Due accette legate alla cintura, i movimenti a scatti... Rogers soffriva della "Sindrome di Tourette", malattia che provoca vari tic nervosi. Tic che quando il killer è stato catturato l'anno scorso, erano evidenti anche nella sua voce.» Scrisse le parole chiave che descrivevano Toby su tutte e due le foto, quella del killer e quella del ragazzo.
«Rogers e "TT" sono la stessa persona, agente Haight. Le accette che il killer ha con se sono le stesse che prese dal garage di casa sua, prima di fingere la sua morte.» Concluse collegando le due foto. Il collega scosse la testa, incredulo.
«I killer non provano amore...»
«Ma provano ossessione.» Disse Rods chiudendo il pennarello.
Dopo aver pensato per qualche istante, l'agente Haight si alzò di scatto, guardando il collega.
«Voglio che ogni minimo centimetro del bosco venga setacciato. È lì che sono stati visti per l'ultima volta i due ragazzi... E anche il killer.» Concluse prima di uscire dalla sala.
Jason Rods emise un ghigno compiaciuto, prima di guardare un'ultima volta le foto.
Passarono due giorni.
Due giorni da quando Theresa aveva messo piede in quella casa. Era rimasta lì, nascosta, evitando ogni tipo di rapporto o contatto con gli abitanti di quella vecchia casa abbandonata. Semplicemente aspettava. Aspettava il momento giusto per scappare da quell'inferno. Ogni tanto sentiva delle urla e dei rumori violenti; ovviamente dei pazzi non potevano vivere sotto lo stesso tetto senza tentare di uccidersi a vicenda. Doveva muoversi da lì, e anche in fretta: le ferite andavano medicate e se avesse aspettato ancora sicuramente sarebbe morta di fame o di sete.
O di tutte e due.
I piani dell'Operatore erano sconosciuti anche ai suoi proxy: Toby, che al suo ritorno nei sotterranei non aveva trovato nessuno, dopo aver imprecato e tirato con rabbia una sedia contro il muro, ancora si chiedeva come mai il capo non avesse agito per ucciderla.
Lui sapeva dov'era, e allora perché non farla subito fuori? Toby si fidava di lui, forse stava solo aspettando il momento giusto. Anche se il fatto di essersi fatto scappare una ragazzina impicciona lo irritava e non poco. Jane invece aveva appena avuto una brutta lite con Eyeless Jack: i due si erano presi a coltellate per poi rifugiarsi ognuno nella propria camera. Tessa stava ancora meditando sul da farsi quando sentì bussare alla porta. Non voleva assolutamente andare ad aprire: la paura di ritrovarsi davanti un pazzo con una motosega pronto a farla fuori non la rendeva particolarmente eccitata.
Ignorò chiunque stesse lì fuori. Questo però non si diede per vinto e continuò a bussare insistentemente.
Presa da un attacco di nervosismo, spostò bruscamente il telo che la nascondeva, si alzò di scatto stringendo i denti per il dolore causato dalle ferite e quando aprí la porta un senso di inquietudine la pervase.
Non c'era nessuno. Che fosse uno scherzo?
No, degli assassini non si mettono di certo a fare scherzetti del genere. E allora? La ragazza si sporse per vedere se nel corridoio c'era qualcuno, ma niente. Nemmeno il minimo rumore, il che era molto strano. Proprio mentre stava per rientrare però, venne spinta con violenza contro il muro.
Le si geló il sangue quando vide che davanti a lei c'era Jeffrey Woods, il killer ricercato in tutta l'America che diversi anni prima uccise la sua stessa famiglia. Jeff notó l'espressione spaventata della ragazza e ridacchió compiaciuto.
«E quindi sei tu quella che quel rammollito non è riuscito ad uccidere... Sai, mi fai quasi pena.» Disse squadrandola da capo a piedi. «Spero che tu abbia gradito la permanenza in questo posto. Purtroppo però finisce qui.» Annunciò con quel fastidioso sorriso inciso sulle guance. Era rivoltante. Le palpebre erano state bruciate. La pelle sembrava cuoio. Tessa non aveva mai visto essere più raccapricciante. Jeff impugnò il suo fidato coltello, quando la ragazza riuscì a liberarsi con uno strattone. Iniziò a correre e si fermò solo quando era sicura di essere abbastanza lontana: l'ultima volta che aveva corso così non era finita molto bene.
Una volta ferma, si rese conto che non era mai stata in quella parte dell'edificio, certo, gli unici posti che aveva visitato erano i sotterranei, la camera dove si era nascosta, i corridoi e qualche altra stanza.
Dopo aver ripreso fiato si girò, pronta a tornare indietro nel modo più silenzioso possibile. Le ferite si stavano rimarginando, anche se le facevano ancora un male atroce. Si irrigidì non appena sentì il suono di un carillon. Più la musica andava avanti però, più il suono si distorceva; andò avanti per qualche istante, per poi cessare improvvisamente.
«C'era un bambino. Il suo nome era Isaac.»
A queste parole Tessa si girò di scatto. Alla vista di quell'essere sbiancò.
Era un pagliaccio, ma a differenza degli altri pagliacci i suoi vestiti erano bianchi e neri.
«Io ero il suo migliore amico. Ci divertivamo molto insieme.» Disse Jack avvicinandosi alla ragazza, che per la paura non si mosse. Aveva iniziato a tremare.
«Con il passare del tempo Isaac crebbe, e finí per dimenticarmi. Dimenticò me, il suo migliore amico...» Continuò passando una mano sotto il mento di Tessa.
«Ho fatto una cosa molto, tanto brutta...» Sussurrò il pagliaccio. «L'ho ucciso.» Concluse poi.
A queste parole un brivido attraversò la schiena di Tessa. Era sicura che avrebbe fatto la stessa fine.
Jack stava avvicinando le sue unghie affilate al petto della ragazza, quando si udì un rumore.
Slenderman si collegò telepaticamente con tutti gli abitanti della casa, e solo poche parole bastarono per far fuggire Jack:
«La casa è circondata dalla polizia.»
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