Stalker
«Questo è arrivato da du ore e già mi sta sui cojoni!».
Manuel si lascia cadere di peso su una delle sedie di legno poste nel corridoio della scuola, poco fuori la porta della 5^B. Incrocia le braccia al petto, sbuffando.
Lo riesce anche a vedere quello nuovo che, a quanto ha capito, si chiama Andrea Mainardi - così è stato recitato il nome all'appello; lo scorge a qualche metro di distanza, circondato da tutte le ragazze della classe (e non) che lo riempiono di domande, tra risatine varie - immagina che essere così al centro dell'attenzione manco gli dispiaccia.
Che pavone.
Alza gli occhi al cielo, esasperato.
«Che hai?» Simone prende posto al suo fianco, porgendogli una lattina già aperta di tè freddo alla pesca, la stessa che Manuel recupera con noncuranza, per poi bere un sorso della bevanda. «Niente, che ho» borbotta «Rivoglio er banco mio».
«È solo un banco, Manuel».
«Non è solo un banco. È il mio banco» ci tiene a puntualizzare. «E poi stare in prima fila me scoccia».
«O perché così non posso passarti matematica».
«Anche».
Anche.
Simone vuole persino credere - illudersi - che la questione del banco sia personale, che addirittura Manuel sia geloso, che voglia quel dannato banco solo per stargli vicino.
Che stupido, se lo dice da solo: non può esistere una eventualità simile. Manuel non sarà mai geloso, non di lui quantomeno e soprattutto nei confronti di quel ragazzo di Brescia – e di nessuno, in generale.
È solo sesso.
Ed è una cosa solo nostra.
«Quanto manca?» domanda Manuel, ad un tratto.
Simone sbatte rapidamente le palpebre, non afferra subito il concetto e allora «Quanto manca a cosa?».
«Alla fine de l'intervallo».
«Ah, uhm» scrolla le spalle e in maniera distratta osserva l'ora sullo schermo del cellulare che recupera dalla tasca anteriore dei pantaloni. «Cinque minuti più o meno».
Manuel non aggiunge null'altro. Prende un ultimo sorso di tè dalla lattina, dopo si alza in piedi; getta l'oggetto nel cestino marrone apposito sistemato di fianco alle sedie di legno. In seguito, fa soltanto un cenno col capo all'altro ragazzo: non parla, non dice nulla, si limita ad allontanarsi a passo svelto nel corridoio.
Simone rimane imbambolato perché non comprende subito le sue intenzioni. La realizzazione arriva soltanto successivamente, come un lampo - che lo fa sentire ancor più stupido rispetto a prima. Si tira su in piedi con uno scatto e non serve aver seguito la figura di Manuel con lo sguardo: lo sa benissimo dove è andato.
Ignora il fatto che Andrea, dal lato opposto del corridoio, nonostante sia circondato da una decina di ragazze, gli rivolga continue occhiate. Lo reputa un caso.
E comunque non gli importa.
A passo svelto - eccessivamente svelto, rispetto all'andatura che utilizza di solito – raggiunge i bagni della scuola.
Quel luogo è piuttosto sudicio, ci sono pezzi di carta igienica a terra, alcuni umidi così da essere appiccicati alle mattonelle verdastre; i lavandini – ce ne sono due, distinti, lungo la parete alla sinistra non appena si entra – perdono in modo perenne, nonostante la cosa sia stata segnalata più volte. Dal lato opposto, invece, sputano tre cabine di legno verde militare, che contengono le toilette alla turca – e pensa avrebbero fatto prima a mettere dei semplici orinatoi, almeno in quel posto, ma questo è un altro discorso.
Pare non esserci nessuno lì dentro, ma Simone lo sa che non è così. Cerca di chiudere la porta del luogo, per quanto non ci sia nemmeno la chiave, ma essa cigola quando viene aperta, per cui è un buon avviso.
Non c'è bisogno di richiamare il suo nome: a Simone è sufficiente compiere mezzo passo all'interno di quell'ambiente di forma rettangolare – che un po' puzza pure – che Manuel lo afferra per un braccio e lo tira dentro ad una delle cabine di legno mezze rotte, serrando l'anta dietro di loro – serrando per modo di dire, dato che il gancio per farlo regge a stento, comunque.
Okay, Simone in quel momento vorrebbe affrontare il discorso mi hai tolto la mano quando eravamo nel parcheggio, perché è un cruccio che lo sta tormentando da due ore e mezza e che, durante l'intervallo con i compagni a pochi metri, non ha potuto tirar fuori.
Ciò nonostante, non fa in tempo a dire nulla che l'altro si è già fiondato sulle proprie labbra, in un bacio avido e, a tratti, violento, tanto che lui si ritrova a sbattere contro la parete con la schiena e si fa pure un po' male.
Le sue mani, poi, sono ovunque, come sempre: sente la punta delle sue dita insinuarsi lentamente sotto alla maglietta, pur incontrando lo spessore della camicia. E quindi «Ma perché te metti tutta 'sta roba» si lamenta Manuel, che ha la bocca premuta sull'incavo del collo dell'altro ragazzo. Quest'ultimo trattiene una risata e «Perché mi piace» bofonchia.
«È scomodo».
«Tanto abbiamo solo quattro minuti, non possiamo fare niente».
«Ma se...» Manuel sta per proporre. Tuttavia, viene preceduto dal cigolio della porta principale – che davvero funge d'allarme – perciò si zittisce. Delle voci provengono da fuori, borbottii e lamentele sulle ore di lezione per lo più.
Per sicurezza, Manuel mette tre dita sulle labbra di Simone – poiché presume voglia parlare e non è davvero il caso, dato che possono essere sentiti; ed è la stessa ragione per cui, seppur nessuno sia in grado, di fatto, di vederli, resta ben allerta su tutti i movimenti esterni e addirittura appoggia la mano libera sull'anta della cabina.
Simone lo sa bene cosa il compagno sta facendo: osserva il suo profilo, il modo in cui risulta concentrato a recepire ogni spostamento al di fuori, con le voci sconosciute che continuano a dialogare, incuranti di loro due - che sono vicini, praticamente attaccati l'uno all'altro.
Lo sa, eppure ciò non lo ferma dall'iniziare a mordicchiare i suoi polpastrelli, dopo l'intera falange, per poi schiudere la bocca sull'indice e succhiarlo piano.
Manuel se ne accorge nell'immediato e si affretta a tirare indietro la mano. «Smettila» mima, senza emettere suono. Simone trattiene una risata, mordendosi piano l'interno della guancia.
I rumori esterni si dissolvono qualche istante dopo, quando alle loro orecchie giunge per la seconda volta il cigolio della porta d'ingresso.
«Cazzo, c'è mancato poco» esclama Manuel e il suo tono di voce è ancora basso.
«Tanto non ci sentivano» gli fa notare Simone.
«A te te sentono tutti, lascia stà».
Finge quasi di essersi offeso, ma è una sensazione che scema nell'istante in cui Manuel lo bacia nuovamente sulle labbra e sta per ricominciare tutto da capo, se non fosse che...
Drin, driiin.
Il suono della campanella li interrompe.
«Ma non stavi a controllà i minuti?» sbotta Manuel, scuotendo il capo.
«Mica me l'hai detto».
«Vabbè». Si distacca dall'altro in maniera un briciolo brusca. Fa un passo indietro, interrompendo ogni contatto tra di loro. «Vado prima io, aspetta un po' a venì».
Simone manco lo chiede il motivo per cui deve aspettare un po': è palese pure quello, che nessuno li deve vedere uscire insieme dal bagno. Che poi è abbastanza convinto che a quei particolari nessuno ci farebbe caso, che vivono nella stessa casa, quindi la gente è abituata a vederli insieme, però sa pure che l'altro è fissato e maniacale. Per cui si limita ad annuire, accettando la cosa passivamente.
Lascia che Manuel esca dalla cabina e, in seguito, dal bagno. Poi attende, conta fino a trenta prima di andargli dietro, in silenzio.
**
andrea_mainardi ha iniziato a seguirti
Simone è seduto sul divano di casa propria quando quella notifica gli fa illuminare lo schermo del cellulare che tiene abbandonato sui cuscini di finta pelle marrone. Aggrotta le sopracciglia, perplesso.
Uno stalker, pensa, eliminando la notifica pop-up, come fa con tutte quelle che arrivano da Instagram.
andrea_mainardi
1 nuovo messaggio
Il telefono si illumina ancora, il che costringe Simone a roteare gli occhi e, di nuovo, a cestinare la notifica.
Non capisce cosa voglia da lui quel ragazzo che conosce letteralmente da tre giorni.
La televisione che ha davanti è accesa, c'è un programma sportivo che non sta davvero guardando. In realtà, dovrebbe persino studiare per il compito di italiano il giorno dopo, ma immagina lascerà la risoluzione della verifica al fato e spererà in bene, poiché non ne ha proprio voglia di stare sui libri.
Quella sera, Dante e Anita sono a cena fuori, per cui sarà in casa soltanto con Manuel - che ancora non è rientrato e si chiede dove sia, dato che sono le venti e quindici. Ha persino controllato sul suo profilo se mai avesse messo una storia su Instagram che ne indicasse la posizione - niente di fatto, comunque, e sì, ha controllato avesse messo una storia. Su Instagram. Non sa se esserne preoccupato o meno.
Tuttavia, non deve aspettare più di tanto prima che l'altro ragazzo appaia: sente la porta chiudersi e questo lo fa scattare in piedi.
Deve percorrere soltanto qualche metro attraverso il grande salotto per vedere Manuel con lo zaino in equilibrio su una sola spalla e «Oh, tu qua sei» lo sente dire.
Strabuzza gli occhi. «Dove altro dovrei essere?» esclama.
Manuel scrolla le spalle ed è già indirizzato alla scala di legno che porta al piano superiore, probabile con l'intenzione di chiudersi in camera. «Boh, che ne so» borbotta «Magari eri uscito co' li altri».
«No» pigola Simone, osservando la sua schiena da quella posizione, visto che l'altro è salito già su due gradini. «Non mangi?» chiede. «Io non ho mangiato niente, magari ordiniamo una pizza».
«Eh, seh, va bene» è la risposta immediata. «Ordina va, ce stanno i soldi nel barattolo».
Il barattolo è quello che tengono in cucina, sopra il frigo, che è come un fondo di emergenza per ogni evenienza; lo ha introdotto Anita in casa Balestra e si è sempre rivelato molto utile.
«Me faccio 'na doccia e arrivo» esclama Manuel, che sta per riprendere a salire il resto delle scale.
«Würstel e patatine?».
«Ovvio».
La pizza che ordinano ci mette quaranta minuti ad arrivare a domicilio. Decidono di consumarla sul divano a tre posti del salotto, appoggiando i cartoni unti sopra al tavolino da caffè rettangolare di vetro. La televisione a schermo piatto è rimasta accesa: è iniziato un film comico che non fa ridere, ma tanto nessuno dei due ci sta davvero prestando attenzione.
Simone ha un gomito poggiato sul bracciolo e ha assunto una posizione parzialmente sdraiata sui cuscini. Ha tolto i calzini di cotone sottile perché fa terribilmente caldo per essere ottobre.
Manuel è seduto a qualche centimetro di distanza, con le gambe appena divaricate, la spalle contro lo schienale morbido e finge di seguire la pellicola che scorre sullo schermo. È palese finga.
Simone lo sa. Lo vede mettere in bocca l'ultimo pezzo della crosta della pizza e lo osserva, inclinando il capo su di un lato. Lui ha ancora in mano metà spicchio, al quale ha dato soltanto un morso, quando allunga una gamba.
Fa scivolare il piede dapprima sulla finta pelle dei cuscini del divano e poi, lentamente, raggiunge la coscia del compagno e ci sfrega la pianta sopra, incontrando l'attrito dei pantaloni della tuta.
Lo scruta, deglutendo a fatica, frattanto che compie quel gesto, in un movimento lieve, lento, ripetitivo.
Manuel tenta di ignorarlo, per quel che può. Ma risulta difficile quando Simone il piede lo sposta, sale appena sul fianco, poi di nuovo giù sulla gamba.
E allora «Simó» bofonchia e gli rivolge lo sguardo. «Che stai a fà?».
«Niente».
«Semo in salotto».
«Ma non c'è nessun altro in casa». Simone molla la fetta di pizza di nuovo sul cartone - quasi la lancia. Si morde piano il labbro inferiore e adesso col piede tenta di raggiungere l'interno della sua coscia. Non ci riesce, comunque. Manuel lo blocca prima, afferrandolo per la caviglia.
«Possono tornà da un momento all'altro» sibila «Smettila». Lo fa spostare, con poca delicatezza, e rilascia la presa.
Simone non si arrende, ci prova di nuovo, stavolta scivolando in avanti sul cuscino di finta pelle per poter allungare di più la gamba e con la punta del piede va a toccare la sua pancia, per poi azzardare a scendere più giù, verso il pube.
A Manuel sfugge una risata, intrisa di un leggero isterismo. «Simò» esclama «Stai a giocà col fuoco».
«Ah, sì?» Simone lo sfida. Di solito, lo fa poco. Di solito, accade il contrario – è Manuel a stuzzicarlo in tal modo e, ovviamente, lui finisce sempre per cedere. Quindi non sa cosa gli prende, in realtà – come è successo nel bagno della scuola quella stessa mattina.
«Seh» ripete Manuel, ma stavolta non lo scosta e si lascia ancora toccare. «E poi sto a guardà il film».
«Non lo stai guardando».
«Chi te l'ha detto?».
A quello, Simone non risponde. Si limita ad inclinare il capo su di un lato, mentre non accenna a rimuovere il piede da lì. È a quel punto che Manuel si lascia andare ad un sospiro sommesso; gli fuoriesce un grugnito di bocca quando afferra il suo polpaccio e lo tira con forza, fino a farlo finire sdraiato su quel divano. Lui, invece, si sposta, pianta un ginocchio tra le sue gambe appena divaricate. Prende entrambi i suoi polsi, stringe la presa, premendoli sui cuscini ai lati della sua testa.
«Stronzo» bofonchia, sfiorando la punta del suo naso con la propria. «Se tornano mi' madre e tu' padre, scoppia er casino».
«Fanno tardi» soffia Simone.
«Per loro tardi sò le dieci, massimo dieci e mezza».
Non ribatte ancora. Piuttosto solleva il capo ciò che basta per far collidere le loro bocche, in un bacio violento dove i denti cozzano pure.
A Manuel pare quasi di soffocare. Si stacca solo per riprendere fiato, ma allora le labbra le porta sotto al suo mento, sul collo.
Simone percepisce la sua barba corta pizzicargli la pelle. Non può muoversi, l'altro ragazzo lo ha intrappolato, stretto in una morsa senza via d'uscita. Che in realtà, a liberarsi non ci pensa neppure.
Tuttavia, nonostante sia avvolto in simili sensazioni, mentre ha persino caldo, il proprio cervello non smette di rimuginare troppo sulle cose e dunque «Perché mi hai tolto la mano?» bofonchia.
In un primo istante, tal quesito non viene recepito, poiché Manuel non si scosta, continua a baciarlo e succhiargli la pelle.
Dunque ripete «Manuel? Perché – mi hai tolto la mano?».
Di fronte a quella insistenza, Manuel solleva il capo. I capelli ancora umidi gli si sono scompigliati, ha la bocca arrossata, insieme alle guance. «Che?» borbotta. Non afferra subito il concetto, per lui quell'evento è dimenticato oppure mai accaduto. A simili dettagli non ci bada molto.
«L'altra mattina» tenta di spiegare Simone «Quando – siamo arrivati a scuola, t'ho poggiato la mano sul fianco e me l'hai tolta».
Manuel aggrotta le sopracciglia, perplesso. «Simò» cantilena «Ma te pare il momento?».
«Sì».
«Come sì» sbuffa. Si tira su, liberandolo dalla dolce prigionia dove l'ha rinchiuso. Torna a sedersi sui cuscini, con le gambe incrociate, passandosi le dita tra i capelli, cercando di renderli più decenti. Simone lo segue e imita quasi di riflesso. «Quindi?» insiste.
«Quindi che?» Manuel sbotta. Allunga un braccio, per recuperare dal cartone posto sul tavolino di vetro, uno spicchio di pizza wurstel e patatine ormai fredda; ne prende un morso e torna a porre l'attenzione al film che scorre alla tv.
«Perché me l'hai tolta» Simone tenta ancora.
«E che palle, Simò!» è la replica, esasperata. «Manco me ricordo de averlo fatto».
«Beh, lo hai fatto».
Manuel è evidentemente infastidito. La fetta di pizza è a metà quando la lancia nuovamente dentro al cartone. «Seh, pure se l'ho fatto» esclama «Che problema ce sta?».
«Che sembra che io ho fatto chissà cosa».
«Ripeto, e quindi?».
«Boh, è che pensavo...».
Scatta in piedi, allargando le braccia in maniera esasperata. «Oh, Simò, con 'sta predica, eh» quasi urla. «Te l'ho detto mille volte, i fidanzatini in giro no».
Per quell'affermazione, Simone nemmeno ci rimane male: l'ha già sentita prima - più volte, in realtà. Quindi si stringe nelle spalle e abbassa lo sguardo. «Lo so» mormora.
«Ecco, visto che lo sai, non vedo perché tornarce ancora sopra, a parlà. L'avemo già chiarita 'sta questione, no?».
Il tono di voce di Manuel si alza ulteriormente.
A quel punto, Simone si sforza di osservare il suo volto e incrocia il suo sguardo tagliente. Capisce che quella conversazione non può andare avanti, non in quel modo.
Così rimangono entrambi in silenzio, a fissarsi e basta, in uno stallo atroce riempito dalle finte risate del film che ancora scorre alla tv.
Manuel ha addirittura il fiatone. Scuote il capo e si passa nervoso una mano sul viso. Lancia un'occhiata agli avanzi di pizza nei cartoni sul tavolino.
Non ha voglia di discutere, per davvero, soprattutto su argomenti che gli paiono chiari.
Più o meno.
«Me ne vado di sopra, se ti interessa» annuncia e, prima che una replica possa sopraggiungere, è già sparito su per le scale che un briciolo scricchiolano sotto al suo peso.
Quel se ti interessa, Simone lo sa a che si riferisce: al chiudersi in una stanza, come sempre. Una parte di lui vorrebbe seguirlo, lasciar cadere quel principio di litigio velato.
Ma per una volta sceglie di fare un briciolo l'orgoglioso e non cedere come accade sempre, perciò rimane immobile, seduto sul divano.
Serra la mandibola, cerca di concentrarsi su quella pellicola comica che, in realtà, trova assurda e davvero poco divertente - al limite del... Come si dice? Cringe? Sì, una cosa del genere.
Si deve distrarre. Quindi recupera il proprio telefono, che è finito sotto uno dei cartoni di pizza, ragion per cui lo schermo risulta un po' unto; lo sfrega sulla maglietta nel vano tentativo di ripulirlo.
andrea_mainardi
2 nuovi messaggi
Una nuova notifica.
Stavolta la apre.
Sono due messaggi inviati a mezz'ora di distanza.
andrea_mainardi
Carina la foto :)
Ma ti dispiace se ti ho aggiunto?
Simone corruccia le labbra in una smorfia.
Carina la foto, quale? Quella del gatto?, pensa.
Non se lo spiega, così evita di commentare la prima parte del messaggio. Piuttosto, digita sulla tastiera touchscreen.
simobale
No, figurati. Lo hanno fatto in tanti per motivi a me ignoti.
Non fa manco in tempo a scrivere, che la risposta già arriva.
andrea_mainardi
Ah dai..... non credo siano così ignoti ;)
simobale
In che senso?
Quell'ultimo messaggio viene soltanto visualizzato, senza alcuna risposta.
Che Simone la risposta la vorrebbe pure, dato che è arrivato a cinquanta follower e la cosa lo stranisce e non poco.
Attende addirittura una nuova notifica, la quale, purtroppo, non arriva. Così sbuffa, lancia il telefono sul cuscino del divano.
Il film comico è finito, ne è iniziato uno horror. Quel genere lo preferisce.
Lancia un'occhiata alla scala di legno che porta al piano superiore.
Col cazzo che salgo, si dice mentalmente - però freme dalla voglia di salire in camera, di chiudere la porta a chiave e di concedersi a Manuel ancora una volta.
Non lo fa.
Cerca di resistere.
Per quella sera, almeno.
**
Andare in sella allo stesso motorino con Manuel, il giorno dopo, per Simone è arduo. Vorrebbe chiedere un passaggio al padre, ma quella mattina non ha lezione, quindi o insieme a lui o a piedi.
Di mezzo è rimasto loro solo quello e la macchina non possono usarla.
Per tutto il tragitto, cerca di non appoggiarsi mai a lui, di tenersi in altro modo perché proprio non gliela vuole dare vinta in alcun modo.
Manuel capisce le sue intenzioni e lascia correre. Nemmeno lo aspetta per entrare nell'edificio scolastico una volta arrivati, difatti. Tanto lo sa che, quando discutono, l'altro tiene il broncio per due giorni, poi lo perdona come se niente sia mai successo. Deve solo attendere tal momento.
Simone è fermo nel parcheggio dei motorini. In maniera distratta, tira fuori il cellulare dalla tasca anteriore dei jeans scuri che indossa, solo per guardare l'ora: è abbastanza presto, in realtà, quindi ha ancora almeno dieci minuti prima dell'inizio delle lezioni. È una delle ragioni che lo spinge a recarsi al piccolo chiosco davanti alla scuola, piuttosto affollato la mattina poiché in molti fanno colazione direttamente lì invece che a casa.
Giunto al bancone di legno, chiede un caffè - che tanto, nervoso per nervoso, male non può fargli.
Poco prima, comunque, nota pure che ha due nuove notifiche su Instagram: altri follower e un messaggio da parte di Andrea.
Non apre nessuna delle due.
Simone consuma il proprio caffè, buttandolo giù in un sorso e rischiando di ustionarsi la lingua. Lo fa addebitare sul conto del padre - come fa spesso - e dopo si dirige in classe.
Le prime due ore di lezione - di matematica - passano veloci. Perlomeno per Simone che, amando la materia, la segue addirittura con piacere. Non può sicuramente dire la stessa cosa per Manuel che trascorre il tempo a roteare gli occhi e sbuffare poiché tutti quei numeri mischiati alle lettere che appaiono sulla lavagna lo mandano in confusione.
E la prossima verifica te la fai da solo, pensa Simone, allora.
Lo evita persino all'intervallo.
Okay che quella discussione sicuramente ricadrà in poco tempo, ma perlomeno un briciolo può fargliela pagare.
Comunque, presuppone che il volere evitarsi sia reciproco, poiché Manuel, durante la ricreazione, rimane seduto al banco e non si muove.
Simone lo osserva in maniera distratta, mentre abbandona l'aula e, lentamente, raggiunge il distributore del caffè. Deve attendere che si servano due persone prima di poterne fare uso. Poi seleziona un caffè macchiato con tre palline di zucchero.
«Non mi hai più risposto». La voce di Andrea lo fa sobbalzare. Se lo ritrova accanto, con un avambraccio appoggiato al macchina delle bevande calde.
Simone prende un respiro profondo. «Mi sono addormentato e non ho più guardato» taglia corto.
«No, beh, intendevo stamattina» puntualizza l'altro ragazzo. «Io t'ho risposto alle due di notte, immaginavo dormissi».
«Eh, già». Simone strabuzza gli occhi, frattanto che recupera il bicchiere biodegradabile col caffè macchiato prescelto. Rigira la bevanda con uno stecchino dello stesso materiale e muove qualche passo distratto nel corridoio – e il nuovo compagno di classe lo segue quasi come un'ombra.
Non dice nulla, in realtà, spera che il dialogo si concluda in tal modo.
Ovviamente non lo fa e dunque «Ma sicuro che non t'ha dato fastidio che t'ho seguito?». Andrea glielo chiede, parandosi davanti a lui, così da interrompere il suo cammino.
Simone cerca di buttare giù un sorso di caffè – sa di bruciato, tra parentesi. «No» borbotta, scrollando le spalle «Cioè – lo ha fatto un sacco di altra gente, te l'ho detto». Fa una breve pausa, scuotendo il capo. «Tu – sembri solo più stalker, dato che manco ci conosciamo».
«Beh, il nome me lo hai detto tu. Io l'ho solo messo nella barra di ricerca».
«Per essere uno stalker, si comincia così».
Andrea accenna una risata e infila le mani nelle tasche anteriori dei pantaloni. Un ciuffo di capelli ricci e scuri gli ricade sulla fronte. «Abbiamo letteralmente parlato per cinque minuti» fa notare «Queste sono accuse pesanti».
«Non intendevo che...».
Ride. Un briciolo lo sta prendendo in giro. «Sì, lo so che intendevi, tranquillo» lo rassicura. Lancia un'occhiata attorno: nel corridoio, tutte le ragazze della classe – e non – gli puntano lo sguardo addosso. Rotea gli occhi, esasperato. Poi torna a rivolgere l'attenzione al ragazzo che gli sta di fronte.
«Non sono uno stalker» attesta «Sono uno che si è appena trasferito a Roma, che è ripetente e non conosce nessuno. E tu hai una faccia molto simpatica».
A Simone scappa una risata. «Nessuno pensa che ho una faccia simpatica».
«Ce l'hai. Il problema è quando inizi a parlare».
Ecco, la risata si smorza appena davanti ad una simile affermazione.
Andrea gli sorride. «Ma su quello puoi lavorarci, eh!» esclama «Basta che non accusi la gente di essere uno stalker a caso».
Simone lascia perdere, è meglio. Fa cenno di no con la testa e butta giù l'ultima goccia di caffè.
«Quindi – che dici?» gli viene chiesto.
«Dico che?».
«Amici?».
Lo fissa per un attimo, perplesso. Amici? Non è che lo ispiri tanto la cosa, anche perché non ha amici, non per davvero. Sì, ci sono i compagni di classe con cui trascorre del tempo e va alle feste, quelli di rugby con i quali è uscito qualche volta a bere qualcosa, ma di amici veri non ne ha.
Il che, da un lato, è piuttosto triste. Questo lo sa.
«Perché?» gli viene spontaneo chiedere, allora.
Andrea è persino confuso. «Perché – cosa?».
«Perché vuoi essere amico mio».
«Te l'ho detto, hai una faccia simpatica».
Simone non è troppo convinto: quel tipo lo trova alquanto strano, tuttavia «Vabbé» dice, mentre getta il bicchiere ormai vuoto nel cestino di plastica rigida apposito. «Se ci tieni tanto».
Un sorriso soddisfatto compare sul volto di Andrea. «Allora stasera usciamo» esclama.
«Eh?».
«Beh, io di Roma non conosco niente» spiega, con ovvietà «E mi hanno detto che la sera è piena di bei locali, in quella zona là - Trastevere?».
«Boh, sì, uhm - ce ne sono parecchi lì».
«Allora possiamo andarci».
A Simone non va per niente di andarci. In linea di massima, manco gli dispiacerebbe una serata fuori, solo che non è molto dell'umore. Lancia un'occhiata dentro alla 5^B: dal punto in cui sono, riesce a scorgere il primo banco dove Manuel è rimasto; lo vede a trafficare col telefono che ha in mano. Focalizza la propria attenzione su di lui per un breve istante, dopo sbatte rapido le palpebre.
Okay, pensa, forse distrarsi per una sera non gli farebbe troppo male.
«Va bene» afferma, allora «Provo a chiedere pure agli altri se vogliono venire». Gli altri, con molta probabilità, sono Matteo e Giulio, i due con cui scambia più di mezza parola in classe.
Andrea si lascia sfuggire una risata. «Ah, quindi proprio non ti va di rimanere solo con me» appunta.
Simone non comprende e si ritrova a corrugare la fronte. «È solo perché loro conoscono più posti di me» si giustifica «Io non esco molto». Quella non è davvero una bugia: vive a Roma da tutta una vita, eppure conosce pochi posti; a volte pare lui il turista nella propria città.
E poi sì, ritiene ancora che quel tipo di Brescia sia un po' uno stalker, quindi sempre meglio essere in compagnia.
D'altra parte, Andrea pare credere a quella velata verità, per cui scrolla le spalle e alza le mani, in cenno di resa. «Come vuoi» commenta «Per me è indifferente. Più siamo, meglio è, no?». Compie mezzo giro su sé stesso, per potersi indirizzare verso la porta dell'aula e potervi rientrare. «Poi ci mettiamo d'accordo sull'ora» aggiunge. Sta per varcare la soglia della classe, ma si ferma prima. «Ah, Simone?» lo richiama.
«Mh-m?».
«Metticela una tua foto su Instagram».
**
Simone è fermo davanti allo specchio a figura intera di camera propria. Lo ha comprato da poco, sistemato in un angolo con l'aiuto di un piedistallo al di dietro: è di forma rettangolare, lungo e i bordi sono grigio scuro.
Si sistema la maglietta bianca che ha scelto per quella sera – nessuna camicia, stranamente – solo un indumento a manica lunga che gli calza perfettamente. Tanto terrà la giacca per la maggior parte del tempo.
Pizzica appena i capelli con la punta delle dita, a sistemare i ricci scuri che, stranamente, non fuggono in ogni dove. Distratto, tocca il cerchietto di metallo che ha iniziato a portare all'orecchio sinistro. Non ha mai pensato di bucarsi i lobi in precedenza; in realtà è capitato dopo un discorso assurdo di Manuel fatto mentre fumavano erba in una notte d'estate - in sostanza, l'altro gli ha detto che sarebbe stato bene con l'orecchino, che gli avrebbe dato un'aria da duro e quindi chi è lui per rifiutarsi, se a Manuel quello piace.
«Esci?».
Di voltarsi non ne ha bisogno. Nonostante tenga lo sguardo puntato sul proprio riflesso, la sente la presenza di Manuel nella stanza; difatti, l'altro ragazzo ha appena varcato la soglia della porta, lo scorge con la coda dell'occhio.
«Seh» replica e si lascia andare ad un sospiro. Abbassa e alza gli occhi un paio di volte e soltanto allora si gira: Manuel ce l'ha di fronte adesso, a meno di un passo di distanza. «Vuoi venire?».
Ecco, bravo, ma mica ce l'avevi con lui fino a due secondi fa?
La propria coscienza lo rimbecca e c'ha pure ragione.
Finisce per mordersi forte il labbro inferiore.
Manuel si lascia scappare una risata. «Ma come» esclama «Nun me parli da tutto il giorno e mò me chiedi uscì?».
Simone scrolla spalle, con finta indifferenza. «Boh, ci sono anche gli altri» borbotta «Te l'ho detto solo per quello».
«Chi ce sta?».
«Matteo, Giulio e – uhm, Andrea».
«Andrea, er pischello borghese?».
«Quanti Andrea conosci?».
Manuel rotea gli occhi e posa le mani sui fianchi - che quell'Andrea manco lo conosce e non vuole conoscerlo. Gli sta sul cazzo, è evidente, no?
«Seh, me sà che passo» commenta.
Simone nemmeno si sorprende di una simile risposta; non ha avuto dubbi dal momento in cui l'ha posta. «Okay» dice «Siamo verso Trastevere, se cambi idea».
«Non cambio idea».
Certo che non cambia idea. Questo lo sa benissimo, che Manuel non cambia mai idea, che è testardo, cocciuto – e pure stronzo, a tratti, ma questo è un discorso differente.
Lo sa nelle discussioni che hanno, di come tenta di convincerlo di qualcosa con risultati nulli, pure nelle cose più stupide. Con lui non l'ha mai vinta.
Distratto da tali idee che gli frullano nella testa, Simone si accorge a stento che Manuel gli si è avvicinato ancor di più. Adesso, è solo qualche centimetro che separa i loro volti; è così vicino da percepire il suo respiro sfiorargli le guance. Il che è strano, buffo, poiché la porta è aperta e sia Dante che Anita sono in casa.
Sia Dante che Anita sono in casa.
Sì, ma ciò non gli importa in quell'istante. A Simone non frega assolutamente niente: fissa le labbra di Manuel – vicine, vicinissime – che sono appena screpolate al centro, appena schiuse.
Così si sporge verso di lui, vuole baciarlo, ora, subito.
Manuel ride e lo scansa, tirandosi indietro dapprima col busto, poi compiendo mezzo passo. «Te piacerebbe» lo schernisce.
Simone si maledice da solo – che potrebbe anche provarci a fare il sostenuto per più di ventiquattro ore, invece è soltanto un imbecille. «Stronzo» biascica, scuotendo il capo.
Manuel è indietreggiato quel che basta per tornare ad essere sulla soglia della porta. Batte due dita sullo stipite. Un sorriso beffardo gli si dipinge sul volto.
«Oh, non te divertì troppo» è l'ultima cosa che dice, per poi sparire nel buio del corridoio.
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