Capitolo 03 - Fiducia
1980
Val si scostò i lunghi capelli corvini e sorrise sorseggiando il tè che gli era stato offerto.
Quando Julia aveva comunicato a Benjamin che avrebbero avuto visite lui ne era stato estasiato, non arrivavano molte persone da quelle parti, a parte i figli di Julia che nei suoi confronti alternavano odio a inquietante compatimento.
Odiare il Gold Digger ormai pareva quasi inopportuno, il ragazzo che aveva sposato la loro madre, il parassita che si era insediato nella loro esistenza adesso era solo un povero invalido, spezzato nel corpo e nello spirito... Di certo non una minaccia per la loro preziosa madre.
Benjamin si strinse pensando a quegli sguardi, il perfetto giocattolo, ormai quello era. Lo avvertiva nelle allusioni alle loro attività in camera da letto, che mai avrebbero fatto i ragazzi prima del suo incidente. Soprattutto il più piccolo, Leo, senza troppi riguardi pareva voler controllare che Benjamin adempisse al suo dovere, che si fosse davvero ridotto a un pupazzo.
Di certo non visite di piacere per lui, ma stavolta Julia gli aveva rivelato che sarebbe stato un suo vecchio amico a venire in visita.
E quando Benjamin si era trovato davanti quel ragazzo dal sorriso accogliente avrebbe voluto ricordare, ricambiare la sua stretta la sua amicizia ma davvero non ci riusciva.
Aveva mille domande sul vecchio Benjamin, quello che in così tanti amavano e odiavano, ma soprattutto su William, ma Julia non li aveva persi di vista un solo momento, mandando in fumo ogni sua speranza.
La donna gli lasciò correre una mano sulla sua coscia facendolo rabbrividire, non era da lei essere così possessiva davanti a degli estranei, infine la mano gli si serrò sul suo ginocchio.
«Sono cambiate molte cose come puoi vedere...»
Val mostrò un sorriso di circostanza e osservò Benjamin, il quale cercò di mostrarsi il meno rigido possibile senza riuscirci.
Si sentiva a disagio, era come se sua moglie gli avesse legato un guinzaglio al collo e gli chiedesse di scodinzolare ad ogni suo sguardo.
Julia strinse ancora di più la presa sulla gamba del marito e donò al loro ospite il suo sorriso più felice.
«Allora Val, come procede la tua carriera di neurochirurgo a New York?»
Val esitò un momento, era evidente che desiderasse che la donna gli concedesse un momento da solo con l'amico, ma optò per la diplomazia.
«Procede bene, sono venuto per visitare un mio paziente speciale, si è trasferito da pochi anni, vorrei accertarmi che stia bene... Per questo sono passato... Volevo dire al mio caro Ben che New York non è più la stessa da quando se n'è andato...»
Scoccò a Benjamin uno sguardo carico di domande silenti, quasi attendesse un rimprovero, sapeva bene che odiasse l'uso di quel diminutivo, ma incontrò solo il suo silenzio.
Benjamin se ne stava con il volto inclinato di lato per nascondere la cicatrice che gli solcava il volto.
Si vergognava di come potesse apparire agli occhi di quello che sembrava esser stato un ottimo amico per l'altro Benjamin, quello che non rammentava, che se ne stava senza parole, remissivo, stretto tra gli artigli della moglie.
Un movimento rapido e Julia si scostò per far spazio al suo ospite.
Val si era sporto verso il suo amico e lo aveva afferrato per le spalle obbligandolo a guardarlo
«Sarei felice di poterti ospitare di nuovo a New York!»
Benjamin esitò mentre un involontario sorriso si dipingeva sul suo volto.
«Dimmi solo quando e ci sarò!» concluse il medico con sguardo deciso.
Benjamin avrebbe voluto chiedergli di portarlo via all'istante, da William
Una piccola parte della sua mente si era rapidamente convinta che fosse lui il misterioso paziente segreto di Val, il suo amore, il suo cuore, ciò che conservava il vero Benjamin.
«Sei gentile ma non credo sia proprio possibile!»
La voce di Julia congelò lo slancio di Val che si ritrasse come scottato.
Scoccò uno sguardo carico di disgusto sulla mano della donna che era tornata come un artiglio a ghermire la gamba del marito.
Era suo e malgrado Benjamin volesse negarlo con tutto se stesso si sentiva ancora spossato da quella mattina, quando gli aveva richiesto attenzione una volta comunicatogli della visita do Val, era sato come il pegno da pagare per quella libertà.
Aveva bisogno di lei per sopravvivere, per riempire quei vuoti eppure...
«Dopo quanto sofferto in quel posto sono certo che Benjamin non possa più affrontare un viaggio così lungo, è fuori questione ...»
Si sarebbe annichilito sotto il peso di quelle parole se Val non si fosse riscosso dando all'amico un colpetto alle spalle.
«A me pare sanissimo, cammina perfettamente senza l'ausilio del bastone, è sempre stato più forte di quanto gli altri lo giudicassero...Non sai quanto si sia dimostrato coraggioso in passato, mi manca molto la sua forza d'animo!»
Lo sguardo di Benjamin si accese di un rinato fuoco, rivedeva conferme nell'amico, la speranza di cui tanto aveva bisogno, si inclinò verso il medico che colse l'occasione per sussurrargli ad un orecchio un sommesso.
«Ti aspetta...»
Ma in un battito di ciglio tornò a sedersi compostamente sulla poltrona volgendo lo sguardo a Julia.
«Anche se vedo che se più che assistito qua, di certo Julia non ti farà mancare mai attenzioni!»
Benjamin ignorò tutto quello che i due si dissero successivamente, si era aggrappato a quella semplice frase.
Ti aspetta...
Voleva credere che parlasse di William, doveva...
Ma tenere Julia lontana da quei pensieri era prioritario, così strinse la sua mano e si chinò su di lei per un bacio che la sorprese alquanto.
«Già sono al sicuro qua...» esclamò donandole la sua maschera più felice.
Per il resto dell'incontro si sforzò di mostrarsi come il migliore dei mariti, doveva rassicurarla in ogni modo o non l'avrebbe mai lasciato nemmeno un minuto da solo assieme a Val e Benjamin aveva dannatamente bisogno di un attimo a con l'amico dell'altro Benjamin.
L'umore di Julia migliorò moltissimo grazie alle attenzioni ricevute da arrivare a proporre a Val di rimanere a dormire.
Quando l'altro declinò con impeccabile eleganza concesse a Benjamin i suoi bramati minuti di solitudine permettendogli di accompagnare il medico oltre la soglia di casa alla sua auto.
Rimasero a lungo in silenzio, soppesando l'imbarazzo.
Val guardò l'amico mentre la compassione emergeva nel suo sguardo solenne, Benjamin deglutì sentendosi ferito dall'ennesimo compatimento ma si sforzò di dire qualcosa.
«Sto bene...Io...»
Prima che potesse proseguire una fitta al fianco lo pugnalò, come a punirlo per quella piccola menzogna, obbligandolo ad appoggiarsi alla bianca Mercedes del suo vecchio amico.
«Sto bene...» ripeté più per se stesso che per Val.
«Tu non ricordi vero?»
A quella domanda Benjamin deglutì e annuì impercettibilmente.
«Da quando mi sono svegliato è tutto molto confuso, ma ho trovato una cosa e...»
La mano di Val si aggrappò al suo braccio bloccandolo.
Benjamin lo osservò estrarre dal bagagliaio un piccolo pacco per poi porgerglielo.
«Mi avevi chiesto di conservarlo per te, saresti dovuto venire a prenderlo. L'ho tenuto da parte in attesa dell'occasione di restituirtelo, quando non ti ho più sentito e Julia ha iniziato a bloccare le mie chiamate ho deciso di venire da te!»
Val tamburellò le dita sul pacco «Non credo serva dirti che lei non deve scoprirlo... Spero tanto che ti possa aiutare a ritrovare te stesso Benjamin...»
Benjamin rispose con un sommesso ringraziamento, avrebbe voluto chiedere di William ma non osò aggiungere altro così rimase ad osservare l'altro congedarsi, e rimase in piedi stretto nella sua felpa mentre l'auto svaniva oltre il confine della sua verde prigione.
Poi osservando il pacco ripensò alle parole di Val.
Non credo serva dirti che lei non deve scoprirlo...
Doveva sbrigarsi.
Il suo cuore accelerò e le sue gambe lo spronarono a ricercare un nascondiglio, corse per quanto gli concedesse l'anca dolente, ma non si fermò finché non raggiunse la serra sul retro della villa.
Val mentiva, la zoppia era più che evidente e anche solo camminare con un po' di energia in più spazzava via ogni sua forza.
Ma non si arrestò e accelerò ignorando il dolore al fianco e quando si fermò, per poco non crollò in ginocchio.
Si aggrappò al tavolo di metallo ansimando e tremando, il vetro incastonato gli rimandava la sua immagine deformata accanto a quel misterioso pacchetto.
Osservò il suo volto riflesso, poteva vedere oltre, Lui. Un viso così simile al proprio, quelle cicatrici, quegli occhi scuri e cupi e infine sangue, pareva emergere dai suoi pensieri, emergere dalla sua mente sofferente.
Benjamin si accasciò aggrappandosi al prezioso inaspettato dono, gli incubi lo stringevano anche da sveglio, ingabbiandolo tra le sue molteplici domande.
Era come se avvertisse il dolore dell'uomo di quella visione.
Era William, il volto devastato, coperto di sangue mentre schegge di vetro gli penetravano a fondo nella carne...
Benjamin si sfiorò la cicatrice che gli era rimasta dall'incidente.
Fu la voce di Julia a riscuoterlo.
Rapidamente cercò un nascondiglio, adocchiò un mobile, ne aprì un cassetto e ci nascose dentro il pacchetto.
Quando Julia entrò nella serra lui le mostrò il sorriso più radioso che trovò estraendo di tasca il cellulare.
«Ripensavo alla tua idea sulla mia anca, volevo chiamare il fisioterapista, sai bene che in casa non c'è linea...»
La donna gli si avvicinò soddisfatta, nel suo sguardo lui rivide ardere lo stesso desiderio della mattina.
Deglutì e si aggrappò al mobile cercando di trarre forza dal pensiero del pacchetto in esso celato. Doveva assecondarla se voleva continuare a mantenere la sua maschera credibile, doveva rendere il suo affetto amore.
Ormai era bravo a nascondere parti di se allo sguardo di lei... Forse lo era sempre stato.
Julia lo prese per un braccio e lo baciò con ardore insinuando la mano fredda sotto la stoffa, sfiorandogli il fianco.
«Ho visto che camminavi a fatica... Credo anche io che dovresti riprendere a fare esercizio... Nel frattempo, un bagno caldo ti sarà di giovamento...»
Benjamin le sorrise e la baciò a sua volta, lasciandola libera di raggiungerlo sotto i vestiti, ignorare i brividi che il contatto con le mani gelide di lei gli mandavano.
Presto si sarebbe preso tempo per aprire il pacco e forse sciogliere il nodo di qualche domanda.
2018
Jules scoccò uno sguardo diffidente nella direzione dell'altro.
Aleksander se ne stava seduto nel sedile opposto al suo, le sue lunghe gambe si protendevano incastrandosi con quelle di Jules.
Il contatto del suo ginocchio gli causava scosse di disagio ma il suo capo sembrava non notarlo, si appoggiava senza troppi problemi.
Era stato certo che sarebbe stato licenziato in seguito al furto, ma non solo non era accaduto, ma anzi, quando si era finto malato Al lo aveva mandato a cercare tramite Kat.
Era stato così incredulo di scoprire che volesse ancora andare con lui all'inaugurazione in Cornovaglia.
Ma poi era rimasto in silenzio per tutto il tempo dalla partenza dalla sede del giornale, era salito in treno senza una parola.
Jules si sforzò di leggere, di ascoltare la musica, ma quell'opprimente contatto lo distraeva come uno spillo nella scarpa.
Quando scesero alla stazione d'arrivo si limitò a borbottare il nome dell'albergo al tassista che era arrivato a recuperarli.
Jules lo osservava timoroso, forse quel visaggio serviva a dare la possibilità ad Aleksander di torchiarlo sul furto della sua agenda.
Però una volta all'albergo Aleksander si limitò a prendere la chiave della sua stanza lasciandolo da solo senza una parola.
Jules si trascinò al suo piano quasi deluso.
Non riusciva discostare i pensieri dal ginocchio dell'altro, e di quel prolungato e forzato contatto. Forse una cosa più innocua di quanto avesse voluto.
Eppure, aveva creduto che Al premendo con forza desiderasse imprimergli la sua presenza.
E invece forse era stato tutta una sua fantasia.
Una volta in camera si ritrovò a sfogliare l'agenda rubata sdraiato sul letto, carezzò le familiari lettere taglienti di Billy.
Non riusciva a tenerlo lontano da sé nemmeno per mezza giornata, figurarsi per un intero weekend.
Si rigirò una lettera tra le mani, ripensò alle sue parole. Non aveva mai letto niente di così sentito.
Era ossessionato da William, lo aveva cercato ogni giorno in modo quasi ossessivo finché non aveva trovato un nome...
William, soprannominato Billy Russo...
Americano.
Orfano, esattamente come lui.
Jules si era ritrovato a empatizzare con quel volto sfocato e segnato dal dolore.
Aveva come l'impressione che fosse stato lo stesso Billy a chiamarlo facendogli trovare quegli articoli e associare quel volto a quelle parole.
Soldato... Marine... Proprietario e direttore di un'azienda... Ricercato dalla legge, Fuggiasco e infine scomparso nel nulla, proprio come era apparso nel mondo, abbandonato da solo in una lurida stazione.
«So bene cosa hai provato ogni giorno della tua esistenza...»
Sussurrò alla firma di William
Le date coincidevano, dalle sue ricerche Benjamin e Julia avevano vissuto negli Stati Uniti in quegli anni.
Probabilmente le aveva chiesto di trasferirsi per studi per poter lavorare al suo libro sulla guerra in Afghanistan ed era esattamente dove Billy aveva prestato servizio.
Jules ripose la lettera e sfogliò l'agenda di Aleksander.
Quelle lettere gli avevano raccontato così tanto, aperto così tante porte.
Inoltre, aveva trovato un articolo scritto da Benjamin e pubblicato dal New York Times sulla compagnia di Billy.
E aveva visto la foto, il sorriso di Benjamin sembrava tutt'altro che di circostanza.
Le parole sulla loro incredibile somiglianza... Ma lo sguardo sornione di Billy nella foto dell'intervista non sembrava innocente.
Jules si ritrovò a pensare che dovesse aver fatto male tutte quelle allusioni a una famiglia mancata, sapeva fin troppo bene come facesse sentire crescere con la sensazione di non essere voluto o desiderato.
Ciò lo portava solo a desiderare di più, voleva sapere cosa aveva portato a vergare quelle parole così intense e dolci.
Non si era mai ritenuto eccessivamente romantico malgrado Kate affermasse il contrario. Si sentiva un collezionista di storie, un narratore... Ma non poteva negare di essersi sinceramente affezionato a quell'uomo dal sorriso sghembo e dalla calligrafia graffiante e forse anche ad Al?
Nell'agenda non vi erano molti suoi appunti, una calligrafia minuta e quasi illeggibile. Persino quello che scriveva era contratto e incomprensibile.
Scosse la testa, no la sua mente era presa solamente da Billy, aveva preso tanto a cuore la sua storia.
Bramava conoscerlo, svelare ogni aspetto della sua personalità, anche quelle più oscure, indagare in quel cuore che Billy stesso definiva nero come l'inchiostro, comprendere perché non pensasse di meritare amore.
Alla fine, era sceso di corsa alla sala dove si sarebbe tenuto il rinfresco, indossando un abito stropicciato, la cui vista fece subito arricciare il baso ad Aleksander.
L'albergo era tirato a lucido, la cena però un po' misera e le attenzioni che i partecipanti dedicarono ad Al a suo avviso furono un po' troppo sfacciati.
Soprattutto da parte di donne, anche molto più anziane del suo capo, tutte bramavano intercettare un suo sguardo o un suo sorriso.
Jules seppellì il volto nel suo taccuino.
Ripensò agli anni della sua formazione, quando aveva fatto parte della squadra di nuoto, una fresca promessa per la sua scuola e per la sua nazione.
In fondo aveva qualcosa in comune con Aleksander, si era dedicato a uno sport con passione ed era arrivato a un soffio dal tetto del mondo, ma lui non aveva rinunciato per scelta... Si massaggiò la spalla indolenzita e ripensò a Billy... Condividevano persino quello, un brutto infortunio che aveva sbriciolato i loro sogni.
Aleksander si congedò non appena terminata la cena lasciando Jules senza dirgli niente.
Lui rimase a raccogliere dati e interviste, era arrabbiato ma non voleva essere ripreso per non aver fatto il suo lavoro. Era là per la presentazione dell'impianto non per perdere tempo dietro al suo insopportabile e bellissimo capo.
Alla fine, tornò in camera, frustrato e arrabbiato per la sua sciocca speranza.
Per un attimo aveva davvero sognato di poter conoscere Al? Quasi sperava in una sua sfuriata, almeno avrebbe avuto modo di chiedergli cosa sapesse di William, invece niente...
Rilesse qualche lettera ma poi cercò di dormire, peccato che Morfeo non sembrasse intenzionato a fargli visita, così si ritrovò a fissare il soffitto.
Jules non sapeva cosa trovasse di tanto interessante in quella macchia di umido, voleva solo addormentarsi e scordare tutta la giornata assieme alle sue vane speranze. Ad Al non interessava né il suo lavoro né tantomeno lui.
Quell'opportunità, l'occasione di farsi notare con un pezzo ben scritto, tutto svaniva a fronte del disagio provato.
Eppure, non riusciva a smettere di pensare al viaggio con Al, al suo ginocchio spigoloso premuto contro il proprio.
Quando lo aveva visto interagire con gli altri partecipati era sembrato così affabile e gentile.
Jules si chiese cosa invece mettesse tanto a disagio lui, forse il senso di colpa per averlo derubato, o per aver iniziato a indagare su suo padre e sul suo amante...
No, era altro.
Il fatto era che ogni volta che Aleksander lo guardava Jules non poteva fare a meno di sentirsi giudicato, anche se l'altro non aveva mai dato l'impressione di farlo.
Era come se Al sapesse sempre qualcosa di più di quello che gli venisse detto.
Lo fissava con quello sguardo profondo che riportava tanto alla mente le foto che aveva visto del padre di lui. I folti capelli, le linee decise, il lungo collo forte, larghe spalle...
Perfetto...
Così lo aveva definito infinite volte davanti a Kat, ma aveva annuito sussurrando
«Sì, dannatamente perfetto...»
Jules avrebbe preferito odiarlo invece di esserne attratto.
Al era famoso, pieno di talento e apprezzato dai più, davvero snervante!
Gli mancava solo una degna compagna, magari una modella alta e perfetta quanto lui...
Jules avrebbe voluto davvero odiarlo ma non ne era capace, poteva solo sentirsi in colpa per le proprie brame e non dormire dormire.
TOC TOC TOC...
Jules si sollevò sul letto e osservò la porta nella penombra della sua stanza.
TOC TOC TOC...
Non se lo era immaginato, avevano davvero bussato, così imprecando mentalmente si alzò e andò a controllare.
Quello che vide lo lasciò a bocca aperta come un pesce fuor d'acqua.
Al era in piedi davanti a lui, annaspante, gli occhi sgranati, come un bambino terrorizzato. Era come ingobbito, l'alta figura slanciata sembrava uno straccetto bagnato.
Jules si riprese in fretta perché quei grandi occhi scuri erano intrisi di una silenziosa supplica.
Ti prego aiutami!
Jules fece un passo indietro annuendo deciso e indicandogli la sua camera.
Aleksander vi scivolò dentro silenzioso come un gatto.
L'altro lo osservò avanzare, non avrebbe mai potuto lasciarlo in quel corridoio freddo, sembrava davvero troppo disperato per potergli sbattere la porta in faccia, poco importava se lo conosceva appena.
Tremava raggelato, la camicia mezza sbottonata, la cintura mezza sfilata e i bottoni dei pantaloni agganciati in modo assurdo. Fu focalizzandosi su essi che Jules vide cosa desse all'altro tanto disagio, cosa rendesse il suo corpo tanto teso e fremente.
Distolse subito lo sguardo arrossendo fino alla punta delle orecchie profondamente a disagio. Non era semplice eccitazione, era pallido, sudato, ansimante.
Jules non impiegò molto per capire dopo averlo rapidamente scansionato da capo a piedi, il suo corpo asciutto tremava era teso le mani strette a pugno.
Aveva visto troppi suoi ex compagni della squadra di pallanuoto tremare in quel modo e con in volto uno sguardo non dissimile.
Ma mai avrebbe pensato che a incarnare gli effetti di quelle droghe fosse proprio il perfetto Al.
Ma la disperazione nei suoi occhi, i movimenti nervosi il tremore, non era come ricordava i suoi compagni, lui non voleva, non era qualcosa che era andato a cercarsi.
No, non poteva proprio...
Il panico, il tremore...
Se aveva assunto qualcosa di certo non lo aveva fatto di proposito.
Jules si riscosse, non era il momento di perdersi nei propri pensieri.
Gli indicò il letto con un sorriso rassicurante.
«Mettiti comodo! Tranquillo, puoi restare quanto vuoi...»
Al cercò di ringraziarlo ma fu scosso da un tremito ancora più forte del precedente annaspò senza voce si rannicchiò accanto al letto scosso.
«Scusa io... Ero qua davanti quando ho iniziato a sentire che... Quello che... Là sotto...»
Come un bambino si strinse le gambe, cercando di nascondere ciò che sapeva bene Jules aveva notato.
L'altro non sapeva esattamente dove guardare, voleva davvero aiutarlo ma era anche molto imbarazzato.
«Non sapevo che fare... L'altra volta ero a casa e io...» riprese a parlare come un fiume in piena.
La sua voce tremante e frammentata riscosse Jules e lo obbligò a muoversi, sentiva il doverlo di proteggere, di aiutarlo a superare quel frangente, così gli si avvicinò cauto e gli sedette davanti e attese.
«Speravo che non mi sarebbe più accaduto, sono sempre stato accorto... Ma mi sono distratto, ero preso dai pensieri e... Non voglio perdere il controllo no... Non sarebbe più dovuto succedere... Non... Ma passerà, te lo assicuro sono solo dei momenti... Andrò via, scusami! Scusa se ho fatto irruzione qua in questo stato... Io... Però...»
Farfugliava con voce incrinata.
Jules sentiva i dubbi accatastarglisi nella mente.
Altre volte? Perché non aveva detto nulla denunciando quanto successo? Lo avevano drogato altre volte e non era andato in ospedale? Ma quanti pazzi gli orbitavano attorno? Perché si era fidato di lui?
Alla fine, preferì restare in silenzio, si accovacciò accanto all'altro e attese in silenzio, ascoltando il rimo frenetico dei suoi respiri.
Aveva l'impressione di avvertire il battito impazzito del suo cuore.
«Tranquillo, sei al sicuro...»
Jules non seppe nemmeno cosa lo avesse spinto a dirlo, forse perché lo vedeva tanto fragile che cercare di dargli uno spazio protetto sembrava il minimo.
Alla fine, riuscì a convincerlo a sdraiarsi ripetendogli che non avesse affatto sonno e di non preoccuparsi.
Non era del tutto una bugia, non sarebbe riuscito a dormire per via di tutta l'adrenalina che la presenza di Al gli aveva trasmesso.
Alla fine optò per sistemarsi sulla poltrona di camera e dovette sforzarsi parecchio per non fissare la figura di Al raggomitolata sul letto.
Si appisolò solo alle 4:00 e sonnecchiò solo un paio di ore prima che la sveglia lo destasse come una scossa elettrica.
Quando si svegliò Al non era più sul suo letto, Jules avrebbe voluto infastidirsi, ma era troppo stanco e indolenzito per farlo.
Lo ritrovò al piano terra al bar ad osservare un bicchiere di succo con sguardo vuoto. Jules si sedette d'istinto davanti a lui.
Lo osservò per qualche secondo fissare il tavolo vuoto e il bicchiere di arancia al centro, poteva vedere il corso dei suoi pensieri così prese il bicchiere d'arancia dell'altro e lo assaggiò, attese qualche minuto e poi glielo rese prima di aggiungere un «Ti prendo anche qualcosa da mettere sotto i denti!»
Quando Jules si alzò avvertì il peso dello sguardo di Al. Non sapeva bene perché ma era certo che lo stesse osservando e quando tornò con un piatto carico di cibo che poi gli poggiò davanti.
Al gli sussurrò un mesto e sorpreso «Grazie... »
Era stretto a un oggetto, Jules si focalizzò sulle sue mani e poi rabbrividì.
Teneva tra le mani la sua agenda, quella che gli aveva rubato, ma Al non aveva un'espressione arrabbiata, era di nuovo rattristato.
Le sue lunghe dita tamburellarono sulla copertina, lo aprì e scorse le pagine con placida calma.
Quando sfiorò la lettera la sua mano si ritrasse come scottata, poi con voce inespressiva lesse quella grafia graffiante che a Jules era fin troppo familiare.
«Tu sei la sola possibilità che ho di vivere, non avevo compreso di sopravvivere prima di passare del tempo assieme a te. Cerco il tuo sguardo nelle persone che ho attorno perché è dolorosamente familiare.
Vorrei essere io la persona in grado di darti tutto quello che desideri...»
La sua voce si spezzò, Jules rimase a guardarlo a bocca aperta sentendosi un perfetto idiota. Stava leggendo la lettera che l'amante di suo padre gli aveva scritto. L'uomo che glielo aveva portato via...
«Queste parole mio padre le scriveva al suo amante, all'uomo che me lo ha portato via... Vorrei solo capire perché...»
Jules sospirò avrebbe voluto trovare una parola di conforto o di giustificazione per un estraneo che ormai gli stava inspiegabilmente a cuore ma Aleksander chiuse l'agenda con un tonfo.
«Ti prego...»
I grandi occhi scuri di Al parvero espandersi dalla sorpresa quando la mano di Jules scattò ad afferrare la sua.
Jules aprì la bocca.
Desiderava dirgli molte cose.
Quanto volesse ricercare la verità su William, sulla storia con Benjamin, quanto si sentisse legato a quei due orfani ma altri pensieri si erano insinuati.
Grazie di essere venuto da me, di esserti fidato...
Vorrei poterti proteggere sempre, anche da quel passato che intravedo nei tuoi occhi...
Alla fine Jules si limitò a stringergli la mano annuendo.
Sembrava così lontano lo sguardo altezzoso della mattina precedente, come anche la distanza che aveva sempre avvertito tra loro.
Al lo fissava senza maschere, indifeso, con tante domande impresse a fuoco nell'anima ma consapevole che alla sua richiesta di aiuto, con quella stretta salda, Jules avesse detto sì.
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