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Capitolo Uno: Home

Evelyn

Un mio amico, una volta mi ha detto: "Casa, è il luogo in ti senti più felice, amato e protetto. Non sono necessariamente, quelle quattro mura che ti vedono crescere. La tua casa, la scegli tu. E sei mai quella casa, ti farà sentire oppressa o non la sentirai più tua, va via. Non aver paura di scoprire cose c'è al di fuori da essa. Corri, scappa alla ricerca della libertà prendi un aereo e va lontano. Fa del mondo la tua casa, se è necessario"

Così è andata alla fine, ho fatto sii che la mia casa fosse il mondo e non più quell'amata città che mi ha vista crescere, non più quelle persone che mi hanno accompagnata nel corso della mia vita.

Sono diventata una vagabonda fra le stelle, vivendo in casa di giorno e passando in giro la notte accompagnata solo da esse.

Ho avuto due posti che ho potuto chiamare casa.

La prima, è la mia amata Verona. Dove sono cresciuta, dove ho ritrovato parte di me stessa, quando mi sono persa.

La seconda, è Boston. Dove ho passato gran parte della mia adolescenza, ho incontrato gli amici migliori. Quelli di una vita, che ti supportano quando piangi e ridono alle peggiori cadute.
In entrambi i casi, mi sono sentita a casa. Sapevo di essere nel posto, al momento giusto, nonostante i problemi, quella era la mia casa.

Ma col tempo, ho capito una cosa. Molto spesso la tua casa sei tu.

L'ho capito proprio quando tutto mi stava scivolando tra le mani, quando la mia vita stava crollando davanti ai miei occhi. E per quanto possa sembrare narcisistico tale discorso, non può che essere che veritiero, bisogna trovar la forza a iniziare a vedere solo sé.

Eppure, mentre guardo la porta in legno davanti a me, non mi sento a casa. Credevo che fuggendo, cercando una mia libertà, avrei potuto ritrovare casa.

Guardo l'ora sul mio orologio da polso, è relativamente presto; sono solo le 8:15. Afferro nuovamente i miei bagagli, mi incammino verso l'esterno.

Forse, stare ancora un po' per i fatti miei, mi farà bene.

Sarei dovuta arrivare fra due ore, ma ho deciso di partire prima. Quella stanza d'hotel in cui ero rinchiusa mi stava facendo impazzire. O forse già l'ha fatto.
Man mano che passavano i giorni, sembrava che si facesse sempre più piccola; le pareti si stringevano attorno a me facendomi soccombere dai miei stessi pensieri. Era come se ogni mio incubo lì dentro divenisse realtà.

Cammino per Av. d'Ostende, che si affaccia proprio sul porto di Montecarlo, trascino con me valige e zaino sperando di non cadere. Ma purtroppo, le mie speranze vanno in fumo quando un ragazzo che jogging, in occhiali da sole, mi viene addosso.

Chi è il cretino che fa jogging con gli occhiali da sole?!

<<Ehi straniera, fa' attenzione la prossima volta>> dice per poi riprendere la sua corsa mentre io sono ancora seduta per terra.

Poteva aiutare almeno! Infondo è colpa sua.

<<Grazie tante cretino!>> urlo di rimando, rialzandomi da terra e raccogliendo le mie cose.
Forse, non sono cambiata molto.

Dopo quasi mezz'ora passata a camminare per le vie di questa città, cercando di non perdermi, decido di farmi coraggio ed ritornare a 'casa.' Anche se so pienamente, che una volta varcata la soglia di quella porta, dovrò dire addio a chi ero, ma soprattutto a chi sono.

Arrivo nuovamente di fronte a quella porta, che sono le 9:05, ma stavolta invece di andare via mi faccio coraggio ed busso.

Poco dopo, la porta viene aperta da una ragazza dai capelli rossi arruffati e con addosso un pigiama con le paperelle.
Inizialmente, lei mi guarda confusa ma poi sbarra gli occhi e si porta una mano davanti alla bocca.

<<Oh mio dio! Non dirmi che dormito troppo. Scusa, scusa non volevo lasciarti da sola in aeroporto. Giuro, che mi farò perdonare!>> dice tutto d'un fiato.

Wow, parla davvero veloce.

<<Hey, non preoccuparti. Mi hanno anticipato il volo, non ho avuto modi per contattarti visto che ho perso il tuo numero, Arielle giusto? Scusa, sono una frana con i nomi>> domando sorridendole sinceramente.

Ho detto più bugie ora, che nel resto della mia vita. Che record.

<<Arielle Bonnet, ma tutti mi chiamo Elle. Su forza entra, non stare lì impalata. Ti serve una mano?>>
Prova a prendere il borsone dalle mie mani, ma io lo tiro via velocemente.
<<NO!>> urlo istintivamente e lei mi guarda confusa mentre io cerco di sistemare la situazione.

<<No, tranquilla! È leggero>> dico per poi entrare in casa, emettendo un sospiro di sollievo.
<<Beh, benvenuta nella tua nuova casa. Spero che ti piaccia più che dalle foto, mi dispiace che tu non l'abbia potuta vedere da vicino prima. Passata l'influenza?>>

Influenza? Sul serio. Non poteva inventarsi niente di meglio?

<<Si, mi sono davvero ripresa.>>
<<Colin mi ha parlato bene di te, sai?>> afferma, mentre maneggia con la macchinetta del caffè.

<<Lo conosci da molto?>> continua mettendo davanti a me una tazzina di caffè, che prendo volentieri.

Il caffè non si rifiuta mai.

<<Abbastanza. E tu?>> domando per poi portarmi la tazzina alle labbra.
<<Lo conosco da un paio d'anni, ma non molto bene. Andava a scuola con mio fratello>> dice per poi prendere anche lei un sorso del suo caffè mentre io annuisco in risposta.

Il silenzio che si è creato nella stanza, viene interrotto poco dopo da una suoneria proveniente dall'altra stanza.
Arielle mi fa un cenno di scuse e si affretta a rispondere al telefono.

Nel mentre afferro il mio di cellulare, anch'esso nuovo, insieme al pacchetto di sigarette e mi dirigo verso la portafinestra, uscendo sul balcone.

Porto la sigaretta alle labbra e l'accendo con una vecchia clipper; l'effetto della nicotina di fa sentire subito, i nervi sono meno tesi e riesco a rilassarmi.

Anche se in realtà, la nicotina non ha nessun effetto calmante sull'organismo. Gli effetti ''calmanti'' della nicotina riportati dai fumatori sono dovuti sia a un effetto diretto di sedazione della sostanza quanto al fatto che, fumando, si riducono gli effetti della possibile astinenza.

Quindi in poche semplici parole: sono dipendente dal fumo.

Sento Arielle discutere al telefono nell'altra stanza, chiudo gli occhi provando a concertarmi solo su cosa mi circonda.

Prendo un altro tiro dalla sigaretta.

Un tempo odiavo fumare.
Ma tutto questo appartiene al prima.

A prima del caos.
Della mia rottura.
A prima che compissi scelte sbagliate.

Porto la sigaretta davanti ai miei occhi, mentre la vedo consumarsi sotto i miei stessi occhi; è bastato solamente che qualcuno avvicinasse una piccola fiamma vicino a essa, per far sì che lei si consumi su stessa.

Si autodistrugge, a causa d'altri.

Ho iniziato a fumare proprio per questo motivo, è il modo più lento per distruggersi; ti consuma pian piano dentro, bruciandoti proprio come la sigaretta fa con sé stessa, ma è solo dopo un'anni che ti rendi conto del danno che ti ha causato.

Una lenta e lunga distruzione.

Un tempo, non capivo nemmeno perché la gente ne avesse bisogno. Mio padre è sempre stato severo su questo discorso essendo un allenatore e un salutista, mi ha sempre spiegato come le sigarette, possano pian piano stroncare le carriere degli atleti, quindi non ho mai avuto dubbi sul fatto che il fumo fosse assolutamente vietato per me.
Un tempo era anch'io un'atleta ma la mia opportunità è stata stroncata da ben altro, così all'improvviso. Una vita intera senza commettere errori di questo tipo, per poi perdere tutto all'improvviso.

È stato all'ora, che la parte malsana di me mi ha spinto verso una dipendenza, non avevo più niente da perdere.
Faccio l'ultimo tiro, per poi spegnere la sigaretta nel posacenere accanto a me.
Afferro nuovamente il telefono, perdendo un po' ti tempo a osservare il mio blocco schermo.

È l'unica cosa, a cui non ho saputo dire addio.

La foto, ritrae me e i miei amici in una delle nostre avvenute ed è stata scattata poco prima che tutto andasse a rotoli. La cosa più ironica, è che a scattarla è stato proprio colui che ha scatenato tutto questo.

Tiro su col naso, ripromettendomi di non piangere e mando un messaggio all'unica persona, che per il momento mi è rimasta.

'Sono arrivata, è tutto ok'

La sua risposta non tarda ad arrivare, dicendomi un semplice 'ok' e che mi avrebbe raggiunto fra qualche giorno.

Apro Instagram, volendo perdermi nuovamente tra i ricordi; nella barra delle ricerche, digito il nome del profilo che avevamo in comune, tentenno un po' prima di farmi coraggio e cliccare sul profilo.

L'ultimo post, risale a due giorni fa.
Con un po' d'amarezza, scorro tutte le foto contenti in quest'ultimo; ogni foto, almeno la maggior parte, ritraggono me in una delle nostre bravate. Una di queste, ritrae me sdraiata sul tetto mentre mangio una fettina di pizza.

La didascalia però, mi fa spezzare il cuore: 'Ricordando te. Ci manchi piccola Evy'

Mi mancate anche voi ragazzi.

Rimango per un po' sul balcone, godendomi il panorama ma soprattutto per non dover subire la mia coinquilina che continua a discutere al telefono.

La porta d'ingresso si apre all'improvviso. Un ragazzo sul metro e ottanta, capelli castani e vestito in maniera sportiva, fa il suo ingresso come se fosse casa sua.
<<AAARIEELLE, a che ora arrivava la tua nuova coinquilina?>> dice chiudendo la porta dietro di sé mentre di guarda intorno alla ricerca della rossa.

Ma che diavolo urli?!

Prima che possa dire, o meglio urlare, altro decido di prendere in mano la situazione ed entro in casa.

<<Veramente è già arrivata>> affermo dietro di lui.

Il ragazzo si gira verso di me, la sua bocca si schiude dallo stupore per poi aprirsi in un piccolo ghigno. Gli occhi verdi, percorrono ogni centimetro del mio corpo, come se ne volesse memorizzare ogni singola parte.

Per la prima volta dopo tanto tempo, mi sento impotente sotto a uno sguardo. E questa cosa non mi piace.

I suoi occhi, infine si posano nei miei che lo scrutano curiosa, e finalmente prende parola:
<<È un piacere rivederti, straniera.>>

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