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Capitolo 07 - Tra le ombre

1973




Anthony si sedette lasciando cadere il vassoio e spandendo le patatine e per poco non rovesciò la birra addosso a Billy che se ne stava seduto davanti a lui.
Quando lo fulminò con lo sguardo il ragazzo gli sorrise mestamente e le sue orecchie scarlatte lo tradirono all'istante.
Era disagio come se il suo capo potesse leggergli nel pensiero.

Lo sguardo di Billy scandagliò il pasto dell'altro.

Sul vassoio c'erano in ordine sparso:
Un doppio hamburger, doppia porzione di patatine e una birra grande.

«Aspetto il commento caustico sull'alimentazione sana...»
Borbottò Anthony addentando il panino.
Billy inarcò un sopracciglio «Come procede l'allenamento?»

Anthony per un attimo non si soffocò con un gigantesco boccone del suo panino.
«Il... Cosa?» annaspò sputacchiando.

Billy sbuffò e cercando di ripulire le goccioline di mostarda che gli erano finiti addosso riuscendo solo a peggiorare la situazione.

Anthony scoppiò a ridere «Dovresti proprio vedere la tua faccia! Quando ti innervosisci le tue sopracciglia sembrano aver vita propria! Per non parlare della quantità di volte in cui sbatti le palpebre... Se non ti conoscessi penserei che stessi per aver un ictus...»

Billy incrociò le braccia incredulo, il ragazzo stava ridendo così tanto da iniziare aver iniziato a piangere.
Rimase immobile aprendo e chiudendo la bocca incerto su cosa dire.
Poi si protese e gli rubò una manciata di patatine.

«Ladro...» annaspò Anthony stentando a calmare le risate.
«Finito di mangiare fili in palestra ragazzino, o ti trascinerò di peso!»
«Vorrei proprio vederti farlo..." sbuffò Anthony sorseggiando la birra.

Billy sbattè le palpebre sospirando esasperato e Anthony scoppiò di nuovo a ridere.
«Visto? Lo hai fatto di nuovo.... Diavolo sei adorabile quando fai così!»

Billy lo squadrò incredulo mentre l'altro sbiancava.
«Adorabile?»
Forse la presenza di Benjamin lo stava intenerendo o perché voleva davvero bene a quell'impertinente ragazzo ma non voleva veramente approfondire il senso di quella frase, non rischiare di fargli del male suo malgrado.
Si chiese perché quello stupido insistesse a fissarlo con quegli occhi bramosi, forse con un altro avrebbe ceduto. Per divertimento o anche solo per poterlo poi usare, ma non con Anthony.

«Beh io lo adoro...» commentò Anthony sprofondando nel suo piatto.

Billy si protese verso di lui e gli scompigliò i capelli.
«Finisci di mangiare piccolo, abbiamo da fare...»

A quelle parole il ragazzo si rabbuiò e distolse lo sguardo.
Il locale era semivuoto, ormai si avvicinava la chiusura, ma non gli avrebbero mandati via finché Billy non avesse deciso di alzarsi.
La proprietaria, una donna di mezza età dai capelli rossicci aveva un debole per lui, per i suoi occhi penetranti e quel sorriso ammaliante, come tutti del resto.

Ad Anthony non dispiaceva mangiare lì, un posto tranquillo con un arredamento quasi banale, non era però a suo agio con gli sguardi così poco discreti della donna.
Lo chiamava Pretty Boy e stranamente Billy non aveva neanche da ridire, era anche vero che a malapena sembrava ricordarsi della sua esistenza se non se la trovava davanti.
Billy aveva la straordinaria capacità di dimenticare buona parte delle persone che incontrava, come se non meritassero spazio nella sua mente.

Anthony si massaggiò l'addome si sollevò la maglia e osservò i lividi sotto.
La sua pelle era tinta di viola, imprecò scoccando uno sguardo verso il suo capo.
«Dovevi colpirmi così tante volte?»
«Ovvio che sì...Non imparerai mai niente altrimenti!»

Anthony scosse con vigore la testa.
«Non imparerò nulla in ogni caso, e lo sai bene! Non sono come te!»
Esclamò trangugiando una patatina dietro l'altra.

Billy controllò l'orologio e si alzò, passò accanto al ragazzo e gli si appoggiò alle spalle. Lo scrutò serio, era la stessa intensità della prima volta in cui si erano incontrati, quella profondità che Anthony adorava e odiava al tempo stesso.
«So che non sei stato addestrato ma a questo sto ponendo rimedio, non sono duro con te per il gusto di farlo!»
«No! Io intendevo che io non sono perfetto come te, non sono tagliato per la lotta, sono un topo di laboratorio, mi occupo del sistema informatico... Per la perfezione ci sei tu!»

Billy lo osservava in attesa, come se immaginasse altre parole che non arrivarono mai.
Infine si chinò su di lui e gli sussurrò a un orecchio un pacato.
«Puoi fare più di così piccolo e io ti aiuterò!»
Anthony deglutì per la prima volta a disagio per quella vicinanza, come se potesse scorgere nella sua mente il progetto che aveva ricostruito.

Billy era terribilmente vicino ma distante al tempo stesso.
Nel suo sguardo intravedeva la tristezza che vi si era insinuata quando Benjamin aveva lasciato la sua stanza, la Anvil... Il suo letto...

La moglie lo aveva raggiunto a New York e Benjamin da bravo cagnolino era tornato da lei, Anthony aveva sorpreso Billy ad osservare la sua stanza vuota come se sperasse che l'altro ne potesse riemergere.
Avrebbe voluto scuoterlo, colpirlo o trarlo sé per obbligarlo a vederlo finalmente nel modo giusto.
Ma ogni volta che Billy lo chiamava piccolo tra loro appariva una barriera invisibile e infrangibile.


...


Anthony balzò in piedi fremendo felice, ma con un sottile senso di terrore che gli ardeva in petto.
Sapeva bene di essersi messo nei guai, Billy gli aveva detto mille volte di non fare stupidaggini e non immischiarsi con quel giustiziere, quel Punisher.
Finiva costantemente per mettersi nei guai e adesso il suo capo, il suo Billy, lo fissava rigido da oltre le sbarre.
Aveva pagato la cauzione, aveva costruito mille giustificazioni, ancora...
Lo aveva deluso... Peggio, gli aveva disobbedito.

Aveva agito perché bramava così tanto aiutarlo e liberarlo da quel guinzaglio così stretto.
Ma alla fine aveva solo ottenuto di farsi mettere le manette ai polsi, come l'ultimo degli sciocchi.

Rimase in silenzio anche quando il poliziotto lo liberò, camminò al fianco di Billy fino alla sua auto e lungo tutto il tragitto fino alla macchina.
Quella mattina lo aveva lasciato andare temendo che lo avrebbe scoperto e infatti così era stato e nel peggiore dei modi.

Non solo aveva disobbedito, ma aveva anche fallito miseramente.

Billy avanzava spedito, senza guardarlo nemmeno per un momento.

Anthony sentiva il cuore sprofondare, era finita? Si sarebbe sbarazzato di lui? Quella palla al piede che lo bloccava?
Quando raggiunsero l'auto di Billy si sedette mesto nel sedile sul passeggero, rannicchiato su se stesso sentendo le lacrime bruciargli gli occhi.
Non voleva perderlo, che lo mandasse via, aveva veramente paura che stavolta perdesse tutto, sapeva bene di averla fatta grossa.
Punisher e non solo aveva fallito, si era fatto stanare come il più sprovveduto dei pivelli.

La macchina si muoveva a scatti nel traffico.

Billy serrò la mano sul voltante fino a farsi sbiancare le nocche.
«Dannazione, Che devo fare con te me lo sai dire? Sai bene che non è così che lavoriamo!»
Anthony chiuse gli occhi stringendosi le mani con forza. Non temeva la sua furia, malgrado sapesse quanto fosse devastante.
Era la consapevolezza di aver fallito agli occhi di Billy che lo dilaniava.

«Mi... Mi dispiace...» Farfugliò mentre le lacrime scendevano senza controllo.

«Quante volte devo dirtelo di restartene fuori da questa faccenda? Non...»
La mano di Billy si appoggiò alla gamba del ragazzo
«Non parliamone più, andiamo a casa ok?»

Anthony sollevò lo sguardo sul suo capo.

Casa...

Quella parola non aveva avuto alcun significato finché Billy non lo aveva stanato da una cella come quel giorno.
Casa era Billy e nient'altro.

Billy dal canto suo lo scrutò con un mezzo sorriso, i grandi occhi scuri di Billy si erano addolciti, la mano calda poggiata sulla sua gamba era salda, una sicura certezza.

Viaggiarono in silenzio, ma Anthony si sentiva rapidamente sempre più calmo, la mano di Billy non si era mossa che poche volte, come se sentisse la necessità di rassicurarlo che non lo avrebbe abbandonato come un randagio.


Quando arrivarono a destinazione Anthony uscì dall'auto rimanendo immobile in attesa.
Billy impiegò del tempo prima di emergere dal messo e quando lo fece si appoggiò oscillando e finalmente Anthony lo notò.

Billy aveva un ciuffo fuori posto, la cravatta leggermente sganciata, la camicia non perfettamente chiusa e per un momento Anthony si ritrovò con stizza a pensare a Benjamin.
Quell'inglesino faceva di tutto per mettere le mani sul suo capo, per distrarlo, usarlo per poi tornare dalla moglie.

Ma poi la sua attenzione andò a una goccia di sudore scivolò dalla fronte di Billy, girò attorno all'auto e osservò con attenzione il suo capo.
Prima era stato troppo concentrato sulle sue proprie stupidaggini per notarlo ma adesso lo vedeva chiaramente.
Era pallido e sudato e il suo sguardo era quasi assente.

Billy cercò di avanzare incespicando così Anthony gli corse appresso afferrandolo.
Cedette rapidamente abbandonandosi alla stretta del ragazzo.
«Diamine Bill sei rovente!»

Lo prese sottobraccio caricandoselo in spalla e lo portò rapidamente in casa stendendolo subito sul letto della prima camera, purtroppo quella degli ospiti era molto più vicina di quelle stanze di Billy.
Aveva come l'impressione che l'odore dell'inglesino fosse rimasto impregnato nelle pareti.
Anthony avrebbe decisamente preferito proseguire ma Billy gravava quasi con tutto il suo peso sulle sue spalle e non sarebbe riuscito a trascinarlo ancora a lungo.

Quasi gli scivolò dalla presa, ma riuscì a adagiarlo sul letto con delicatezza.

Quando si adoperò a rimuovere i vestiti notò quanto avesse sudato e si sentì tremendamente in colpa. Era uscito per correre in suo soccorso anche se stava male, per aiutare quel piccolo imbranato per l'ennesima volta.

Le mani di Anthony indugiarono sui fianchi dell'altro si ritrovò ad osservarlo a disagio. Se ne stava riverso, abbandonato al suo tocco, ciuffi scuri gli velavano il viso, sembrava così indifeso in quel momento.

Chiuse gli occhi e lo sospinse sotto le coperte ma in quel momento Billy lo afferrò e se lo trascinò addosso.

«Ben io... Resta con me... Ho bisogno che tu... Adesso... Lascia che io...» farfuglio Billy
Anthony cercò invano di allontanarsi ma Billy lo strinse con ancora più forza, muovendosi fremente, in cerca di qualcosa.

«Scopami...» gli sussurrò a un orecchio un rovente Billy.
«Non sono lui Bill...» tentò di dirgli Anthony cercando di districarsi da quella stretta.
Billy si muoveva fremente, disperato, premendosi contro il suo fianco.
Si mosse fino a perdere le forze, prima di abbandonarsi con disperazione alla stretta di Anthony.

Rimase immobile, il corpo di Billy lo avvolgeva bisognoso, era un'insopportabile tentazione, gli carezzò la nuca e lo strinse.
Casa...
Quell'uomo era la sua casa.

Alla fine si addormentò stretto in quell'avvolgente arsura.
Sognò di nuovo quel lungo viaggio in macchina, ma all'arrivo aveva afferrato Billy per il colletto e lo aveva baciato e quando si era risvegliato lo aveva ritrovato ancora stretto a lui.

Aveva constatato sollevato che la febbre fosse passata, provò vergogna per il desiderio che stava scaldando il suo risveglio così a malincuore preferì di andarsene a fare due bassi, per cercare di raffreddarsi a sua volta.

Si sollevò dal letto e osservò quel corpo assopito.
I ricordi di quanto accaduto si mescolava al suo sogno.
Ripensò al suo corpo caldo, eccitato, ai sospiri mossi da quella disperata ricerca di quel maledetto inglesino, avrebbe voluto esser visto in quel modo anche lui, essere la sua casa.


Scese ai piani bassi, dove vi era la zona dedicata alla sede della Anvil e alcuni cadetti già si stavano addestrando.

Anthony scosse la testa andando a prendersi del caffè nella zona relax, Militari, perché si ostinassero ad alzarsi presto anche quando non ce n'era motivo?

Un tipo corpulento vedendolo scendere dagli appartamenti del loro boss ridacchiò e Anthony notò solo in quel momento di avere tracce evidenti sui vestiti che avrebbe preferito non mostrare a giro.
Si accostò rapido al distributore di acqua e co una manica della felpa tentò di ricomporsi.

L'uomo gli si avvicinò ridacchiando «Bella scopata?»
Anthony non poté impedirsi di avvampare esclamando stizzito.
«Ma no! Ma che diavolo! Era solo... Lui... Ha la febbre! Stava male! Non so se... Lui non... Ecco! Insomma, oggi lasciatelo stare!»

L'altro si limitò a ridacchiare.
«Se era bloccato a letto con la febbre avresti dovuto approfittarne! Potevi fargli quello che volevi, magari non lo avrebbe nemmeno ricordato...»

«Sei una testa di cazzo!»
Esplose Anthony versandosi malamente una tazza di caffè caldo.
«Non avvicinarti al Signor Russo oggi, non ha bisogno di attenzioni non richieste!»

L'altro si limitò a una scrollata di spalle come se non lo avesse neanche ascoltato.
«Poteva essere una bella nottata piccolo, sappiamo bene che è quello che vuoi! E a lui non credo importi molto... Di certo meglio te di quell'inglesino da strapazzo!»

Anthony per poco non si strozzò con il caffè e tossicchiando si allontanò dall'altro.
Quindi non era il solo ad avere Benjamin in antipatia.
Continuò ad imprecare finché non notò che Billy lo osservava dalle scale che portavano ai suoi apparentamenti.
Si era messo indosso una tuta e se ne stava in disparte ad osservare i suoi uomini che si allenavano.
Anthony deglutì e gli si avvicinò pregando che non avesse sentito nulla di quel discorso, che il rumore dell'allenamento avesse coperto quelle parole indiscrete.

«Stai meglio?» sussurrò fermandoglisi davanti con sguardo basso.
Sentiva ancora la sua eccitazione premergli contro, la sua voce ansimante supplicarlo e avrebbe voluto sprofondare, perché trattenersi era stato dannatamente difficile.
Non lo aveva mai visto così bello e fragile tanto da fargli temere di non potersi muovere per il timore di mandarlo in mille pezzi. Ma la febbre era passata, portandosi via anche il sogno di Anthony. Davanti a lui c'era il suo capo, impettito e sicuro di sé.

«Tu invece stai da schifo piccolo!»
Quelle parole familiari lo riportarono alla realtà così sorrise imbarazzato.
Era quello per Billy, un marmocchio pestifero, nulla più.
Quella notte era quel maledetto inglesino che aveva desiderato, non lui.
Anche quando Billy si intratteneva con quell'Agente, quella donna dagli occhi da cerbiatto e il sorrisetto ammaliante, Anthony era certo che il suo cuore si trovasse altrove, come con qualsivoglia suo diletto da camera.
Era sempre quel Benjamin nei suoi pensieri.

«Grazie piccolo...»
Billy gli prese la tazza di caffè e la sorseggiò.
Anthony ridacchiò, cercando di non pensare al fatto che quelle labbra tanto bramate si stessero poggiando la dove poco prima aveva posato le sue.
Billy gli rubava spesso il caffè del mattino, il cibo a pranzo, anche la birra. Era il suo modo semplice di farlo sentire parte della sua vita e Anthony per il momento se lo sarebbe dovuto far bastare.
Ma quel grazie stavolta gli sussurrava altro.

Grazie di essermi accanto, anche se nel tuo modo impacciato!

«Ieri sera l'ho raggiunto a teatro, lei non c'era... Sono entrato nel suo palco, gli sono seduto accanto sperando di sorprenderlo invece è stato lui a trascinarmi giù... Lei lo ha fatto chiamare mentre eravamo neanche a metà e come un obbediente cagnolino è corso via...»
Billy sorseggiò il caffè sotto lo sguardo incredulo di Anthony poi gli porse un pacchetto tenuto assieme con poco nastro adesivo.
«Avrei bisogno che tu facessi una commissione per me, è urgente! Io devo uscire con i ragazzi, mi sentirei più tranquillo se non mi seguissi questa volta!»

Anthony lo scrutò triste e Billy gli diede uno scappellotto.
«Ci vediamo dopo ragazzino! Non temere, sono nato per questo...»

Anthony si strinse a pacco
Sarebbe morto prima o poi per quel dannato lavoro, per colpa di quel Punisher...Era ciò che Anthony temeva maggiormente, ancor più del suo rifiuto.



2018




Fu il suono del pianoforte a trascinarlo via dai sogni.
Quando scese al piano di sotto Jules non si soprese di trovare Al intento a suonare.
Aveva l'aria assorta, perso in un mondo solamente suo composto solamente di note.
Quando Jules gli si avvicinò un sorriso sornione si delineò sul suo volto e le note si affievolirono fino a cessare del tutto.

Jules avrebbe voluto chiedergli di non fermarsi, di continuare a lasciar andare le sue vere parole, perché quello erano le note per Al.
Ma non voleva spezzare la magia, ogni volta che lo faceva arrivavano a discutere.

Jules si sforzava, tentava di comprendere la rabbia dell'altro, ma ormai il suo cuore era troppo legato a William, quell'uomo composto solamente d'inchiostro per non ribattere.

«Il primo piano che abbia mai avuto me lo regalò un vecchio amico di mio padre, si chiamava Val... Un giorno mi confessò che fosse un regalo di Benjamin...Lo aveva scelto per me...»
Jules trattenne il fiato, raramente Al faceva riferimento a Benjamin senza che nei suoi occhi apparissero nuvole tempestose.
«Mi dispiacque quando lo trovai a pezzi... Ma mia madre me ne prese subito un altro, ovviamente più bello... Un bell'oggetto che potevo solo osservare, perché il mio futuro era altrove...»

Jules si chiese chi altri potesse aver distrutto il prezioso oggetto se non la madre stessa, una vendetta contro l'ex marito? Perché poi glielo aveva ricomprato?
Per gustarsi il dolore che avrebbe portato al figlio doverlo abbandonare?
Non la conosceva, sapeva solo che era anziana, ma se la immaginava come un vampiro che si era sempre nutrita di ogni nota felice di quel ragazzo che gli sedeva accanto.

Jules aveva sempre pensato che non ci fosse niente di peggiore del non avere una famiglia, ma guardando il profilo di Al si disse che forse avere una madre come la sua era decisamente più orribile.

«Non so se sia stata lei...»
Al aveva ripreso a parlare come se le domande di Jules gli fossero scivolate via dalla mente.
«Aveva bevuto... Sognai persino che fosse entrata nel mio letto... che mi farfugliasse cose assurde... Come sul fatto che fossi ormai abbastanza grande... Potevo prendere il suo posto essere...»
Jules sbattè le palpebre confuso.
Quel sorriso distorto era quasi più disgustoso di un grido.
Non voleva ascoltare altre parole ma Al non sembrava riuscire a fermarsi.

«Non ci pensavo da tanto, ma da quando siamo qua... Non smette di tornarmi in mente... Speravo fosse solo un incubo...»

Quando gli si abbandonò, appoggiandosi alle sue spalle Jules sospirò, aveva trattenuto il respiro fino a quel momento. Esitante lasciò correre la mano sulla schiena dell'altro e lo trasse a se.
Quel luogo era intriso in profondità di quel dolore.
Era là che Benjamin aveva tentato di rimettere assieme i pezzi della sua esistenza, che Al aveva atteso il ritorno di un padre smarrito. Entrambi ingabbiati nella medesima prigione dorata.
Ora comprendeva cosa lo disturbava tanto di quella bellissima casa, le pareti avevano osservato e celato tra le sue mura orribili segreti lasciando trapelare solo una fittizia bugia.


1980




Si appoggiò alla parete del piccolo palco, il teatro era avvolto nella penombra.
L'attore per un secondo volse lo sguardo nella sua direzione per poi proseguire la sua esibizione.

Julia si sporgeva avvinta ma Benjamin non riusciva ad interessarsi allo spettacolo. Voleva solo uscire da quelle quattro mura, rivedere la sua città anche solo per una sera.
Era riuscito a convincerla ad andare Londra dopo così tanto, gli era costato ogni energia e adesso se ne poteva stare solo sfibrato chiuso nella sua mente, mentre i ricordi dell'altro Benjamin gli scorrevano davanti confondendosi con il presente.

L'altro Benjamin aveva fatto sesso con Billy in un palco non troppo dissimile.
Gli era persino apparso come uno spettro dalle ombre riaccendendo fiamme mai del tutto assopite.
Se avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto intravedere ancora il suo spettro tra le ombre.
Lo rivedeva appoggiato alla parete, gli abiti scomposti, il petto che si sollevava rapidamente.
Gli aveva concesso ogni cosa, poi qualcuno aveva bussato recando il messaggio di Julia e l'altro Benjamin se ne era andato.
La sua mente, l'attuale Benjamin invece rimaneva a osservare Billy, i capelli scomposti.

L'attore sul palco intonò una lunghissima nota, ma Benjamin non lo stava ascoltando da tempo. Era come se Billy fosse di nuovo davanti a lui, lo poteva quasi vedere, seduto a terra ad occhi chiusi, come a cercare di ritrovare la sua abituale e apparentemente imperturbabile compostezza.
Sorrise ricordando come era riuscito a turbarlo con pochi tocchi, si era arrischiato a baciarlo nella penombra, avrebbero potuto vederli, era stato davvero stupido ma non lo vedeva da davvero troppo.
Era tornata Julia e non era riuscito a toccarlo in quel modo.

Billy si era lasciato trascinare a terra, abbandonandosi completamente alle sue mani, alle sue labbra. Benjamin si era sentito così invincibile, perché era completamente e totalmente suo.
Aveva visto l'uomo potente e sicuro di sé sbriciolarsi, scomparire. Tutte le sue maschere erano scivolate via e al suo posto era rimasto solo Billy.
E per Benjamin era bello sapere che quel volto lo avesse visto solamente lui, che era riuscito a catturare quella preziosa fragilità.

Aveva chiuso gli occhi appoggiandosi al suo petto ansante.
Il battito, solitamente ritmato e regolare si era fatto forsennato e irrequieto.

«Stai bene?»

La domanda adesso gli era sembrata così stupida, ingenua.
Non si era nemmeno sprecato a indagare su cosa fosse successo nella sua vita in quel periodo di assenza e adesso gli chiedeva se stesse bene? Seminudo sdraiato a terra in un palco di teatro.

Billy si era limitato ad annuire.
Gli aveva preso il volto ma prima di baciarlo nella penombra aveva intravisto la sua espressione contratta, un pensiero incastrato nella sua mente lo stava ferendo, eppure aveva scelto di non dargli voce.
«William... Guardami...»

Quando finalmente i grandi occhi scuri di Billy si erano dischiusi vi aveva quasi intravisto il dubbio.

Che stiamo facendo? Perché ti stai impantanando con me... Cosa siamo noi?

Il sorriso vuoto tentò invano di nasconderle.
«Sto più che bene! Per una volta dopo tanto io sto davvero bene con te Ben... Sei la mia stella personale in questo sprazzo di tenebra...»

Le parole di Billy si affievolirono mescolandosi alla voce di Julia.
Lo stava scuotendo con energia, si era appisolato appoggiato alla parete e il ricordo di quella sera si era addensato nella sua mente tanto da assumere una nuova consistenza.

Impiegò un momento a distinguere il ricordo dalla realtà.
Le sorrise, la rassicurò ma Julia era quasi uno spettro, la sua mente stentava ad abbandonare il pensiero di Billy.

Non comprendeva come poteva essersene andato dopo quella frase, lo aveva spaventato così tanto vederlo con il cuore in mano?
Quindi aveva scelto di voltargli le spalle?

Julia insisté per fermarsi in albergo, a detta sua doveva riposare.
Benjamin era certo di averlo fatto fin troppo, di aver messo la sua vita in stasi dall'incidente in avanti.
Bramava solo premere PLAY, riavviare la sua vita... Ritrovare Billy!

Ma alla fine si era lasciato guidare come un bimbo nella camera, spogliare, lavare nella vasca da quella moglie madre che lo manipolava come una bambola.
Lei tirava i fili e lui le sorrideva, la realtà era una recita e solo quando chiudeva gli occhi poteva raggiungere finalmente l'altro Benjamin, quell'estraneo che indossava la sua pelle.


1973


Lo squillo del telefono della camera lo scosse.
Lo aveva afferrato rapido scivolando via dalle braccia di Julia e con il cuore in gola l'aveva scrutata, per fortuna dormiva ancora.

Il portiere gli aveva comunicato che era stato recapitato un pacchetto per lui.
Glielo portarono subito e si era rintanato sorridendo come un bimbo nel bagno.
All'interno del dono aveva trovato il solito libro.
Lo aveva sfogliato con placida calma, rimirando le scritte che costellavano le pagine, gli appunti di Billy. Ne carezzò le parole, quella scrittura minuta e tagliente, adorava la sua calligrafia.
.
Lo chiuse e ne lesse il titolo, Il principe felice e altri racconti di Oscar Wilde.
Allegata, come sempre, c'era una lettera.

Mio Ben, ti prego non partire!
Inventa una scusa qualsiasi, se servirà comprerò tutti i posti, tutti i voli che ti potrebbero portar di nuovo via.
Non lasciarmi più da solo nelle tenebre...

Sappi che odio quella donna sin dal primo sguardo! Perché LEI può tenerti accanto alla luce del sole senza esitare e io devo ricercarti tra le ombre...
Resta accanto a me!
Ascolta la mia voce la sera al buio, libero di essere in me!
Tuo William

Benjamin si portò il libro al petto e immaginò di percepire le lunghe dita di Billy sfogliare quel libro.
Detestava quella distanza, ma quando era arrivata Julia a New York lei aveva insistito affinché si trasferissero in albergo.

Julia aveva ringraziato Billy della disponibilità stringendogli la mano.
Lui l'aveva deliziata di uno dei suoi magnetici sorrisi e Benjamin fu certo di aver visto la rabbia del predatore accendersi nei suoi occhi.
Quando poi aveva posato i suoi grandi occhi scuri su di lui vi aveva intravisto una silenziosa supplica.
In quei due pozzi oscuri così simili ai suoi aveva ritrovato la medesima supplica che aveva rivisto nei propri quando suo fratello gli aveva voltato le spalle, lasciandolo solo, le stesse parole.

Ti prego non lasciarmi da solo, non andare.

Dopo aver accompagnato Julia al taxi, l'aveva fatta entrare ed era tornato di corsa da lui e non si era fermato fino a quella porta. Aveva fatto irruzione nel suo ufficio, trovandolo in piedi, come sempre a osservare l'ambiente sottostante.
Quando si era voltato sul suo volto aveva rivisto il suo stesso panico.
Avrebbe voluto giurargli che sarebbe rimasto per sempre, che non se ne sarebbe mai andato davvero ma non poteva.

Erano rimasti stesi sul divano e Billy aveva delineato il tatuaggio sul braccio dell'altro. Billy era la prima persona a cui Benjamin aveva parlato del carcere minorile, di come solo Julia avesse scelto di credere il lui nonostante le bugie e i sotterfugi.

«Per questo l'hai sposata?» gli aveva chiesto.
Non aveva riflettuto molto prima di rispondere.
«Ha pagato i miei studi, mi ha trovato lavoro, mi ha accolto nella sua famiglia senza ascoltare nessuno... Nonostante avessi cambiato nome per nasconderle che mi ero addossato le colpe di mio fratello. Lei mi ha creduto, ha sempre saputo che non avevo commesso quel reato. Sposarla mi sembrava la sola cosa che potessi fare per cercare di...»

«Ripagarla della sua generosità? Glielo dovevi? Il tuo corpo era il pagamento per la tua felicità?»

Non aveva risposto, in fondo non erano vere domande perché Billy conosceva bene tutte le risposte.

Erano rimasti in silenzio e Benjamin aveva delineato le cicatrici sul suo corpo.
Non aveva avuto bisogno di chiedere, un orfano ne riconosceva sempre un altro.
Comprendeva la continua e disperata ricerca di una famiglia, uno scopo, un senso di appartenenza.

Non serviva gli dicesse cosa potesse aver sacrificato per costruirsi una posizione, sgomitando per affermare il suo diritto di esistere.
La prima volta che Billy gli aveva parlato delle violenze subite nella casa-famiglia Benjamin si era sentito male come se le avesse vissute in prima persona, desiderando poter tornare indietro per strapparlo alle grinfie di quell'essere che lo aveva inciso nel profondo.
Ancor peggio era stato quando Billy aveva cercato di scherzarci mentre gli raccontava di come il suo tutore gli aveva spezzato il braccio e gli aveva strappato via ogni cosa...
Sogni, fiducia negli altri fino alla sua innocenza, usandolo come un pupazzo.
«Dai cos'è quella faccia...»
Gli aveva detto ridacchiando.
«Non farlo!» gli aveva risposto furioso «Non è un gioco...»
E finalmente aveva inciso la sua ferita, lasciando che tutto fuoriuscisse fuori.
Gli aveva parlato

Il solo modo che Benjamin aveva trovato per confortarlo era stato parlandogli del carcere minorile, di come si fosse dovuto fare quel tatuaggio per coprire i segni che gli avevano lasciato. Di come nella notte lo obbligassero a sottomettersi per sopravvivere concedendo parti di se che non gli sarebbero più appartenute.

Le improvvise lacrime di Bill lo avevano sorpreso, come le parole che ne erano sgorgate.

«Scusa!»
Benjamin lo aveva osservato incerto su cosa dire.
«Se io... Se in quel bagno io... Scusa se ti ho usato... Sono un mostro proprio come loro... sono...»

Benjamin lo aveva baciato rinnegando quelle parole e per la prima volta gli aveva detto di amarlo. Ci aveva creduto come mai in vita sua.


Benjamin sfogliò il libro aggrappandosi ai ricordi di quei momenti.

Il suo libro era pressoché finito e niente lo avrebbe trattenuto ancora a lungo oltre oceano. Julia gli aveva già chiesto di tornare a casa...

Casa...

Peccato che se avesse chiuso gli occhi non avrebbe rivisto la grande villa della moglie, solo Billy.
Solamente i suoi occhi scuri e la sua espressione ferita.

Si vestì al buio e sgattaiolò via dalla stanza, voleva vederlo subito.

Arrivò davanti all'edificio della Anvil, la compagnia di Billy rapidamente, persino la città si era dischiusa davanti al suo taxi per spingerlo tra le braccia dell'amato.

Sull'edificio aleggiava un surreale silenzioso, troppa quiete rispetto all'abituale via vai. Vi erano così tanti lati oscuri che Billy gli celava, aspetti molto importanti della sua esistenza.
Rimase ad osservare l'ingresso chiedendosi come potesse saper tanto poco di qualcuno eppure sentirvisi tanto connesso.

Julia era un libro aperto mentre Billy era un mistero ricoperto di maschere.
Non c'era niente che Billy gli dicesse senza soppesare ogni parola, costantemente diffidente e distante.
Eppure Benjamin sentiva che non gli avesse mai mentito.
Forse non gli avrebbe mai davvero detto tutta la verità o condiviso ogni parte del suo spirito.
Come cosa avesse fatto nell'esercito, come avesse creato la sua compagnia e perché il suo ex capo, quell'uomo dell'esercito dall'occhio cieco lo tenesse al guinzaglio come un cagnolino, erano i suoi misteri.

Benjamin aveva scelto di togliere ogni collegamento a Billy nel suo libro.
Aveva compreso che vi erano loschi traffici dietro la sua compagnia sin dall'inizio ma mai avrebbe compromesso Bill consapevolmente.

Cosa voleva da lui? Da loro? Non ne era certo, così se ne restava a fissare l'edificio assopito incapace di tornare indietro o andare avanti.


«Benjamin...»

Billy era in piedi alle sue spalle. In dosso aveva una mimetica nera e si stringeva un fianco con il respiro spezzato. La sua espressione un misto di sorpresa e dolore ma in una istante si ricompose afferrando Benjamin per un braccio e trascinandolo verso la sua stanza.

Tentò di spogliarlo ma un gemito di dolore lo tradì così Benjamin lo sospinse giù imponendogli di lasciarlo fare.
Si ritrovò a osservare un immenso livido fresco che si allargava sul suo fianco.

«Dannato giubbotto! E dire che è il migliore sulla piazza... Il colpo mi ha fatto un male da inferno...»

Benjamin comprese che non stesse parlando solo di quella macchia violacea.
Si sdraiarono intrecciandosi tra loro, Benjamin attese finché Billy non si decide a liberare il dolore ancora una volta.

«Frank era... Forse il primo e unico migliore amico che abbia mai avuto...»
La sua spalla destra scattò.
«Venne con me un giorno, perché gli avevo chiesto di accompagnarmi alla casa-famiglia... non avevo mai confessato a nessuno della mia spalla, di Arthur... In fondo l'esercito era la prima famiglia che avessi mai avuto e lui era... In fondo se ti abbandonano in una stazione forse è inevitabile... Che un adulto ti ripeta così tante volte di aver un viso carino da non aver più alcun significato. E quando cerchi di difendere ciò che senti ancora tuo ti spezzi la spalla per prendersi ciò che sente spettargli...»

Era un fiume in piena, parlava con sguardo vitreo con sguardo perso, era una sentenza, non aveva speranza.
«Ho fatto le mie scelte, ho ottenuto la mia squadra, la mia compagnia... Se non risolverò la questione Punisher tutto questo, ogni cosa che abbia mai avuto, che ho costruito, ottenuto...»

La mano di Billy gli scivolò fremente lungo la schiena.
«Non mi resterà più nulla...»
Benjamin rimase immobile, le loro gambe intrecciate, poteva vederlo ancora una volta, il suo cuore sanguinante, esposto...

«Puoi restare con me questa notte?» gli sussurrò Billy.
Benjamin annuì sollevandosi per un bacio ad occhi chiusi, sperando che quella notte e quel momento solamente loro potesse non finire mai.

Billy lo osservò serio.
«Resteresti come me anche se ti dicessi di essere una persona orribile?»

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