Capitolo 06 - Galeotto fu...
2018
«Non lo sopporto più!»
Kate rise dall'altro capo del telefono riuscendo solo ad irritare ancora di più Jules.
«Stai scoprendo il vero Al, Quindi forse non è solo un tenero cucciolo dai grandi occhi scuri? Sorprendente!»
«No, decisamente non lo è! Lui è puntiglioso, saccente... un insopportabile so tutto io!» esclamò Jules senza alcun freno.
«cosa pensi che direbbe se ti sentisse? È sempre il tuo capo!»
Jules si premette la mano libera sulla bocca nel panico guardandosi attorno, nessuno.
La grande magione di Aleksander lo scrutava in lontananza guardinga e il ragazzo sperò che le grandi inquietanti ville non avessero le orecchie.
La distanza rendeva abbastanza difficile che Aleksander potesse davvero sentirlo eppure il timore di Jules non si attenuò portandolo a sussurrare come se si fosse trovato in chiesa, in quel buco di paese lo conoscevano tutti.
Quando Al era andato a prenderlo alla stazione Jules aveva notato che i sguardi indiscreti come le loro voci borbottanti.
Guardate, è proprio il ritratto si suo padre... che imbarazzo...
Chissà che non abbia le stesse... preferenze...
Julian aveva un po' ammirato la capacità di Aleksander di restare impassibile, quasi non sentisse quelle voci neanche troppo basse.
Aveva modo di constatare il suo vero temperamento una volta giunti alla sua casa.
Prima lo aveva punito per il ritardo chiudendosi in un mutismo insostenibile, ma era stato peggio quando aveva aperto bocca.
Lo aveva ripreso più volte perché non appoggiasse la borsa sul tappeto, gli aveva imposto di togliersi le scarpe, di bere del tè, di ordinare i vestiti nell'armadio... Un insopportabile despota.
Aveva persino avuto da ridire su come riporre l'acqua nel frigo.
Per non parlare di quando Jules aveva iniziato a spargere i suoi appunti sul tavolo.
Jules imitò la voce di Aleksander.
«Questo caos è insopportabile, ma come fai a trovare qualcosa in questo disastro? E tu saresti un giornalista? Ah no è vero... un semplice stagista, ovvio!»
Kate rise di nuovo.
«Quanto vorrei essere con voi! Tu un disordinato caos di parole e lui, un meticoloso maniaco del controllo, anime gemelle! Ti svelo in segreto, Aleksander è sempre stato questo, sei tu che non vedevi niente! Lo filtravi attraverso i tuoi ormoni impazziti!»
Jules imprecò contro l'amica.
Non glielo avrebbe mai detto ma iniziava a capire quanto avesse ragione.
Non aveva mai davvero affrontato una discussione con Aleksander prima di allora.
Iniziava a conoscerlo stavolta, non si limitava ad osservarlo.
Era sconfortante scoprire quanto fosse spinoso.
Quella mattina lo aveva trovato in piedi all'alba a leggere, prima che Jules potesse dire anche un solo buon giorno lo aveva squadrato con sguardo carico di disappunto.
A quanto pareva non alzarsi al sorgere del sole per Al era alquanto disdicevole.
Neanche il tempo di prendere una tazza di caffè che era partito alla carica.
Aveva contestato ogni sua annotazione, ogni riga, concludendo con un duro.
Forse mi sono sbagliato, non sei in grado di aiutarmi!
Per questo Jules aveva sentito la necessità di allontanarsi, non senza averlo mentalmente mandato a quel paese.
«Immagino che sia difficile per lui questo periodo...»
La voce di Kate lo riscosse.
«Suo padre è morto lontano da lui, poco dopo uno sconosciuto lo ha derubato dei suoi ricordi... Infine viene drogato e costretto a chiedere allo stesso ladro aiuto! Io sarei molto più nervosa sai? E non sono una fissata con in controllo come lui... Perderlo sul proprio corpo, non essere padroni delle proprie reazioni... Chissà cosa poteva succedere se non fosse venuto da te, se lo avesse trovato la persona che lo ha intossicato. Forse voleva metterlo in una situazione compromettente, usarlo come un giocatolo...» Jules avvertì il disgusto risalirgli in gola.
«E ha anche detto che gli era già successo, deve essere orribile... Non capisco come possa essere così tranquillo... Essere visto come un oggetto... Una bella bambola... che persone orribili lo circondano?»
Jules aveva ascoltato l'amica incapace di interromperla.
Ripensò a quando lo aveva visto sulla soglia, tramante, con le spalle basse mentre si stringeva cercando di nascondersi da ogni sguardo indiscreto.
«Pensa per cosa sei lì e smettila si farti distrarre da Mr. occhioni ok?»
Concluse l'amica prima di salutarlo.
Quando Jules riattaccò si accorse di essere in maglietta sotto una finissima pioggia gelida. Era uscito senza pensare a coprirsi, troppo arrabbiato per accorgersi di essere in pantofole e tenuta da casa.
Si girò e tornò sui suoi passi.
Si stava focalizzando sui pensieri sbagliati.
Camminò per un po' e poi lo vide.
Al camminava con passo indugiante, senza ombrello, con gli abiti da casa.
I capelli attaccati alla fronte e lo sguardo smarrito.
Gli era corso dietro senza pensare?
D'istinto Jules accelerò per andargli incontro e non si fermò finché non lo ebbe raggiunto. Malgrado fosse senza fiato cercò di spiegarsi.
«Volevo solo prendere una boccata d'aria! Alla fine mi sono fatto una doccia inattesa...»
Voleva scherzare per strappargli quell'espressione costernata.
Al non disse nulla all'inizio, se ne stava immobile con la pioggia che lo inzuppava sempre di più, a capo chino.
«Credevo fossi andato via...»
Sussurrò infine.
Jules gli passò accanto e gli diede una pacca alle ampie spalle, si sorprese della semplicità con cui aveva compiuto quel gesto.
«Andiamo, abbiamo un lavoro da fare...»
Era a disagio, voleva rassicurarlo ma non era certo di cosa volesse sentirsi dire.
Camminarono in silenzio fino al viale della grande villa.
Jules notò che lo sguardo di Aleksander aveva indugiato sulla vecchia serra dismessa.
«Era là che mio padre nascondeva le tracce della sua relazione con quel... Russo... Ho cercato ovunque, e alla fine ho trovato la vecchia scatola... Credevo che potessero esserci delle risposte invece era vuota da anni, non pensavo che potesse farmi tanto male... Mi sono sentito stupido per aver sperato... Mi sono infuriato e me la sono rifatta con te... Ero di pessimo umore stamani per questo ti ho trattato in quel modo... Mi dispiace, non volevo farti andare via...»
Era così vicino che Jules era certo di avvertire il profumo dei suoi capelli unirsi alla pioggia, il suo braccio premuto contro il suo, il cuore accelerò per poi placarsi.
«Non fa niente... E poi avevi ragione, l'ozio è il padre dei vizi, non dovrei dormire tanto se voglio sperare di portare avanti la nostra ricerca no?»
Ad Al scappò un sorriso subito seguito da un sonoro starnuto.
«Prima di tutto dovremmo fare una doccia»
Concluse Jules sospingendolo infine verso il portone di casa.
«Separatamente si intende...»
Non comprese nemmeno perché si era sentito obbligato a puntualizzarlo, in fondo chi avrebbe mai potuto pensare che suggerisse di farla assieme.
«Mi spiace ma il bagno egli ospiti è rotto...»
Borbottò Aleksander passandosi le mani tra i capelli bagnati.
Prima che Jules potesse aprire bocca Al gli prese la mano «Vieni...»
Incredulo si lasciò trascinare al piano di sopra fino alla porta semichiusa.
Non si accorse che Al si fosse fermato così avanzò fino quasi a travolgerlo.
Senza riflettere si ritrovò ad abbracciarlo scoprendo che stesse tremando.
«Ho freddo...»
Le mani di Jules si aggrapparono alla schiena dell'altro. Era affascinato da quella duplice natura. Impettito, arrogante eppure al tempo stesso anche fragile, come se potesse andare in mille frantumi se lo avesse stretto troppo.
Jules fu certo di essere mosso da un burattinaio invisibile, quasi non riconosceva le proprie mani mentre scostava la giacca di Aleksander e la lasciava cadere a terra, rimuoveva metodico ogni ostacolo trattenendo il respiro.
Nessuna reazione, era come se entrambi fossero semplici marionette mosse da invisibili fili. La doccia era piccola e stretta, l'acqua calda li avvolgeva come un bozzolo, assorbendo ogni rumore insinuandosi tra loro mescolando i sapori.
1973
Girò la pagina della guida con fare spazientito, gesto stizzito e affrettato che lo portò a tagliarsi con la pagina.
Imprecando e maledicendo la sua goffaggine Benjamin si portò il dito alle labbra.
Billy lo osservava senza cercar minimamente di camuffare la sua espressione annoiata.
Quando gli aveva fatto recapitare l'invito a visitare assieme il Metropolitan Museum era stato quasi certo che si sarebbe rifiutato, era stato piacevolmente sorpreso di trovarlo pronto quella mattina, anche se con l'espressione più scocciata che gli avesse mai visto indosso.
In quel periodo di convivenza forzata, ogni volta che parlava al telefono con Julia non la smetteva un secondo di lamentarsi di quanto quell'americano rileccato fosse cafone e dannatamente difficile da tollerare.
Si guardava bene dall'ammettere con la moglie quando si sentisse al tempo stesso affascinato da quella strana creatura.
Aveva iniziato a vedere oltre l'apparenza di capi firmati e i capelli incerati.
Quella era la sua bella e fittizia facciata che nascondevano un ex militare impettito... Ma era solo un secondo strato di un essere dalle moltissime facce.
Maschere che celavano molte altre menzogne.
Come poteva quell'uomo ignorante avere una così ampia libreria ricolma di libri.
Libri vissuti, sfogliati, annotati e palesemente amati.
Un uomo che conservava dischi di musica classica, saggi, cataloghi d'arte.
Benjamin inizialmente aveva pensato che fossero solo d'apparenza, ma quando una notte insonne si era ritrovato a sfogliarne distrattamente uno, un logoro volume grigio, una vecchissima edizione de Il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, al suo interno si era sorpreso di trovarci numerose note scritte a matita nell'inequivocabile calligrafia di Billy.
Minuta, spezzata e tagliente, una perfetta rappresentazione grafica della sua personalità.
Quasi illeggibile e dura... come se cercasse di ferire gli occhi incauti di chi la leggeva.
Un'altra delle tante sere insonni aveva intravisto Billy dalla porta semiaperta del suo ufficio, rannicchiato in tuta sul divano, immerso nella lettura di un volume molto grosso, che il giorno seguente aveva scoperto essere Il signore degli anelli.
Odiava dannatamente tanto ammetterlo ma quel multifacce lo affascinava inesorabilmente un po' di più e adorava quegli scorci rubati della sua vera essenza.
Successivamente era tornato a sfogliare avido di informazioni quella logora copia de il Ritratto di Dorian Gray. Pareva che avesse vissuto indicibili avventure, su una pagina aveva persino trovato tracce di sangue, con appuntate un giorno e un'ora. Avrebbe dato qualsiasi cosa per svelarne gli arcani ma si era ben guardato dal chiedere spiegazioni.
Aveva come l'impressione che fosse oltre quel confine che il Signor Russo aveva delineato tra loro.
Una linea netta che intravedeva sempre di più ad ogni incontro.
I suoi racconti dell'esercito, delle sue missioni e di come si fosse congedato erano quanto di più vago Benjamin avesse mai udito.
Ogni volta che provava a scendere nei dettagli l'altro si arroccava dietro a un glaciale deciso «È riservato!»
La voce di Billy, malgrado fosse sempre mellifluamente cortese manteneva le distanze, negando a Benjamin la soddisfazione di mostrare anche solo un minimo coinvolgimento. Non c'erano emozioni, al più estrema noia.
Dialoghi vuoti, distaccati e fastidiosamente tecnici, non scendeva mai sul personale.
Dopo la sua esclamazione dove definiva la sua milizia privata una famiglia da custodire non si era sbottonato nei suoi discorsi, il che stava rendendo la raccolta dei dati per Benjamin estremamente tediosa e didascalica.
Quell'uscita poteva essere un'occasione per conoscere meglio quella strana creatura.
Quella che Benjamin studiava con attenzione ogni giorno con la minuzia di un documentarista nella savana.
Lo scrutava muoversi tra le fila dei suoi uomini a qualcuno più ardito gli concedeva di chiamarlo Billy, soprannome che a Benjamin non era concesso usare, per lui era Mr Russo.
Aveva anche individuato quale fosse il suo alleato maggiore, un ragazzotto più piccolo di lui di una decina di anni, forse il suo amante?
Di certo quel ragazzo lo desiderava con lo stesso ardore con cui lo venerava.
Ma forse Billy non si era accorto del tutto dell'effetto che sortiva nel suo giovane assistente.
Benjamin era abbastanza certo che Anthony lo detestasse, doveva vederlo come un contendente, avrebbe voluto urlargli contro che non fosse minimamente interessato, ma non voleva spezzare l'incantesimo creato tra i due.
Quello in cui Anthony gli sbavava dietro e l'altro fingeva di non comprendere.
Si osservò il suo dito sanguinante, non voleva smettere. Prese un fazzoletto di tasca e cercò di fasciarlo.
In quel momento Billy iniziò a muoversi nervosamente come un animale gabbia.
La sua spalla scattò in alto, prima che la afferrasse per massaggiarsela.
Benjamin aveva visto che gli capitava spesso, forse una vecchia ferita di guerra?
Poteva essersela procurata prima di congedarsi e aprire la propria compagnia di sicurezza privata.
Scrutò il suo fazzoletto intriso di sangue infastidito.
Quel viaggio si stava dimostrando un assoluto disastro, si era aspettato qualcosa di ben diverso. Voleva scrivere qualcosa di unico, rivoluzionario.
Fare colpo e trovare spazio come giornalista e soprattutto rendersi indipendente da Julia. Non voleva dipendere da lei in eterno.
La storia che sperava di raccogliere era ben diversa da quella che stava scrivendo.
Iniziava a temere di essersi illuso con quel viaggio e di aver richiesto alla moglie un inutile viaggio.
Nonostante avesse dei sospetti sul suo anfitrione che i fondi per costruire il suo piccolo impero fossero arrivati con modi non del tutto leciti, non aveva niente in mano. Con Billy Russo niente era mai chiaro, il Signor Russo era fin troppo bravo a celare la verità in bella vista.
Per quanto affermasse che quel posto fosse la propria casa, Benjamin non lo vedeva affatto soddisfatto.
Tutto in lui gli rimandava insoddisfazione, dagli eleganti vestiti che indossava, ai suoi rapporti di lavoro, i soli che si concedeva, come se dovesse costantemente dimostrare a se stesso di meritare il suo spazio nel mondo.
Billy in quel momento si appoggiò alla parete e sbuffò, Benjamin strinse il fazzoletto. Forse quei libri erano una facciata, non poteva di certo avere la sensibilità necessaria per apprezzare opere come quelle composte da artisti come Oscar Wilde.
Si ritrovarono a passeggiare per i saloni a debita distanza l'uno dall'altro in silenzio.
Quando Benjamin si ritrovò a fissare un cartello di alcuni pezzi provenienti da Londra non riuscì a impedirsi di pensare a Julia, malgrado tutto con lei al loro primo incontro avevano parlato moltissimo, condiviso pensieri, le mancava.
Quando Billy sbuffò per l'ennesima volta esplose.
Era stanco di essere trattato con sufficienza da quell'uomo.
«Se sapevi già che ti saresti annoiato tanto restare in mia compagnia, avresti potuto rifiutare! Non eravate tenuti a venire, di certo avrei preferito risparmiarmi uno sbuffante sottofondo! Non so nemmeno perché mi prendo la briga di ascoltare tutte le fandonie che mi propini ogni giorno... Sei solo un ammasso di niente!»
Quando si zittì non solo si rese conto di aver alzato gradualmente il tono della voce ma anche di sentirsi molto meglio dopo aver finalmente dato voce ai propri pensieri.
Billy si bloccò nel corridoio, il suo sguardo era quasi vitreo.
«Non hai davvero niente oltre alla tua facciata! La compagnia non è veramente sotto il tuo controllo, sei soltanto un burattino. Tutto in te è fittizio, fasullo... Ho sbagliato a chiederti di venire qua con me, non hai un cervello pensante per poter apprezzare questo posto sei solo un ammasso di maschere e sorrisi vuoti... Sei...»
Il pugno che Billy sferrò contro la parete lo fece sobbalzare, per un attimo Benjamin temette che lo avrebbe aggredito, ma poi l'altro si riscosse, si portò la mano arrossata da sangue e senza dire nulla si aprì la porta del bagno e ci entrò di slancio chiudendosela alle spalle.
Benjamin osservò il vuoto per un attimo e si rese conto che non voleva lasciare cadere la sua rabbia nel nulla, così lo seguì.
Lo trovò immobile in mezzo alla stanza.
«Siete davvero un maestro nell'evitare il confronto, agivate così anche in guerra? Vi destreggiavate tra un sotterfugio e l'altro? Potete coprirvi di capi firmati quanto volete, vi staranno sempre stretti facendovi sentirete inadeguato perché...»
Billy si mosse così rapidamente che Benjamin non ebbe il tempo di reagire né di finire la sua invettiva.
L'altro lo spinse con tanta di quella forza da mandarlo a sbattere contro la parete del piccolo bagno.
Benjamin inciampò e temette di crollare a terra ma la presa dell'altro lo tenne saldamente in piedi.
La mano di Billy si strinse attorno al suo collo mentre il suo sorriso velenoso affiorava, era dunque quello il suo vero volto? Quello che teneva sotto ogni maschera, la rabbia.
«La violenza finalmente affiora...» sibilò alle labbra dell'altro, erano sempre più vicine, il suo respiro caldo gli solleticava la pelle. «Rimossi tutti gli orpelli, resta un ometto insignificante, che non sa niente di poesia e bellezza! Un soldato come tanti e che come tale è capace solo di distruggere e ferire...»
«Non come la tua... generosa padrona... Mio cacciatore di tesori...»
Le narici di Billy si dilatarono e Benjamin tentò di sfuggire invano a quella stretta.
Aveva osato troppo? Quella mano lo stringeva sempre di più.
Billy sorrise divertito, mentre i suoi occhi parevano spenti e vuoti, due oscuri pozzi profondi. Era ormai troppo vicino a un sospiro dal bacio, non aveva via di fuga, il profumo della cera dei suoi capelli, il pungente odore del dopobarba gli ricordava un misto di muschio e resina. Un bosco innevato scosso dal vento e Benjamin si soprese a tremare non per paura ma perché voleva prolungare quel contatto.
Lo sentiva come una presenza opprimente mentre il suo fresco alito aromatizzato alla menta gli solleticava la pelle.
«Tu non sai niente di me...» gli sussurrò a fior di labbra prima di discostarsi con placida calma.
«Ne tu di me...» rispose Benjamin ritrovando coraggio. «Io non mi sono prostituito per avere quello che voglio... Tu invece per costruire la tua grande compagnia dal nulla a chi ti sei piegato? Cosa hai svenduto per poterti sentire potente...»
Ogni pensiero di Benjamin svanì lasciando il posto allo sconcerto quando sentì la mano dell'altro farsi strada nei suoi pantaloni.
«Vuoi verificare di persona? E tu... quanto vale l'investimento della tua cara Julia? Sentiamo se vale davvero la pena...»
Benjamin gemette mordendosi un labbro furioso percependo la sua umana debolezza cedere sotto quel tocco.
Avrebbe voluto ribattere e ribellarsi ma Billy era decisamente più forte di lui e forse non era completamente deciso a sottrarsi.
Aprì la bocca ansimando un debole NO, strappando una risata a Billy.
Odiava la consapevolezza di non volerlo fare.
«Non mi sembra che il tuo corpo disdegni le mie attenzioni di questo spregevole essere...Piccolo cacciatore di tesori, mio ragazzo d'oro, era questo che volevi da me Ben?» gli sussurrò canzonatorio.
Benjamin percepì il calore avvampare e esplodere stretto da quella mano rapace e solo a quel punto lo spinse lontano da sé.
Billy osservò pensieroso la propria mano, più incuriosito che divertito si posò le dita sulle labbra osservandolo con i suoi grandi occhi scuri come in attesa di una risposta.
Benjamin cercò di ricomporsi, ma stava tremando davvero troppo, neanche comprendeva cosa gli fosse successo.
Non aveva neanche provato ad opporsi e forse lo aveva persino voluto, provocandolo, cercando in ogni modo di accendere una reazione in quello sguardo vuoto, che poteva dire?
Non ci riusciva, così semplicemente si allontanò fino ad uscire.
Nonostante le sue gambe tremassero di passo in passo ancora voleva tornare indietro e assaporare di più, strappar via ogni barriera che li separava e mostrargli ciò che più voleva... LUI!
Ma non smise di fuggire!
Il viaggio fino alla Anvil parve interminabile, ma non si soprese di trovare gli apparentamenti privati di Billy vuoti e silenziosi.
Scivolò nella sua stanza dove rimase seduto, bloccato ad osservare la sua valigia.
Si riscosse solo quando udì passi incerti, avvicinarsi e poi allontanarsi.
Poteva essere forse Billy? Ma la porta non si mosse e la delusione gli bruciò in petto. Non si comprendeva più, voleva davvero che lui entrasse con irruenza per riprendere da dove si erano interrotti in quel bagno?
Tornò a fissare la valigia, la cosa migliore era andar via, prendere il primo aereo e raggiugere Julia. Quel viaggio era tutto un enorme inutile sbaglio...
Eppure la sua borsa rimaneva vuota. Perché non riusciva a lasciarsi alle spalle quel dubbio? Quel tarlo che gli scavava la mente!
Con un calcio chiuse la borsa e uscì dalla stanza.
I suoi piedi sapevano esattamente dove andare, troppe volte lo aveva scrutato da quella porta semichiusa, un invito che aveva desiderato accogliere dal primo sguardo, stava correndo verso l'ufficio di Billy.
Lui se ne stava impettito oltre la sua scrivania, come se lo aspettasse.
Si voltò e gli si avvicinò, la sua maschera di calma apparente non velava del tutto la rabbia che fremeva sotto la falsa indifferenza.
«Signor Greene, avevate tanta fretta di passare altro tempo in mia compagnia?»
Benjamin chiuse gli occhi e deglutì lentamente, tendando di dar ordine a quel groviglio di parole che erano ormai i suoi pensieri, quando li riaprì Billy vi vide una nuova determinazione.
«Abbiamo lasciato in sospeso il nostro ultimo discorso e...»
Billy non riuscì a terminare la frase perché Benjamin lo aveva afferrato per la cravatta e lo aveva baciato con decisione.
Affondò le dita nei suoi capelli approfondendo e prolungando oltre il limite quel contatto.
La confusione di Billy scomparve rapidamente mentre ricambiava con sempre più energia la passione dell'altro.
Prima che se ne accorgessero stavano urtando contro la scrivania, rischiando di sbattere contro la grande finestra.
«Ti detesto...» ansimò Benjamin sentendo le mani dell'altro solleticargli la pelle e strappandogli un sorriso divertito.
«Riesco solo a sentire il tuo profumo, ogni tuo maledetto odore... mi rende pazzo... I tuoi capelli, la tua pelle... Persino il tuo maledetto vestito perfetto...»
Crollarono aggrovigliati mentre ogni singolo indumento di Benjamin veniva meticolosamente rimosso.
Billy si distaccò per osservarlo, lui ancora perfettamente vestito, solo leggermente scomposto mentre Benjamin era nudo, sdraiato sulla sua scrivania, esposto in fremente attesa.
«Vuoi restare a fissarmi?» sussurrò Benjamin.
«Mostrami quello che ti piace!» sentenziò Billy quasi in tono di sfida.
Benjamin si voltò verso la gigantesca parete finestra da cui poteva intravedere l'ampio spazio sottostante da cui provenivano i suoni della palestra in cui si addestravano gli uomini della Anvil.
Billy si protese verso di lui.
«Mostrami...»
Ripeté noncurante dei timori dell'altro.
Benjamin esitò un momento ma quel sorrisetto beffardo era troppo...
Desiderava quel senso di dominio che l'altro voleva esercitare, così semplicemente la mano si mosse da sé.
Billy accompagnava i suoi movimenti e quando Benjamin credette di esplodere lo fermò e a guidò le sue lunghe mani su di sé.
«Adesso... Prendimi...»
Benjamin lo osservò incredulo e bramoso.
Malgrado fosse lui quello esposto poteva vedere improvvisamente la vulnerabilità nei suoi occhi.
Era nel suo territorio, e niente inebriava Benjamin di più, lo voleva più di qualsiasi cosa, forse lo aveva desiderato da quel primo incontro in aeroporto.
Lo spinse sotto di sé e lo morse sul collo, era davvero suo?
Gli prese i polsi e li spinse in alto, era pronto, il desiderio di marchiarlo era quasi insopportabile. Era certo di dover provare vergogna per quel desiderio, ma non poteva fermarsi.
Quando lo vide gemere gli parve fragile come non mai.
Lo baciò esaltato ma anche spaventato da quel groviglio di emozioni contrastanti.
Avrebbe desiderato non fermarsi mai, prolungare quella perfezione per sempre ma alla fine gli crollò addosso e lo bloccò sotto di sé. Stava facendo la cosa più stupida che avesse mai fatto, ma niente contava più di quel sapore, di quei sospiri, di quegli attimi.
Quando gli crollò accanto lo vide rintanarsi nella camicia, come a rifuggire in quelle poche fragili barriere che gli restavano.
Benjamin gli scostò una ciocca di capelli dal volto, e si protese per baciarlo percependo il suo respiro spezzato carezzargli la pelle.
Lo aveva sorpreso.
«Billy io...»
Il citofono si accese e una voce gracchiante ricordò a Billy di avere un appuntamento con il dipartimento di sicurezza.
Benjamin lo osservò rivestirsi in silenzio, finché non si accorse di dover fare lo stesso, non era il caso di farsi trovare nudo e sudato.
Si infilò i pantaloni con un rapido gesto e scoccò a Billy un ultimo sguardo carico di domande, sperava che almeno lui sapesse cosa dire, ma era perplesso quasi quanto lui.
Benjamin era incapace di dare un senso a tutto.
Si erano presi a male parole ma poi avevano ceduto senza esitare a quell'irresistibile attrazione... Non voleva andarsene e perdere il contatto con quell'essere misterioso al di sotto di quelle maschere, ma lo sguardo smarrito dell'altro gli sfuggiva.
«William...»
Lo invocò Benjamin, odiando subito il suo tono supplicante.
Non sarebbe mai partito finché Billy gli avesse dato un motivo per restare, doveva solo guardarlo ancora con il suo vero sé... Solo una volta.
«William...»
A quel punto lo vide scuotersi, lo fissò ed era sempre il vero sé, disarmato e senza alcuna maschera.
Allungò la mano e gli carezzò il volto prima di baciarlo.
Quando si distaccò i suoi occhi oscuri parvero assorbire ogni ombra, la voce che emerse dalle sue labbra era così diversa da quella che Benjamin era solito udire, il suo rammarico era quasi concreto più sincero di tutte le parole mai pronunciate da Billy.
«Mi dispiace io...»
I suoi occhi esprimevano dolore.
«Io devo andare...»
Sentenziò uscendo dalla stanza, lasciando Benjamin solo con le sue domande.
2018
«Ci sono cose in te che adoro ma che anche detesto... Non riesco a rinunciare ne alle una ne alle altre...»
Leggendo quelle parole a Jules scappò un sorriso e un calcio gli arrivò dritto sullo stinco.
«Vuoi smettere? Non sopporto osservare quel volto da ragazzina! Sembri un'insopportabile teenager brufolosa!»
Esclamò Aleksander infastidito poggiando malamente la tazza sul tavolo e rovesciandone il contenuto.
Jules lasciò ricadere la lettera e sospirò.
Un ciuffo di capelli scuri era calato sul viso di Al come un sipario che gli impediva di incrociare il suo sguardo ma era abbastanza certo che non vi avrebbe scorto la vulnerabilità della sera prima.
Quando Jules si era svegliato quella mattina nel letto dell'altro si era ritrovato solo, Al si era svegliato prestissimo e era disceso in silenzio al piano di sotto.
Lo aveva scutato impassibile, non vi era nemmeno un'ombra del calore di quei momenti.
Lo aveva guardato ad essere il suo algido e indisponente capo, aveva rimosso completamente la serata precedente.
Inizialmente Julian aveva provato imbarazzo, ogni volta che lo guardava nella sua mente riaffiorava qualche frammento inopportuno. Come l'acqua che discendeva sul suo collo, dove poteva ancora intravedere il segno del morso che gli aveva impresso.
Se osservava troppo a lungo i suoi polsi, poteva sentirli ancora stretti nei suoi pugni.
Ma poi Aleksander aveva aperto bocca e l'incanto si era spezzato.
Forse se lo era sognato, aveva avuto di certo la febbre e aveva delirato.
Al non lo aveva invitato sotto la doccia, non lo aveva spogliato e lui non lo aveva baciato sotto lo scroscio d'acqua calda né reso suo a più riprese nello spazio tra il bagno e la sua camera da letto. E quel sapore che avvertiva sulla lingua era solo frutto di quel delirio.
Tornò a fissare le lettere, si era di certo fatto influenzare da loro.
«Sento ancora il suo sapore sulla lingua, non riesco più a pensare ad altro, sto impazzendo...»
Un secondo colpo sotto al tavolo lo fece sobbalzare, Aleksander lo scrutava con piglio infastidito.
«Perché sei così ostile? Queste lettere sono bellissime!» esclamò Jules massaggiandosi l'arto dolorante.
«Non so te, ma io non ho mai letto simili parole, così cariche di emozione e sentimento. Leggi qua... Ti prego stasera non lasciare il mio letto, leggi assieme a me! Amo sentire la tua voce, rapita dalle parole che ami. Sono quasi geloso di quelle pagine perché riescono a rubare i tuoi pensieri a distrarti dal dolore, come forse io non potrò mai! Mi sorprendo a desiderar cancellarle, perché sono un maledetto egoista! Non voglio condividere neanche con loro la tua attenzione. Scusa se ti ho chiesto di baciarmi davanti a tutti, avevi ragione, ti stavo sfidando e la tua rabbia era più che giustificata perché entrambi abbiamo fin troppo da perdere se questa relazione venisse alla luce... Eppure, nonostante la mia stupidità, in quel palco, tra le ombre, ti sei lasciato afferrare. Amo renderti mio e sentirti così fragile nella mia stretta. Mi fai sentire la persona più forte nell'universo! Mi sono sentito spavaldo e volevo averti non solo tra le ombre ma alla luce del sole. Ti prego perdonami! Se vuoi che venga strisciando da te lo farò. Resta stanotte e leggimi ancora il tuo Oscar Wilde. Tuo Ben...»
Aleksander se ne era rimasto tutto il tempo rigidamente impettito, con gli occhi sbarrati, la mascella serrata.
«Mia madre ha sempre detto che mio padre detesse essere chiamato Ben... Era Benjamin il nome che aveva scelto, non avrebbe mai usato quel diminutivo...»
Jules prese un'altra lettera e lesse ad alta voce.
«Anche quando lei sarà qua, e si stenderà al mio fianco, il mio cuore sarà con te. Tu lo hai avuto in pugno da quel nostro primo incontro in aeroporto, quando osservavi nascosto dietro alle tue molteplici maschere. Volevi valutare chi ero, devo esserti parso un gran imbranato con quella vecchia borsa logora strappata. Sai che lo sono, un disastro su tutto eppure... Grazie di essere il mio nuovo punto fermo, una certezza! Passeggia con me questa sera, ti aspetterò alla porta, tuo Ben...»
Quando ebbe terminato la lettura Aleksander alzò gli occhi al cielo rassegnato.
Julian gli scoccò uno sguardo carico di sfida.
Avrebbe spezzato la sua apparente indifferenza, non poteva fingere ancora che non fosse successo niente tra loro, non poteva immunizzarsi così dalle emozioni
Ma Al lo ignorò ancora una volta così Jules poté solo tornare alle lettere.
«Sono abbastanza certo che si passassero i biglietti sotto la porta, o attraverso dei libri. In pubblico magari sembrava che tollerassero a malapena la loro reciproca presenza per mantenere le apparenze, ma poi attraverso questi messaggi segreti esprimevano tutto quello che realmente sentivano. Di certo hanno passato molto tempo assieme e deve esser stato molto difficile non dar a vedere niente. Entrambi sembravano quasi trovare il modo di essere scoperti, forse nella speranza di interrompere quella farsa... Fare sesso in un palco del teatro non è decisamente discreto...»
«Perché non mi hai ancora detto il suo nome? Hai letto quasi tutte le lettere in mio possesso e ancora non mi hai detto niente di significativo...»
Jules lo ignorò e senza neanche guardarlo iniziò a leggere un'altra lettera.
«Meriti di vivere William, devi credermi! Ma soprattutto credici tu! Il mondo ti deve fin troppo e meriti di lasciarti il passato alle spalle, ormai sono solo ombre. Non puoi più salvarli, smettila di pensarci! Ti prego vivi e cerca di essere felice! Sempre tuo Ben!»
Jules poggiò la lettera e sentì una lacrima rigargli la guancia così si affrettò ad asciugarla.
«Sto aspettando...»
Il suo nome gli affiorò alle labbra quasi da sé.
«Russo, William... Ma probabilmente lo troverai come Billy Russo..., amministratore delegato della Anvil... Di quella compagnia non esiste più nulla è letteralmente esplosa insieme allo scandalo legato a quel tipo... Quel giustiziere... Di certo te ne avranno parlato almeno una volta!»
Aleksander si allungò per prendere il foglio di giornale che Jules gli passava.
«Qui dice che è stato inquisito in merito a dei crimini di guerra e che è stato coinvolto e dal giustiziere conosciuto come The Punisher, in seguito a un brutto incidente presso un parco pubblico è andato disperso e dato per morto... Ma è successo almeno sette anni prima che mio padre scomparisse... Immagino che tu abbia una teoria su questo...»
Jules annuì, e riprese il ritaglio di giornale.
Carezzò la foto sbiadita di William, impettito nel suo impeccabile completo antracite.
«Non siamo qui per questo? Capire cosa è successo in questo posto prima della scomparsa di Benjamin?»
Aleksander appallottolò la lettera che aveva in mano e si alzò di scatto.
«Io non voglio capire! Desidero solo la certezza che quell'essere abominevole è morto! Vorrei leggere che quel giustiziere lo ha trovato e ucciso, allora sì che sarei appagato!»
Quel pensiero fece rabbrividire Jules.
«Non riesci proprio a vedere quest'uomo in modo imparziale vero?»
Esplose Jules non riuscendo più a trattenersi.
«Come puoi odiarlo tanto? neanche lo conosci!»
«Neanche tu!» esclamò Al puntandogli un dito contro «Perché lo difendi?»
Jules si chiuse davanti a quell'accusa.
«Penso di comprenderlo! Ma non è questo il punto! Ne parli come se ti avesse fatto un torto volutamente! All'epoca delle lettere tu neanche eri nell'iperuranio... Non esistevi!»
Aleksander si adombrò.
«Nella migliore delle ipotesi ha sedotto mio padre... Nella peggiore lo ha violentato e ricattato causandone l'allontanamento dalla famiglia.... Non dovrei odiarlo?»
Jules fremette e un NO gli rimase bloccato in gola, non aveva nessun diritto di biasimarlo, l'abbandono di Benjamin doveva averlo fatto soffrire più di quanto la sua rabbia volesse esprimere.
Aleksander cercava in ogni modo di mostrarsi sprezzante ai suoi occhi ma Jules aveva visto più volte il bambino solo e abbandonato. Quello che aveva bussato alla sua camera d'albergo, quello che lo aveva rincorso sotto la pioggia e invitato a stringerlo ad accoglierlo tra sue braccia e malgrado cercasse di nasconderlo, quel bambino era sempre là, sotto i suoi occhi.
Aleksander lo fissava in silenziosa attesa, scalzo, con un maglione sbiadito e pantaloni slargati. Cercava conforto in una situazione scomoda e che lo faceva sentire a disagio, gli chiedeva con lo sguardo di dargli aiuto, una conferma che suo padre non lo avesse volutamente abbandonato.
E Jules avrebbe voluto accontentarlo, ma ormai si era troppo legato a Billy per accusarlo di qualcosa che non sentiva affatto vera.
Cercando aiuto Jules lasciò scorrere lo sguardo lungo l'ampio salotto in cui si erano sistemati cercando di radunare i propri pensieri. Il suo sguardò vagò finché non stanò in un angolo, ricoperto di polvere, un pianoforte.
«Suonava qualcuno nella tua famiglia?» chiese d'istinto senza riflettere.
«Sì, io!» risposte Aleksander dopo una lunga pausa «Ho studiato musica per moltissimi anni era quanto più amassi al mondo ma poi... Ecco mia madre mi ha riportato alla ragione, non aveva davvero senso spendere tante energie in uno stupido inutile passatempo così ho preso la migliore decisione possibile... Ho seguito mio zio che mi ha indirizzato verso la carriera di giornalista, era decisamente la scelta più sensata...»
«La scelta più sensata...»
«Mia madre sa sempre quale sia la cosa migliore per me, le persone migliori per me...»
«Ti ha anche trovato la moglie per caso?»
Lo sguardo di Aleksander valse più di mille parole lasciando Jules pietrificato sul posto.
«Si chiama Alina, è perfetta, le darà i nipotini che tanto brama, sarà... Perfetta! Lei lo sa bene...»
«La scelta più sensata...»
Ripeté Jules assorto.
La comprensione lo attraversò come una scarica elettrica. Nel suo ipotetico mondo perfetto non c'era posto per lui, per questo fingeva che la sera prima non fosse che un sogno. Non c'era spazio per questo nel mondo che la madre gli aveva costruito attorno... Il rammarico legato al padre era l'ultimo filo da sforbiciare prima di iniziare la sua nuova vita.
Nella stanza calò il silenzio.
Jules continuò ad osservare lo strumento finché la malinconia non divenne insostenibile.
Sollevò il coperchio e lasciò scivolare le dita sui tasti, anche lui da ragazzo aveva tentato, quando la zia lo aveva adottato aveva cercato un legame con la sua nuova famiglia attraverso il suono del pianoforte di lei, invano...
«Povero piano, tutto solo e abbandonato, deve sentire così tanto la tua mancanza...Credo che ti stia chiamando...»
Stava davvero proiettando le proprie emozioni su un oggetto?
La mano di Aleksander si posò accanto alla sua facendolo sussultare, non si era accorto che gli si fosse avvicinato, silenzioso come un gatto.
Lo osservò sornione, poi con placida calma si sedette alla panca del pianoforte.
Jules lo imitò e quando le lunghe dita di Al iniziarono a muoversi lo seguì.
Inizialmente goffo e impacciato ma sempre più deciso, come se la musica potesse scacciare quella verità che lo aveva pietrificato ma non solo.
Tra quelle note anche il bruciante desiderio si annullava, il ricordo delle lettere, ogni cosa... Esistevano solamente loro e la musica delle loro anime.
Le mani si rincorrevano come se fossero nate per quello, ricercarsi.
Quando Jules si voltò a guardarlo sentì il cuore accelerare, Aleksander gli sorrise e gli si appoggiò appena, una bolla perfetta quiete dove non esisteva più nient'altro.
(Nel capitolo prima ho scordato di specificare che la figura di Anthony è di mia invenzione, non è originaria della serie di Billy, the Punisher)
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