Mister Frog
«Quindi ce l'hai fatta a mette la faccetta tua su Instagram».
Manuel esclama tale frase quando è fermo sulla soglia della porta della camera di Simone. Quest'ultimo è seduto a gambe incrociate sul letto, sopra le lenzuola sgualcite color beige e una coperta di pile a scacchi nera e rossa.
È tardo pomeriggio, quasi sera, e gli ultimi raggi solari filtrano dalla porta-finestra e illuminano parzialmente l'intero ambiente.
Alza il capo, per notare il compagno compiere qualche passo distratto verso di sé; lo vede con in una mano un contenitore bianco – immagina sia polistirolo o materiale affine – dalla forma quadrata e una bottiglia di vetro contenente ketchup nell'altra.
Scuote il capo e sa a che si riferisce, senza stare a specificare: alla foto che ha pubblicato sul proprio profilo la notte precedente.
È uno scatto normalissimo, di lui davanti ad uno specchio nel bagno di un locale; davvero nulla di che - e la faccia neppure si vede tanto.
«Mi rompevano tutti» borbotta e scrolla le spalle.
Con tutti intende di sicuro Luna che lo tartassa da giorni per messaggio e Andrea che ha passato tutta la serata precedente insieme a Matteo e Giulio a convincerlo a pubblicare il primo post su Instagram; il ragazzo nuovo di Brescia, tra parentesi, lo ha pure aiutato a scegliere la foto più adatta, in una lunga e accurata selezione durata un'ora e mezza.
Un po' una congiura dal proprio punto di vista, eh.
«Quello che è?» svia il discorso sull'oggetto che l'altro tiene in bilico sulle dita.
Ormai Manuel è arrivato accanto al letto. Prende posto sul materasso, accanto a lui, appoggia la schiena alla spalliera rigida e allunga le gambe. «Un'offerta di pace» attesta «Anche se dovresti farla tu a me, ma vabbè».
«Perché io a te?».
«Beh, pe' ieri sera».
«Guarda che t'ho chiesto di venire, eh».
«Co' li altri e er pischello novo?».
«Eh, sì».
Ma manco morto, pensa. Rotea gli occhi. Sì, glielo ha chiesto, ma non è quello il punto. È uno differente, però non sta a spiegarglielo - anche perché sarebbe persino difficile spiegarlo a sé stesso, quindi molto meglio lasciar perdere.
Apre il contenitore che ha posizionato sulle cosce, scoprendo delle patatine fritte tagliate a forma di bastoncino. «Allora?» dice «Offerta accettata?».
Simone sbuffa. Non che sia davvero scocciato – soprattutto dalla sua presenza, anzi, tutt'altro; dovrebbe pure essere ancora offeso, fare il sostenuto e...
Ma chi vuole prendere in giro?
Fa cenno di no con la testa, un briciolo esasperato, ed imita la posizione dell'altro ragazzo. Allunga una mano e raccatta una patatina, mettendola in bocca. Quello è sufficiente come risposta, immagina.
«Sì, ma mica le devi mangiare così» fa notare Manuel. Solleva la bottiglia di salsa che regge ancora e «Ce devi mette questo» aggiunge. Simone corruccia le labbra in una smorfia. «No, non mi piace» ribatte.
«N'che senso non te piace er ketchup?».
«È acido».
«Ma sarai acido te». Manuel ci tiene a puntualizzare quell'aspetto. Nel frattempo, agita il contenitore del ketchup per un paio di secondi, per poi aprirlo e versare sopra la pietanza della salsa in maniera abbondante.
Simone aggrotta le sopracciglia, perplesso. «Mò te le mangi te» è il proprio commento, lo stesso che manco viene recepito, poiché l'altro ragazzo prende tra due dita uno di quei bastoncini conditi e glielo porge, con tanto di «Prova».
«Non provo, t'ho detto che non mi piace».
«E daje».
«T'ho detto no».
Manuel si finge quasi offeso – non lo è davvero. Tuttavia, ne approfitta per portare la stessa patatina che regge in mano verso la bocca; ne prende un pezzo, stringendola tra i denti e la mantiene lì in equilibrio. «Prova» ribadisce, biascicando.
Simone non crede sia possibile andare a fuoco per l'imbarazzo, mescolato a gioia ed eccitazione, ma è più o meno ciò che gli accade in tal momento – per quanto assurda sia la situazione, per quanto l'altro lo stia provocando e stia facendo... Beh, lo stronzo.
Un briciolo cerca di resistere, pure per dignità.
Ma quale dignità, di grazia.
Si ritrova a fissare le sue labbra nel giro di mezzo secondo, ad avere il cuore che gli martella nel petto e avere, soprattutto, caldo. Che poi, vanno a letto e fanno sesso da un anno, dovrebbe essersi abituato a certe cose, dovrebbe essere più calmo, invece ogni volta è peggio di quella prima.
Forse è più bella.
Molto probabilmente è più bella.
E dolorosa.
Ma bella.
Che a lui, con Manuel, pare sempre di fare l'amore, non sesso. Perlomeno, questo è ciò che vede e sente.
Non è una sorpresa, dunque, quando nella sua direzione si sporge appena, con una naturalezza disarmante. Sfiora la punta del suo naso con la propria, il respiro gli si fa più affannoso. Gli toglie la patatina di bocca, spezzandola a metà con gli incisivi, così che un pezzo gli rimanga ancora. Ma non ha iniziato a masticare nel momento in cui appoggia le labbra sulle sue, per un bacio dapprima lieve, dopo più avido e smanioso, che si mescola col sale delle patatine fritte e l'acidità del ketchup.
Dura poco, comunque.
È passato decisamente poco quando Manuel si distacca, come se nulla fosse, e riprende a mangiare in tranquillità.
Simone ha ancora gli occhi puntati sul suo profilo, sull'accenno lieve di barba che gli delinea la mandibola, sui capelli appena più corti poiché li ha tagliati da poco, sul naso con la punta che va un po' all'insù, sui cerchietti di metallo argentato che porta alle orecchie. E, d'abitudine, ne è sia incantato che estasiato.
Se poi la pianti di essere così, grazie, la propria coscienza lo rimbecca.
Sbatte rapidamente le palpebre e afferra di nuovo una patatina tra indice e pollice. Prima di portarla verso la bocca, tuttavia, in maniera accidentale - o forse no (sicuramente no) - va a sfiorare la guancia dell'altro ragazzo, sporcandola appena di rosso. Soltanto dopo la mangia, buttando giù tutto senza masticare troppo.
Come diretta reazione, Manuel strabuzza gli occhi e gli sfugge una leggera risata. «Oh, e mica se spreca così er cibo» borbotta, ma ha già due dita che vanno a intingersi nella salsa, che sono le stesse con cui macchia la pelle sotto al mento del compagno. Si contraddice da solo - che poi lo fa spesso - quando raccoglie ulteriore ketchup direttamente dalla quantità spropositata che ha messo sopra le patatine fredde e allo stesso modo va a segnare di rosso anche il suo zigomo.
Simone inclina il capo su di un lato e non sa cosa lo faccia rimanere così serio in quel momento: probabile il desiderio, o il fatto che Manuel lo stia fissando da davvero poca distanza, che stia sorridendo, che la porta è aperta - che in casa sono soli, ma va bene. È un miscuglio di sensazioni e di pensieri illogici, in realtà.
Sono quelli che, di solito, fanno crollare ogni sua barriera, gli fanno perdere ogni inibizione. Ed è ciò che accade.
Beh, l'essere offeso è durato poco più di ventiquattro ore, nuovo record: congratulazioni.
È con un gesto fluido che Simone va sporgersi appena nella direzione dell'altro ragazzo, ciò che è sufficiente per poter raggiungere con le labbra la sua guancia destra e leccare via in maniera estremamente lenta la traccia di ketchup che vi è sopra.
In un primo attimo, Manuel resta fermo: l'unica cosa che muove sono gli occhi, per osservare il volto dell'altro ancora immobile a pochi centimetri di distanza. «N'hai detto che non te piaceva il ketchup?» soffia. Poi un briciolo si volta, così da poter vedere Simone fissarlo con occhi spalancati, profondi, due pozze scure in cui troppo spesso desidererebbe affogare.
Manuel mette due dita sotto al suo mento, per fargli spostare leggermente la testa e allungarsi verso di lui per compiere quel medesimo atto, andando a rimuovere con la punta della lingua la traccia rossa di salsa sotto la mandibola e, in seguito, quella sullo zigomo.
Ecco, in quel momento, Simone pensa benissimo che potrebbe morire - perlomeno, sarebbe una bella morte quella col fiato di Manuel addosso, lo stesso che ora stringe piano le dita di una mano attorno al proprio collo, si sposta con la testa per poterlo baciare sulle labbra, ancora avidamente, con estrema passione e al contempo, se possibile, delicatezza.
Simone percepisce di nuovo l'aspro del ketchup in bocca, insieme alla sua lingua e ai granelli del sale che rapidi di sciolgono, mescolandosi alla saliva.
Sì, potrebbe decisamente morire in mezzo a tutto ciò.
Probabile sia questo estremo desiderio che lo conduce, con uno scatto, ad afferrare i capelli di Manuel dietro alla nuca, a tirarli con forza che manco pensa di possedere - e così, a strappargli un gemito profondo, che viene messo a tacere da un nuovo bacio.
A tal punto, è Manuel a muoversi - e il vassoio di patatine si rovescia clamorosamente sul letto, imbrattando le coperte, però a nessuno dei due importa per davvero.
Punta le ginocchia ai lati dei suoi fianchi; una mano va ad appoggiarsi contro la spalliera - laddove il compagno lo è ancora con la schiena - un po' anche per mantenere l'equilibrio, mentre l'altra va sul lato del suo collo, con un pollice che sfrega sulla sua mandibola.
Si baciano soltanto una volta, con Manuel che morde piano il labbro inferiore di Simone, prima che quest'ultimo si affretti a ribaltare la situazione. Difatti, afferra l'altro ragazzo per i fianchi, di nuovo con una forza e assenza di freni che non sa da dove provenga, e si ritrova sopra di lui, tra le lenzuola sgualcite, le patatine e il ketchup.
Si sbarazza della sua canotta da basket bianca con i bordi blu - che trova orribile, ma questo è un discorso differente - in maniera un briciolo goffa; quantomeno, non rischia di strappargliela via, come è accaduto a ruoli invertiti in più d'una occasione.
Manuel, a torso nudo, lo fissa di sottecchi, arrendevole, con le braccia portate verso l'alto e adagiate sul materasso - potrebbe muoversi e fare qualsiasi cosa con libertà, in verità, poiché l'altro ragazzo è semplicemente in ginocchio tra le proprie gambe appena divaricate. Ma non lo fa, mica vuole farlo.
Rimane immobile ed osserva Simone allungare un braccio per recuperare la bottiglia di vetro abbandonata sul comodino di legno verde menta e togliere il tappo.
Gli sfugge una risata, tra l'eccitazione e l'isterismo. «Non lo stai facendo davvero» commenta.
Le labbra di Simone si contorcono in un sorriso beffardo. «Sì, invece» attesta.
«Ma che stronzo».
Ora ride pure lui, frattanto che lascia colare la salsa densa; alcune gocce di essa finiscono dunque sul petto dell'altro ragazzo e sul suo addome.
Un briciolo, Manuel rabbrividisce - per motivi diversi, in realtà: per il freddo, poi per il caldo quando Simone, messa da parte la bottiglia - nuovamente sul comodino - si abbassa col busto, si piega.
Riesce a scorgere soltanto la sua testa, la chioma di capelli ricci che ondeggiano seguendo i suoi movimenti. Dopo, sente solo.
Percepisce il suo fiato e la sua lingua percorrergli la pelle, sia per portare via le tracce di ketchup e, in seguito, per segnare, uno alla volta, in maniera dolorosamente lenta, il contorno di ogni tatuaggio che gli costella il corpo.
Manuel cerca di sollevare il capo quando Simone si sofferma troppo in un unico punto, appena sotto lo sterno, sul disegno della farfalla che lì vi è impresso. Gli fa un po' il solletico, ma è piacevole e allora si ritrova a chiudere gli occhi per un istante, a sospirare sommessamente, mentre gli passa, con fare distratto, le dita tra i capelli e «Simò» gracchia.
Simone indugia per qualche istante prima di dargli retta: ha le labbra che si sono appena gonfiate, arrossate e sulla punta del naso e sulla parte interna della guancia destra è sporco di ketchup. «Che?» bofonchia.
«Ce lasci il segno se continui» commenta Manuel – il che non è manco un rimprovero, probabilmente l'esatto contrario. Difatti «Ti dispiace?» è la replica che sopraggiunge.
A quello non ribatte. Piuttosto lo richiama più su, spingendolo con i talloni, così da far collidere di nuovo le loro bocche. Che ad alta voce non lo ammetterebbe mai che no, no gli dispiace proprio per niente.
Cazzo.
Davvero per niente.
«Devi chiude la porta» borbotta, sebbene sia a stento percettibile nel mezzo di un bacio e dei loro respiri che si mescolano.
«Non c'è nessuno» rimbecca Simone, troppo impegnato in quel che sta facendo per anche solo pensare di interrompersi. Tuttavia, l'altro ragazzo sì che ci sta pensando.
Manuel posa una mano sul suo torace, che è ancora ricoperto dalla sottile t-shirt grigia. Tenta di spingerlo leggermente, per staccarlo e ribadire «La porta».
Per un attimo, Simone lo fissa, perplesso e aggrottando le sopracciglia. Davvero, non c'è nessuno in casa: Dante e Anita sono fuori e non torneranno prima delle dieci. Hanno tutto il tempo del mondo, in ogni senso possibile.
Eppure, incrociando il suo sguardo, capisce che l'altro non ha alcuna intenzione di andare oltre finché quella dannata porta non è chiusa a chiave. Vorrebbe farglielo presente, di nuovo, che non occorre, ma probabilmente sarebbe una discussione inutile e senza senso.
Per cui, alla fine, sbuffa e controvoglia si alza. Trascina i piedi ricoperti soltanto da un sottile calzino di cotone sulle mattonelle e va a chiuderla, la porta – per quanto stupido si senta a farlo.
Quando si volta, rimane immobile per mezzo secondo, allargando le braccia con fare plateale. «A posto così?» esclama, mentre già procede nuovamente verso il letto.
Si ferma a pochi millimetri di distanza, per notare Manuel che si è inginocchiato sul materasso. Quest'ultimo, afferra la sua maglietta dal bordo inferiore e lo tira verso di sé. «A posto» afferma, prima di assalire le sue labbra.
Simone è scombussolato dalla ritrovata frenesia, che è la medesima con cui il compagno la t-shirt rischia di strappargliela via – uno strappo secco gli arriva addirittura alle orecchie, presume sia una cucitura che ha ceduto – oppure con cui gli slaccia la cintura e tenta di sbarazzarsi il più velocemente possibile dei jeans che ha addosso.
Quei movimenti sconclusionati, alla fine, gli lasciano perennemente dei segni sulla pelle – a volte graffi, a volte addirittura lividi; non è qualcosa fatto di proposito, come ovvio, ma apprezzerebbe le cose fatte con più calma.
Sono rare, se non uniche, quelle volte.
Sono le occasioni nelle quali è Simone ad avere più il controllo della situazione, però è pure la stessa persona che fatica a prenderlo, a meno che non sia direttamente Manuel a concederglielo.
Quella volta, tuttavia, Simone cerca di impuntarsi e di usarla la calma, la lentezza.
Lo fa quando Manuel quasi affonda le unghie nel proprio petto e, per evitare che ciò accada, gli afferra entrambi i polsi, in modo lieve e lento glieli sposta. Non gli offre il tempo di una possibile reazione che ha già racchiuso il suo volto tra le dita, per baciarlo sulla bocca con dolcezza, succhiando il suo labbro inferiore e poi mordicchiandolo appena.
Manuel è sempre spiazzato dalla cura con cui Simone lo tratta: come qualcosa di prezioso, fragile e la cosa lo fa sentire estremamente vulnerabile. Forse fin troppo. Perché, adesso, il controllo non glielo ha concesso, eppure l'altro ragazzo se lo sta prendendo e non ha intenzione di combatterlo.
Così lo lascia fare.
Scende dal materasso soltanto per permettergli di farsi spogliare e resta semplicemente immobile quando Simone gli abbassa i pantaloni della tuta, in seguito i boxer e abbandona entrambi gli indumenti sul pavimento. Non compie alcun movimento. Non che sia arrendevole – non lo è mai – è soltanto...
Di nuovo, è soltanto vulnerabile, per quel breve e intenso attimo.
E pure dopo.
Dopo con loro due stesi nel letto, tra le lenzuola ancora sporche di ketchup, entrambi su di un fianco, con le gambe intrecciate.
Da una simile posizione, Manuel non riesce a vedere il suo volto, ma percepisce il suo respiro caldo infrangersi sulla nuca, tra le corte ciocche di capelli, già bagnate dal sudore. Riesce ad appoggiare la testa sul braccio disteso dell'altro.
«Manuel?» si sente richiamare.
«Che?».
«Stai bene?».
Gli scappa una risata, un briciolo isterica. Percepisce la punta delle sue dita solleticargli di già la parte bassa della schiena, insieme alla sua esitazione e quella velata richiesta di permesso. «Seh» replica. «Te vuoi muovere?».
«No, chiedevo se...».
«Se non te movi, cambio idea e te giri te». È un'affermazione piuttosto secca quella che gli esce di bocca, dettata dall'impazienza, intrisa di incertezza – quel che gli succede spesso, in realtà.
Chiude gli occhi. Le narici gli vengono invase da un forte odore di pesca – perché il lubrificante alla ciliegia gli fa schifo, quindi è letteralmente partito in quarta per trovarne uno di proprio gusto.
I gesti di Simone sono delicati e attenti: gli si insinua dentro con anulare e medio con leggera esitazione, non incontrando alcun attrito grazie al lubrificante – ne usa forse troppo, ma fa niente. Manuel non glielo fa notare quel particolare, che ne spreca un sacco: va bene in quel modo, non gli fa male. Cerca di regolarizzare il proprio respiro, mantenendo le palpebre abbassate. Le labbra dell'altro ragazzo gli baciano la spalla, poi un lato del collo e dietro all'orecchio.
Simone piega il braccio sinistro, lo stesso che ha mantenuto disteso fino a quel momento. Lo fa per attirare Manuel di più a sé e far aderire il proprio petto alla sua schiena. È a quel punto che osa inserire anche il dito indice e a spingere un po' più a fondo.
Manuel un briciolo sobbalza e si morde il labbro inferiore. Soffoca uno stentato gemito premendo la bocca sul suo braccio.
Riapre gli occhi solo ora. Gli vorrebbe dire che va bene così, che può finirla con quella preparazione che sta durando più del previsto, ma di fatto gli sta piacendo, per cui sta zitto.
«Tutto okay?» la domanda sopraggiunge nuovamente. Così rotea gli occhi e «Se me lo chiedi ancora» gracchia «Giuro che ti - ammazzo».
Sì, non deve parlare più. Simone lo capisce, alla fine. Quindi non emette più suono, si limita ad agire, sebbene sia lento e ha a che fare con una persona decisamente impaziente - se ne accorge quando sta cercando di aprire l'involucro quadrato di plastica del preservativo e non ci riesce subito, allora Manuel glielo strappa dalle mani, rompe la confezione con l'aiuto dei denti e gli passa il profilattico già srotolato.
Okay, forse il fare le cose con calma non funziona più.
Simone raccatta l'oggetto in lattice con un briciolo di titubanza, dettata dalla ritrovata frenesia; lo infila sulla propria erezione, che deve massaggiare leggermente con le dita al fine di renderla più piena.
Manuel serra la mandibola, torna a far calare le palpebre per attendere il momento in cui, qualche secondo dopo, Simone gli entra dentro con una lieve spinta. I movimenti di quest'ultimo col bacino sono lenti, regolari, affondi docili.
Che è un po' come è lui nella vita in generale, del resto.
Manuel sente la sua mano appoggiarsi sul proprio fianco, per accompagnare ogni spinta assestata. Solleva di qualche centimetro la gamba destra, giusto per concedergli più spazio, mentre riceve nuovi baci sulla spalla, sul collo; mentre ancora nelle orecchie gli arriva un sussurrato «Va bene?» e Dio, vorrebbe sul serio ucciderlo.
Però non lo fa. Piuttosto annuisce e «Va bene se stai zitto, Simó» ansima e trattiene un gemito.
A tal punto, Simone si limita ad annuire. Continua con quelle spinte che si fanno un briciolo meno armoniose poiché la sensazione di piacere lo sta assalendo pian piano, provocandogli una fitta nel basso ventre. Gli viene istintivo, poi, spostare la mano dal suo fianco e allungarla per andare a masturbarlo piano, con un tocco lento che va di pari passo agli affondi che sta compiendo - come se l'orgasmo dovesse per forza coinvolgere entrambi nello stesso momento.
Il che è quel che accade.
Manuel si lascia scappare un urlo strozzato e un briciolo si maledice pure poiché quello rumoroso, tra i due, non è lui.
Il medesimo urlo, Simone lo soffoca premendo le labbra sulla spalla dell'altro ragazzo. Non si sposta subito, quando il piacere comincia a scemare: rimane fermo, ancora dentro di lui, ancora con la sua erezione che va ad affievolirsi tra le proprie dita.
C'è un momento di stallo, in seguito, durante il quale l'unico rumore presente nella stanza, con la porta chiusa a chiave, è quello dei loro respiri affannati, del battito del loro cuore accelerato.
Il primo a muoversi, pur nolente, è Simone: tira indietro il bacino, quel che è sufficiente a sfilare il profilattico, pizzicarlo con due dita e gettarlo a terra con fare distratto - probabilmente si pentirà di tal gesto, in seguito.
Manuel, invece, rimane immobile. Apre e chiude gli occhi più volte, mentre cerca di regolarizzare il proprio respiro, ancora con un braccio dell'altro ragazzo che lo tiene stretto a sé. Il sudore gli ha fatto appiccicare i capelli alla fronte.
Inspira a fondo, riempiendo i polmoni d'aria e «Allora» esordisce, con voce rauca «L'offerta di pace è servita».
Tale frase giunge alle orecchie di Simone con leggero ritardo. Scuote il capo e gli leva il braccio - che un briciolo ha iniziato a formicolargli - da sotto la testa appositamente in malo modo. «Fanculo» esclama e gli scappa una risata.
È l'unico gesto che compie, poi non si sposta. Rimane steso sul materasso, nudo e in posizione supina, senza un cuscino a reggergli il capo.
«Guarda che in 'sti casi si ringrazia, eh» Manuel lo schernisce. Si trova al suo fianco, nella medesima posizione.
Un sorriso si delinea sulle labbra di Simone che, invece di offendersi o rimanerci male, mette due dita sotto al suo mento soltanto per farlo voltare verso di sé. Deve protendere la testa in avanti per poterlo baciare sulle labbra, in maniera fugace.
Anche in quel frammento di tempo, Manuel gli appare bellissimo, con la fronte imperlata di sudore, con gli occhi leggermente lucidi e le gote arrossate.
Ti ricordi che cos'è?
Una voce gli rimbomba nel cervello. Sì, se lo ricorda.
Eppure...
«Vuoi restare?» mormora, con un fil di voce. «Adesso - dopo. A dormire» soffoca, si sente stupido. «Tanto la porta è chiusa».
Che stupido.
Però Manuel annuisce - sta annuendo. «Però non te ce abituà» attesta.
Simone pensa persino di esserselo immaginato e sbatte ripetutamente le palpebre per rendersene conto. Ma no, è vero. Quindi sorride - che stupido per davvero, però - e vorrebbe baciarlo di nuovo allora, sta per farlo.
Tuttavia, Manuel interrompe il loro contatto visivo. Distoglie lo sguardo per tirarsi su e sedersi sul materasso. Si tira addosso il lenzuolo per coprirsi dai fianchi in giù - Simone può soltanto imitarlo.
«Ma che só quelle robe?» è la domanda che pone dopo. Con un cenno del capo, indica un ripiano della libreria di legno bianca posta a ridosso della parete diametralmente opposta al letto – il secondo a partire dall'alto; al di sopra di esso, spuntano una serie di figure di pezza - pupazzi, per usare termini specifici - dalla più svariata forma d'animale, tutti piccoli, un paio di centimetri l'uno, presume siano portachiavi o affini. Ne conta quindici, forse venti, e intravede quello raffigurante una giraffa, un cane, un gatto e un ippopotamo.
Simone ci impiega qualche secondo a realizzare di che sta parlando - anche perché è un diversivo, un appiglio per cambiare argomento, lo sa bene. «Pupazzi» spiega «Non si nota?».
Manuel ride. «Tra poco c'hai vent'anni» dice «Che ce fai coi pupazzetti?».
«Sono belli» si difende Simone «Poi ne ho un sacco, li colleziono da quando ero piccolo».
«Li collezioni, addirittura».
«Sì, che c'è di male?» insiste «Alcuni di loro hanno pure un nome».
«Peggio me sento». Manuel si passa una mano sul viso, divertito. «E quali sarebbero 'sti nomi?».
«Beh, c'è quello a forma di scimmietta che si chiama Miss Monkey».
«La fantasia prima de tutto».
A quel punto, anche Simone ride perché «E quello a forma di gatto, Mister Cat».
«Giura, Simó».
Gli tira un lieve colpo col pugno chiuso, sul braccio. Piega appena il capo su di un lato, attendendo che il compagno si volti nella propria direzione e che i loro sguardi si incontrino di nuovo - accade esattamente dodici secondi dopo, li conta. «Ne avevo pure uno a forma di rana» confessa.
«Mister Frog, immagino».
«Ovviamente» conferma «Però un giorno me lo sono portato a scuola e l'ho perso».
«Oh, no» Manuel lo prende in giro, fingendo un broncio, il che gli costa un ulteriore colpo sul braccio, nel medesimo punto.
«Non sfottermi» Simone lo rimprovera - ma sta ridendo, in realtà, tutti e due lo stanno facendo. «È una passione, scusa» dice ancora «Ne avrai una anche tu».
Manuel finge di ragionarci per mezzo secondo e «Non penso» taglia corto.
Da un lato, Simone se l'aspetta persino una simile risposta - perché lo sa quanto l'altro non sia in grado di scorgere le potenzialità che possiede e a volte pensa che dovrebbe vedersi con i propri occhi per capirlo.
Vedrebbe molte cose, in quel caso.
Ma la smetti?
«Dai, non c'è manco qualcosa che ti piace fare?» prova ad insistere. «Una di sicuro sono i motori, no? Sei bravo in quello».
Manuel scrolla le spalle. Butta indietro il capo e prende a fissare il soffitto. «Quello è per farci i soldi» borbotta «Mica perché me piace».
«E allora che ti piace?».
Ci deve rimuginare ancora, per poi esordire con «Boh, me piace suonà er piano».
«Il piano? Pianoforte?».
«Eh, er pianoforte, che cazzo devo suonà, Simó».
«Ma da quando?».
«Oh, tu m'hai chiesto che me piace fà» borbotta e incrocia le braccia al petto. Forse in quell'istante si sente persino più vulnerabile rispetto a prima - non saprebbe spiegarne il motivo, magari mettere a nudo una parte della propria anima attraverso l'arte è peggio di togliersi i vestiti, il che lo rende nervoso. Sbuffa. «Ho preso qualche lezione da ragazzino» - come se adesso fosse grande, okay, dettagli - «In primo superiore, circa. Poi ho smesso perché mi' madre non c'aveva soldi pe' continuà. Però me ricordo che me piaceva».
Simone lo fissa per un breve attimo, mordendosi piano il labbro inferiore. Abbassa il capo e lascia un bacio rapido sulla sua spalla, in maniera del tutto spontanea. «Non me lo hai mai detto» mormora - e chissà quanto altro, non gli ha detto. Che pensa che Manuel sia come un libro in fase di scrittura, con nuovi colpi di scena da scoprire parola dopo parola e lui è lì che cerca di incastrarsi tra quei capitoli.
«Non è così rilevante».
«Lo è. È una cosa bella».
Manuel volta il capo soltanto ora, trovando su di sé i due occhi grandi e sgranati dell'altro ragazzo. Suo malgrado, si ritrova a deglutire rumorosamente. «Sta diventando sentimentale come cosa» borbotta «Facciamo anche basta, mh? Se no piglio e me ne vado che me sento soffocà».
«Okay, non dico più niente» conclude Simone - che vorrebbe domandargli dell'altro, persino cosa effettivamente sa suonare, ma desiste.
Va bene così, almeno per quella volta.
Quella volta in cui Manuel resta.
**
«Che ce l'hai er cornetto al pistacchio?» Manuel pone quella domanda alla ragazza dai capelli corvini raccolti in una coda alta che, quel giorno, è dietro al bancone del chiosco davanti al liceo Da Vinci. Ha una targhetta col nome che le spunta sul petto, si chiama Ludovica - la legge in maniera distratta.
«No, se vuoi ce l'ho alla crema» è la risposta che viene fornita.
«E vabbè, dammelo alla crema» sbuffa, non molto felice di tale scelta - perché il cornetto va rigorosamente al pistacchio oppure al cioccolato, non accetta gusti differenti. Però si deve accontentare, che è la propria colazione per quella mattina, dato che Simone ha voluto uscire di casa presto per arrivare a scuola e ripassare per il compito di matematica.
Che poi, Manuel pensa, non ha bisogno di ripassare: Simone è un genio della matematica, dei logaritmi e di ciò che stanno facendo quel quadrimestre - non ne ha idea, in tutta onestà, ragion per cui ha pregato l'altro ragazzo di passargli la verifica, con successo, comunque.
Ludovica gli lascia il cornetto alla crema su un piccolo piatto di ceramica che fa scivolare sul piano del bancone, accanto alla tazzina del caffè macchiato che è stato richiesto in precedenza.
Manuel la ringrazia con un mezzo sorriso, per poi prendere in mano la brioche e darle un morso deciso.
«Offro io».
Quella voce non gli è tanto familiare. Per nulla proprio. Per cui deve voltarsi e strabuzzare gli occhi per accorgersi a chi appartiene. Nota dei ricci scuri, un sorriso beffardo sul volto di quel ragazzo che ha già deciso che odia.
Andrea, er pischello borghese.
Ecco, di ben in meglio.
Lo nota che regge tra indice e medio una banconota da dieci euro, pronta per essere consegnata alla barista. E dunque «Non ce sta bisogno» borbotta, secco, con la bocca mezza piena. Manda giù a fatica il pezzo di cornetto che rischia di rimanergli in gola e si aiuta con un sorso di caffè.
«Oh, dai» cantilena Andrea. «È per farmi perdonare» spiega.
«Perdonà che?».
Scrolla le spalle e corruccia le labbra in una smorfia. «Beh, che siamo partiti col piede sbagliato, mi sa» spiega «Cioè, mica pensavo ci tenessi tanto a quel banco».
Sì, a Manuel quel tizio sta decisamente antipatico. È a pelle, probabile manco ci sia un motivo. O magari sì – che è un po' assurdo e paradossale, perché, a quanto pare, il bresciano piace a tutti.
Quindi «Che me frega del banco» attesta. Mente, ma questo è un discorso differente.
«Okay, come non detto» Andrea solleva le mani, in cenno di finta resa. «Ti chiami Manuel, giusto?».
Seh. Manuel comprende, allora, che quella conversazione non decadrà presto e quasi brama di entrare in classe e passare due ore davanti ad un foglio pieno di numeri e lettere di cui non ci capisce nulla. «Seh, me chiamo così» taglia corto.
«Simone mi ha parlato di te».
«Pensa un po'»
«Voi siete - tipo fratelli, giusto?».
Se non fosse così attento, Manuel rischierebbe di strozzarsi con quel cornetto alla crema. Per fortuna, sa gestire abbastanza bene situazioni simili, per cui riesce a mascherare tutto con un finto colpo di tosse e l'ultimo goccio di caffè che butta giù d'un fiato. «Non semo fratelli» precisa.
Decisamente non sono fratelli. Sono – qualcosa. Ma che lo deve definire per forza cosa sono? Vabbè, di sicuro non fratelli.
«Ma tua madre non sta insieme a suo padre?».
«Che c'entra, non...» sta per dire, ma la propria frase viene clamorosamente interrotta da un «Bella, Andrè!» e ulteriori schiamazzi da compagni di classe. Manuel intravede i volti di Matteo, Giulio e Chicca, tutti e tre che li circondano, vicino al chiosco.
In tal modo, la loro conversazione viene troncata.
Matteo e Giulio affiancano Andrea; il primo gli batte la mano sulla spalla, il secondo ride e basta.
Manuel quasi ringrazia per quella sorta di salvataggio, così da non proseguire quel dialogo che manco ha voluto iniziare.
Mantiene ancora mezza brioche in mano, quando Chicca, accanto a lui, gli tira un lieve colpo con il gomito. «Oh, ti sei incantato?» lo rimbecca la ragazza.
Manuel deve sbattere le palpebre più volte per riprendere il contatto con la realtà e «No, ma va. Pensavo» biascica.
«Addirittura».
«Eh, addirittura!».
Pensava. A fin troppe cose. A decisamente troppe cose per elaborarle.
Pensava al primo banco, a Simone, poi ad Andrea, poi alla sera precedente, poi a quel siete fratelli.
Che schifo pensare. E anche questo è un pensiero, cazzo.
Scuote il capo. Il cornetto non lo finisce. Lo posa nuovamente sul piattino. «Mettilo sul conto di Balestra» dice a Ludovica, prima di allontanarsi ed entrare a scuola.
**
Alla fine, Simone glielo passa il compito di matematica a Manuel - non senza difficoltà, considerando che deve fargli arrivare il foglio piegato attraverso tre compagni e rischiano di farsi beccare, però ce la fa.
Oltretutto, la verifica la trova piuttosto semplice, quindi riesce a risolvere ogni cosa in poco tempo e avanzarne pure.
Quando suona la campanella, che mette fine alle due ore cruciali, quasi tutti gli alunni della 5^B si alzano all'unisono per riporre il foglio protocollo sulla cattedra e poi, finalmente, invadere il corridoio per la ricreazione.
Simone è uno degli ultimi a consegnare.
Prima osserva Manuel rivolgergli uno sguardo distratto e fargli un solo cenno del capo - rapido, quasi da immaginarlo – indicandogli, presumibilmente, di andargli dietro, per poi sparire fuori dall'aula.
Posa il proprio compito in cima alla pila di quelli dei compagni.
La professoressa Castelli lo ringrazia con un sorriso mesto, mentre raccatta quelle verifiche un briciolo spiegazzate e abbandona la classe, di fretta.
È buffa, la professoressa Castelli, che è approdata nella sezione B al quarto anno, in seguito al trasferimento della Girolami: è una donna con spalle larghe, con i capelli biondi che tendono troppo al giallo, perennemente raccolti in uno chignon alto e sgrana gli occhi di continuo. Sì, è buffa, ma spiega bene la materia - anche se non è mai troppo generosa con i voti.
A Simone viene persino da ridere a guardarla fuggire via, quasi avesse compiuto un reato.
«Come ti è andata?».
Non si è accorto di non essere rimasto solo nell'aula. Gli è sufficiente voltare di qualche centimetro il capo per notare Andrea, che tiene un palmo appoggiato alla cattedra e il capo inclinato su di un lato.
Simone scrolla le spalle e «Bene» replica «Era una roba - facile, in realtà».
«Facile?» borbotta Andrea, facendogli il verso «Io volevo morire, ho consegnato in bianco praticamente».
«Erano cose di base».
«Beh, io sono più bravo nelle materie umanistiche».
«E hai scelto lo scientifico? Un po' da masochisti». Simone strabuzza gli occhi e gli sfugge una risata. In realtà, pensa che la maggior parte degli alunni di quella classe sia decisamente meglio portata per le materie umanistiche. Tipo anche Manuel. Già, potrebbe pure smetterla di ficcarlo in mezzo in ogni discorso, sebbene soltanto nella propria testa.
Nel frattempo, Andrea gli sorride e si morde un briciolo nervoso il labbro inferiore. «Vabbè, sicuro mi toccherà fare il recupero, lo so già» annuncia. Abbassa lo sguardo, fa una mezza smorfia. «Magari mi puoi aiutare te» propone.
«Io?».
«Eh, te» specifica «Hai appena detto che quella roba era facile».
«Quindi?».
«Beh, mi dai ripetizioni!» il tono di voce che usa è fin troppo entusiasta. «Così vado bene al recupero».
«Non sai neanche se devi farlo».
«Ho consegnato in bianco. Fidati, lo so».
Simone tentenna per un istante. In realtà, ripetizioni non ne ha mai date; piuttosto ha passato parecchie verifiche ai compagni, racimolando qualche soldo e nulla più – questo perché ha poca pazienza per altro. Tuttavia, crede che potrebbe provarci, alla fine – e sa pure che Andrea non lo lascerà in pace finché non accetta, quindi tanto vale. «Boh, okay» borbotta «Ma solo per il recupero».
«Non chiedo altro» Andrea quasi saltella di fronte a tale richiesta accettata. Gli rivolge l'ennesimo sorriso e si congeda, dandogli una pacca sulla spalla, prima di uscire fuori dall'aula.
A quel punto, Simone recupera il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni, giusto per controllare l'ora e sapere quanti minuti di intervallo rimangono – visto che la volta scorsa, Manuel se ne è lamentato.
Quando lo fa, sullo schermo appare una nuova notifica di Instagram.
lunaromaaa
1 nuovo messaggio
Aggrotta le sopracciglia: ha visto Luna da pochissimo e la notifica è di trenta secondi prima. La apre senza pensarci.
lunaromaaa
ma te sei accorto ke ce prova co te?
Simone vorrebbe risponderle, ma non è necessario, dal momento che solleva lo sguardo e la ragazza dai lunghi capelli castani e gli occhi verdi, la scorge sulla soglia della porta, col cellulare in mano e una spalla appoggiata allo stipite. «Ma di chi parli?» esclama Simone, confuso.
Luna rotea gli occhi e avanza nella sua direzione. Si ferma soltanto quando gli è di fronte. «Ma sei scemo o fai finta?» squittisce. «Come chi! Er pischello borghese».
Come diretta reazione, Simone schiocca la lingua sul palato e «Ma va» replica, mentre blocca lo smartphone tramite il tasto laterale e lo rimette in tasca, laddove lo ha preso. «Mi ha chiesto solo aiuto per matematica».
Luna incrocia le braccia al petto. È notevolmente esasperata. «Simò, Monica lo ha riempito de like» lo informa «E du' giorni gli ha pure scritto. Visualizzato senza risposta. A te te commenta pure. Non sai fare due più due?».
No, Simone non ha idea di cosa significhi e l'espressione che gli si dipinge sul volto ne è un evidente segno. «Che c'entra?» dice «Magari gli piaceva solo la foto». Tale affermazione, gli costa un'ulteriore occhiata di rimprovero da parte della compagna. Però, davvero, due più due non sa farlo e si chiede persino dove stia sbagliando.
«Fidate che nun je piace solo la foto» incalza Luna. Incontra nuovamente lo sguardo confuso dell'amico, ma decide di rinunciarci. Tanto ormai glielo ha spiegato, meglio lasciare a lui il compito di realizzarlo al meglio. «Madò, te prego, Simò» esclama «'Na svegliata». Ridacchia e si allontana verso il proprio banco. Fruga all'interno dello zaino fucsia appoggiato sulla sedia e ne estrae una merendina confezionata dalla carta gialla. «Fidate» ribadisce, mentre abbandona la classe.
Simone rimane immobile ancora per un secondo. Le parole della ragazza lo hanno un briciolo scombussolato. Tuttavia, non ci pensa troppo.
Riprende il telefono, controlla l'orario.
Cazzo.
Rimangono soltanto sei minuti.
Si precipita in corridoio, accennando una corsa scoordinata e quasi rischia di inciampare nei propri piedi.
Ma tanto già lo sa che Manuel, che lo sta aspettando in bagno, di quel ritardo si lamenterà. Però, adesso, sa persino come farsi perdonare.
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