Capitolo 12, 2016
Passarono alcune ore da quando Toby lasciò la cantina, e nella stanza regnava il silenzio.
Tessa era seduta per terra dolorante. Le faceva male tutto, soprattutto le braccia e la spalla destra.
Fissava un punto indefinito, non aveva ancora smesso di tremare. Non sapeva cosa la stesse tenendo in vita, ma l'emorraggia sembrava essersi fermata. Nella sua mente si ripeteva la scena di qualche ora prima. Quel ragazzo, i suoi movimenti a scatti, le accette che si scontravano velocemente contro la sua pelle. Tessa sapeva che prima o poi sarebbe tornato a finire il suo lavoro lasciato incompleto. Lo sperava. Che senso aveva rimanere lì, in quello stato? Oramai la sua vita non aveva più un senso: aveva abbandonato gli studi, non usciva mai e tutti i suoi amici le avevano voltato le spalle, da quando Toby aveva ucciso suo padre.
Più volte aveva anche pensato al suicidio senza mai però provare ad agire. L'aveva sempre trovata una cosa inutile togliersi la vita prematuramente.
A cosa serviva smettere di vivere quando si aveva ancora tutta la vita davanti?
E allora, come mai si stava arrendendo così facilmente? Non sarebbe morta così, sanguinante e nel mezzo dei suoi diciannove anni. Sarebbe arrivata almeno a venti. Ventuno, magari.
Girò la testa lentamente in cerca di qualcosa di utile per slegarsi, tremando ancora per il dolore.
Doveva sbrigarsi, avrebbe accumulato tutte le sue forze. Il suo sguardo cadde su un pezzo di legno che sembrava abbastanza tagliente. Provó ad alzarsi, una perdita di equilibrio la rimandò subito a terra. Tessa non si diede per vinta, ritentò una seconda e poi una terza volta. Alla quarta riuscì ad alzarsi, strusciando la schiena contro il muro per non cadere nuovamente. Camminò barcollando fino al pezzo di legno, e con movimenti rapidi iniziò a sfregare la corda che era legata ai polsi su di esso. Riuscì a slegarsi quasi subito, nonostante le ferite profonde. Strinse i denti ed uscì dalla stanza. Stava andando totalmente a caso, aiutandosi solo dai rumori che si sentivano. Per ciò che ne sapeva, poteva ritrovarsi direttamente nella camera da letto dell'assassino. Salí due rampe di scale, trovandosi in quello che doveva essere una sorta di soggiorno.
I divani erano rovinati e probabilmente provenivano da qualche discarica di Denver o dintorni.
Delle voci la fecero scattare di colpo, e in meno di un minuto già si trovava al piano di sopra.
«Stai calma Marjorie!»
«Come puoi dirmi di stare calma?! Robert, tua figlia è scomparsa!» Urlò la donna.
«Magari le si è soltanto scaricato il telefono...» Disse il marito guardandola, una piccola nota di speranza nella sua voce.
«Sarebbe tornata! È dalle quattro che è uscita! Sono le undici passate e ancora non si è vista..! Non sei preoccupato?»
-«Si, certo che lo sono! Ma stai calma, agitarsi non la riporterà immediatamente qui. Ho avvertito la polizia e stanno arrivando.»
Marjorie si sedette sul divano del soggiorno, portando poi la testa fra le mani.
Fuori era ormai sera, e nel quartiere regnava il silenzio. La strada principale era illuminata da alcuni lampioni. Conosceva bene suo marito e sapeva che, nonostante la finta calma che cercava di mostrare, il cuore di Robert stava tremando di terrore e agitazione.
«Mamma, papà...»
I due si voltarono verso le scale, e Marjorie, alla vista del figlio, sospirò.
«Tom, che ci fai ancora sveglio?» Chiese Robert.
«Veramente non sono mai andato a dormire.» Rispose il quindicenne «Tessa... Si sa qualcosa..?» Continuò subito dopo.
Marjorie abbassò lo sguardo, e il marito guardò il figlio.
«La polizia arriverà tra poco.» Rispose il padre.
Thomas annuì e si mise a sedere accanto alla madre, che lo abbracciò posandogli il mento sulla testa.
Tessa vagava dolorante da quasi un'ora, cercando un posto dove nascondersi. Aveva provato ad avvicinarsi ad alcune porte, ma in quasi tutte le stanze aveva trovato dei vecchi materassi in disordine, segno che qualcuno sarebbe potuto tornare lì da un momento all'altro.
Si accostò ad una porta verde, per sentire se da dentro provenissero rumori. Non sentí niente.
Mise lentamente la mano sulla maniglia, spostandola verso il basso con la medesima lentezza.
Fece capolino dentro la stanza.
Bastarono pochi istanti e un rumore statico, quello stesso rumore che l'aveva condotta lì, si fece spazio nella sua testa. Alzó lo sguardo, e si rese conto che non era sola, trovandosi davanti l'uomo alto che l'aveva perseguitata nelle ultime settimane, quello che aveva visto fuori casa sua e, secondo la descrizione del suo migliore amico, l'entità che aveva inquietato Toby anni prima.
Chiuse di scatto la porta, poggiandosi sulla sua superficie ansimando. L'aveva vista. Pur non avendo gli occhi, le erano bastati pochi secondi per sentire il suo sguardo addosso. Era tutto vero? Cosa stava succedendo? Doveva nascondersi prima che fosse troppo tardi. Si guardò intorno, per poi notare un foglio attaccato su un muro. Si avviò, e una volta raggiunto il foglio lo tolse dalla parete: era una pagina, uguale a quella del videogioco da cui suo fratello e la sua amica Mart erano ossessionati.
La piegó e la mise in tasca, per poi prendere un grande respiro e proseguire per la sua dolorosa strada. Sperò che il sangue sui suoi vestiti non rovinasse troppo la pagina. Sentiva che era importante. Il dolore però era troppo, e Tessa sentiva le forze abbandonarla. Girò lo sguardo in cerca di qualcosa dove nascondersi per riposare un po', e vide una porta ai lati delle scale più mal ridotta delle altre: probabilmente non ci entrava nessuno da un bel pezzo.
Una volta entrata dentro, Tessa notó che quello dove si trovava era un magazzino pieno di cianfrusaglie varie. C'era un grande telo bianco in un angolo abbastanza nascosto; Tessa si sarebbe riposata lì.
Nessuno l'avrebbe trovata.
Si sistemò lì a terra, e poco dopo le forze l'abbandonarono.
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