Capitolo Otto: Quiet
Charles
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Ho sempre amato la quiete.
Mi ha sempre fatto sentire a mio agio.
Un po' mi sento così; calmo e silenzioso.
Forse, nella mia vita pubblica sono il completo opposto, ma in quella privata mi piace circondarmi dal silenzio e dalla calma.
Nei momenti di silenzio, mi piace riscoprire me stesso.
Robin Sharma diceva: '' Nella quiete vive la saggezza. Nel silenzio troverai la pace. In solitudine ti ricorderai di te stesso''. E io mi sento così.
Perché quando il mondo parla, io preferisco l'angolo di tranquillità.
Come gli instanti dopo una tempesta.
Calmi e silenziosi.
Eppure, ora che lei se n'è andata, questo silenzio non mi è mai sembrato più rumoroso di così.
Chiudo la porta e mi appoggio a essa. Nell'appartamento, riecheggiano ancora gli echi delle sue risate che risuonano nella mia testa.
Cosa mi sta succedendo?
Sospiro piano, mentre mi allontano dalla fredda porta per avvicinarmi al pianoforte.
Mi siedo sullo sgabello, accarezzo i tasti del pianoforte ma senza suonarli.
È passato così tanto tempo, dall'ultima volta.
Quando stavo con Charlotte, non erano rare le volte in cui ci sedevamo e suonavamo il piano insieme ma con Yvonne, queste cose non sono possibili.
Odia il suono del piano.
Così, ho smesso per un po'.
Chiudo gli occhi, appoggio le dita sui tasti, stavolta facendo pressione e inizio a suonare.
Suono, come se fossi nato per questo.
Suono, come se la mia intera vita dipendesse da ciò.
E mentre lo faccio, nella mia mente scorrono varie immagini; mi ci vuole poco, per capire che sono solamente dei ricordi.
Da quelli con Jules. Fino a quelli con una ragazza dai capelli color rame.
Le note si ricorrono l'una l'altra, creando la melodia perfetta.
Ora, insieme a quegli echi delle sue risate, nell'appartamento risuonano le note di Cold, di Jorge Mendez. È stato spontaneo, per me, suonare questa canzone. È calma, anche se un po' triste.
Forse, alcuni direbbero che sia addirittura struggente.
Nella versione originale, il brano, è accompagnato dal suono del violino. Ora, anche se lo strumento non è presente nella stanza, mi sembra quasi di sentirlo.
Suona elegante, nel sottofondo di un triste piano, portando con sé una leggera malinconia. E pian piano che continua, mi chiedo: ''Perché mi sta succedendo tutto questo? Perché devo sentirmi così vuoto?''
Cos'ho di sbagliato?
Cold, già dal titolo questo brano pare rispecchiarmi appieno.
Mi sento bloccato in un inverno eterno. Freddo e triste.
Ma calmo.
Uno di quegli inverni, in cui la neve scende piano e a fiocchi, per poi ricoprire di bianco tutto. Senza fretta, con tutta la tranquillità che questo mondo possa dare.
Ma così calmo e lento, che sembra che il tempo non passi mai.
Quando smetto di suonare, vengo riportato violentemente nella triste realtà. Quell'atmosfera creata dalla musica, viene spezzata e in quel momento mi spezzo anch'io.
Piango, perché non mi resta altro.
Mi copro il volto con le mani, perché mi vergogno delle mie stesse lacrime.
Mi vergogno del mio dolore, di quello che provo e di come mi fa sentire.
Piango, da solo, in un freddo appartamento, senza nessuno che mi dia delle carezze di conforto, che mi dica che andrà tutto bene.
Anche se, le uniche persone che vorrei accanto in questo momento non sono più qui.
<<Prima, lei ha detto che saresti stato fiero di me Papà. Tutti lo dicono. Perché allora, mi sento come se ti avessi deluso? Non so più che fare papà. >> mormoro col fiato corto.
Col corpo scosso dai singhiozzi che nessuno proverà a calmare.
Con le lacrime che mi rigano il volto e che nessuno asciugherà mai.
Col cuore a pezzi, senza aver nessuno che provi a ricomporlo.
<<Ti renderò fiero di me, papà. Lo giuro.>>
...
Quando mi alzo, poco tempo dopo, sento il corpo pesante.
Forse, il mio cuore lo è.
Il cellulare risuona nell'appartamento ma non ho il coraggio di rispondere; il nome di Yvonne, accompagnato da un cuore rosso, illumina ancora per qualche secondo lo schermo finché quest'ultimo diventa completamente nero.
La mia ragazza, continua a mandandomi dei messaggi chiedendomi che fine avessi fatto.
La mia ragazza. Colei che dovrei amare più della mia stessa vita, ma che non riesco ad amare.
Forse, non sono predestinato ad amare. O a essere amato.
Ed è per questo che Charlotte mi ha lasciato, perché tutte le persone a cui tenevo sono andate via.
Forse non sono fatto per l'amore, e il mio cuore è solo un blocco di ghiaccio che mi rende impossibile amare.
Ma da giorni mi sento diverso.
Sento che quel ghiaccio si sta pian piano sciogliendo, che l'inverno nella quale mi sento intrappolato sia finendo.
Perché c'è un calore che abbraccia il mio cuore ultimamente, è un qualcosa d'inaspettato.
È una persona così lontana, che ho visto così poche volte ma che sento più vicina di altre.
Perché nei suoi occhi ho letto il dolore e mi sono sentito a casa. Ho visto il mio riflesso e non mi sono spaventato.
Il cellulare suona nuovamente, stavolta a comparire sullo schermo è il nome di Arthur, mio fratello minore, ma anche stavolta evito di rispondo,
Afferro il telefono, spegnendolo direttamente.
Mi lamento di essere solo, ma non faccio altro che isolarmi.
Che cosa strana l'essere umano.
Ci lamentiamo per qualcosa ma non facciamo mai niente per porne fine.
Anche se rispondere, non sarebbe la scelta migliore al momento. Non sarei in grado di mentire, rischierei di crollare con lui dall'altro capo del telefono e non è quello che voglio.
Non voglio che mi vedano. Non voglio che sappiano.
A passi lenti, raggiungo la mia stanza da letto per recuperare dei vestiti puliti così da potermi fare una doccia e togliermi questa stanchezza da dosso.
Quando entro, come al solito, evito di guardare quel lato del letto.
Non so nemmeno io come arrivo al bagno, semplicemente lo faccio ma troppo immerso nei miei pensieri per rendermene conto. Mi guardo allo specchio ma stavolta non mi riconosco.
Il volto scavato, occhiaie profonde messe in risalto dal volto pallido, un sorriso tirato e gli occhi spenti.
Cosa mi è successo? Dov'è finito il ragazzo che sorrideva persino con gli occhi?
È solo la stanchezza, Charles.
Sei solamente stanco.
Ma nel profondo, so che c'è qualcosa di più.
Apro l'acqua e mi spoglio lentamente mentre aspetto la temperatura giusta.
E appena quest'ultima arriva mi butto sotto il getto bollente, tanto da far arrossare la pelle, provando a lavar via tutte quelle sensazioni da dosso.
Come se fossero sporco. Come se fosse così semplice eliminare il dolore.
Alzo il capo verso il getto, in modo tale che le lacrime possano mischiarsi all'acqua così da illudermi di non star piangendo. Rimango fermo in quella posizione per un po', sperando che l'acqua possa portar via con sé i miei stessi pensieri.
Solo ora me ne rendo conto.
Mentre il vapore dovuto all'acqua mi avvolge e l'unico rumore udibile è lo scrosciare della doccia.
È tutto calmo. E non lo sopporto.
I battiti del cuore rimbombano nelle mie orecchie facendo compagnia alla doccia. Non lo sopporto più.
Se prima, mi rifugiavo negli angoli di tranquillità. Ora vorrei solo sfuggirgli.
Forse ho solo bisogno di qualcosa che mi stravolga la vita. Ho bisogno di cercare la tempesta e non nascondermi nella quiete dopo di essa.
Forse quello che mi manca è solo un po' di caos.
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