Epilogo - Parte 2
Quel giorno d'estate è al pari di un caldo abbraccio: accogliente, sa di casa.
È una giornata di fine luglio, il sole è alto nel cielo, mentre delle risate provengono da un lungo tavolo di legno al quale sono seduti visi vecchi e nuovi, su due panche poste ai due lati.
Villa Balestra decorata con tanti sorrisi è bellissima, durante quel barbecue un po' improvvisato prima delle varie partenze per le vacanze.
C'è chi va al mare, chi fugge in montagna ed è sembrata una buona occasione trovarsi prima di separarsi.
C'è quasi tutta la 5^B attorno a quel tavolo di legno, con sopra piatti e bicchieri vuoti.
C'è Matteo seduto su una delle due panche lunghe; Chicca si è accomodata sulle sue cosce, gli tiene una mano tra i capelli biondi mentre intrattiene una conversazione con il resto del gruppo. Davanti a loro, al lato opposto, ci sono Giulio, Aureliano e Luna. Quest'ultima fulmina con lo sguardo il secondo ragazzo quando cerca di toglierle il bicchiere di vino dalle mani.
Simone osserva la scena e ne è persino divertito: è seduto a capotavola, frattanto che si tortura il lobo dell'orecchio con due dita. Non è nervoso, non troppo; anzi, al contrario è tutto molto tranquillo.
Ha preso il massimo dei voti all'esame di maturità ed è contento anche per il settantotto che Manuel ha strappato via alla commissione.
È sollevato persino dal fatto che Andrea abbia accettato l'invito di recarsi a quell'ultima riunione di classe: lo vede poco distante, insieme a Monica che gli tiene un palmo sulla spalla e ogni tanto gli sorride.
Ed è lieto che, perlomeno, siano felici e la situazione non sia troppo tesa tra di loro.
Certo, è pressoché sicuro che non saranno mai amici, ma possono avere un rapporto civile. Si è persino sorpreso quando Manuel lo ha salutato con una stretta di mano quando è arrivato: è stato un gesto rapido, stentato, però è un traguardo.
Nessuno di loro sa cosa faranno con sicurezza a settembre: hanno delle idee, alcune un po' folli - ad esempio, Luna vuole partire con uno zaino in spalla per un anno sabbatico in giro per il mondo e non ha ancora capito con quali soldi; gli altri hanno soltanto in mente di andare all'università, non tutti a Roma.
Però si sono promessi di ritrovarsi in quella casa, tra poco più di un anno, indipendentemente da tutto e tutti, per aggiornarsi sui risvolti del loro futuro.
A Simone mettono un briciolo di agitazione queste cose: una promessa che si dilata nel tempo, specialmente perché il suo, di futuro, è ancora incerto, con mille idee e zero risvolti pratici.
«Non vorrei stare a rompe» è la voce di Manuel che sente arrivargli ad un orecchio e le sue dita sulla schiena. Gli è sufficiente voltare il capo per appurare che il ragazzo è in piedi al proprio fianco e si è chinato in avanti per potergli bisbigliare qualcosa. «Tra poco dovemo andare».
Simone aggrotta le sopracciglia. «Ma non è presto?» borbotta.
«Quale presto, so' quasi le quattro, dovemo mette a posto e poi anna' dall'altra parte de Roma. Tanto presto non me pare».
No, non è affatto presto. Barbecue a parte, quel giorno è speciale per altri motivi.
«Okay, dai» replica, allora. «Dieci minuti ancora».
Dieci minuti possono durare in eterno, se uno ci pensa.
E, se ci pensa troppo, sono sufficienti per far riaffiorare ricordi.
«Ma camera tua sta su? Che ce 'a fai a salì?» la domanda di Manuel riecheggiò nella veranda di Villa Balestra.
Simone aggrottò le sopracciglia a tale sua affermazione. «Ho un braccio sotto, mica 'na gamba» puntualizzò. Che era vero, salire le scale non era un problema, nonostante lui si sentisse comunque ancora abbastanza debole - forse erano gli antibiotici mischiati agli antidolorifici che un po' lo stordivano.
Quindi, nonostante avesse mosso soltanto qualche passo che dalla macchina lo aveva portato all'ingresso della casa, sentì comunque l'esigenza di sedersi su una delle panche di legno che lì si trovavano.
«Sì, ma–» fece per dire Manuel, ma la sua frase si interruppe quando vide l'altro ragazzo accasciarsi. Mollò il borsone nero a terra e si affrettò ad avvicinarsi a lui.
Da dopo l'incidente, non lo aveva mollato un attimo: probabile fosse perché si sentiva in colpa, il diretto responsabile di quel risvolto che avrebbe potuto essere tragico o chissà che altro. Il punto era che non riusciva a stargli troppo lontano.
Che era un po' assurdo, a tratti patetico per come lo aveva trattato.
«Oh, che te senti male? Devo chiamà tu' padre?» disse, appoggiando una mano sulla sua spalle.
«Ti pare?» borbottò Simone. «Sto bene, sono solo– Un po' stanco».
«E allora mó t'accompagno su e te metti a letto».
«Manuel, non— Non c'è bisogno, davvero» lo frenò. «Che stai qui, che sei rimasto pure in ospedale, non... Non sei obbligato».
Manuel rimase interdetto da tale affermazione. Si accigliò, poco prima di sedergli accanto, su quella panca di legno. «Di solito faccio le cose perché me va» attestò. «Nessuno me obbliga».
A Simone sfuggì una mezza risata. Sarebbe stato bello credere che davvero ogni cosa che l'altro faceva era perché voleva e non perché era capitato.
Per un momento, gli piacque illudersi che fosse davvero così. «Vabbè» tagliò corto. «Puoi andare, comunque. Tanto mio padre arriva tra poco e pure mia nonna, per cui...».
«Resto finché non tornano».
«Perché?».
«Perché così non sei solo».
Non era solo e, col senno di poi, non lo sarebbe mai più stato.
**
«Non lo trovi un po' strano che mio padre ti ha regalato una macchina per la maturità e a me a stento una pacca sulla spalla?».
Stanno viaggiando su una Panda rossa a cinque porte, piuttosto vecchia, in realtà, col motore che romba e fa rumori strani e circa duecentomila chilometri percorsi. Però cammina, li porta da punto A a punto B quando vogliono quindi, per il momento, basta e avanza.
La lamentela scaturisce da Simone, accomodato sul sedile passeggero. Tiene sulle gambe un sacchetto di carta lucida blu scuro con sopra un fiocco verde.
Manuel è alla guida. Preme il piede sul freno quando si ritrovano al cospetto di un semaforo rosso. «Il regalo è per entrambi» fa presente, mantenendo una mano sul volante. Gli rivolge un'occhiata rapida. «Ha visto i soldi che se spendevano pe' affittarne una e ha preferito così».
«Seh, vabbè».
«Che te lamenti che non c'hai manco la patente».
«Mi sono iscritto».
«Vedi? Per cui tra - boh, sei mesi, 'sto regalo sarà pure tuo. Tutto risolto».
Simone scuote il capo. Non è poi così sicuro di riuscire a prenderla la patente, perlomeno non a Roma. In un'altra città, magari.
Ad ogni modo, viaggiare con Manuel è sempre tutta un'altra cosa, come quando...
«Hai affittato una macchina?» esclamò, alla visione di quella Lancia Ypisilon color panna.
Manuel stava caricando i loro due borsoni sui sedili posteriori. Lo sentì parlare e gli venne da ridere. Chiuse la portiera. «Eh, come ce voi anna' ar lago, a piedi?» replicò.
Simone scrollò le spalle. «No, cioè— C'è il treno» spiega. «O l'autobus, potevamo...».
«È più comodo così, no? Non ce corre dietro nessuno, non avemo orari».
«Beh, ma quanto hai pagato? Ti devo dare la metà».
«Lascia sta', me offri er pranzo» Manuel troncò. Si rigirò le chiavi dell'auto tra le mani. «Vuoi salì o no?» lo incitò.
Simone tergiversò. A dire il vero, moriva dalla voglia di ringraziarlo, di— Di baciarlo, di avvinghiarsi a lui.
Perché quella gita fuori porta aveva tutta l'aria di essere qualcosa di estremamente romantico, nonostante l'altro continuasse a sostenere il contrario. Dovette trattenersi, per forza di cose. Si limitò ad annuire, poi prese posto sul lato passeggero.
Al suo fianco, prima.
Al suo fianco, sempre.
«Dici che le piace?».
«Cosa?».
Simone alza il sacchetto blu e lo agita appena. «Quello che le ho preso».
Manuel arriccia il naso. «Seh» borbotta. «Cioè, il mio rimane comunque più bello, ma seh— Je piacerà». Tale affermazione gli costa un leggero colpetto con il gomito da parte del compagno. Un battibecco non ha davvero tempo di iniziare poiché la porta che è loro di fronte viene aperta.
Ne appare il viso di Martina sorridente, con dei glitter verdi sulle palpebre e un vestito corto del medesimo colore. «Finalmente!» esclama la ragazza. Allarga le braccia, per accogliere entrambi in un caloroso abbraccio - uno di quelli che lei dona sempre a chiunque voglia bene (persone selezionate, eh, come lei fieramente sostiene).
«Credevo non veniste più».
«Eh, er barbecue pareva non finì mai» replica Manuel, quando il loro contatto si interrompe. Succede giusto per dare il tempo a Martina di chiudere la porta alle loro spalle. «Ah, non fa niente» esclama. «Stavo per aprire i regali».
«Ecco, a questo proposito» interviene Simone. Le porge il sacchetto blu che ha gelosamente custodito fino a quel momento. «Buon compleanno».
Un po' è assurdo farle un regalo, questo Simone lo riconosce. Ha passato mesi ad avere dubbi su di lei e Manuel insieme, a farsi le peggiori congetture, quando sarebbe bastato fare un passo indietro, vedere la situazione dalla giusta prospettiva per realizzare quanto stesse sbagliando.
Ovviamente, non ha poi così senso rimuginare su vecchie situazioni spinose, però...
Ecco, lo fa sorridere il fatto che ha passato due intere settimane a scervellarsi su quale fosse il regalo più adatto per una persona che prima considerava un nemico e che, adesso, ritiene una che potrebbe diventare una delle figure di riferimento della sua vita.
Assurdo come l'esistenza sia variabile.
Martina sgrana gli occhi e allarga il sorriso sulle labbra. «Lo sai che non dovevi, sì?» esclama. «Spero tu non abbia speso troppo».
«Il giusto» la rassicura Simone.
In realtà, ha speso parecchio - un patrimonio! - per quei rullini introvabili per la sua macchina fotografica vintage, ma è qualcosa per cui ne valeva la pena.
«Poi magari pija pure er mio» interviene Manuel. Il pacco che le porge è più grande, quadrato, incartato di rosso con un fiocco tinta oro. Per lui è stato facile scegliere cosa portare in dono: sono mesi che vede il giradischi in casa sua e conosce a memoria i nomi delle band che spuntano sulle sue t-shirt.
«Addirittura due? Mi fate commuovere» commenta la ragazza.
«Ma se te piace 'na cifra ricevere regali».
«Non tanto quanto me piace farli» squittisce. Afferra anche il secondo pacco. «Dai, annamo de là. Ve presento gli amici mia».
E Martina ha un sacco di amici: li presenta a loro uno ad uno e Simone già sa che faticherà a ricordarsi i nomi e passerà la serata a chiederli di nuovo ogni volta che parla con qualcuno.
Per sua fortuna, un nome - di sicuro - non dovrà domandarlo, non quando uno di quei visi lo riconosce: appartiene a Leonardo. Sorride e lo abbraccia, nel momento in cui i loro sguardi si incrociano nel mezzo del caos che si è creato in quell'appartamento.
«Non credevo ci fossi anche tu!» esclama Simone, dando una pacca sulla spalla all'amico. Leo scuote il capo. «Non dovevo esserci, ma Martina sa essere piuttosto convincente» replica. «Il pranzo con tutti quanti come è andato?».
«Bene, più o meno».
«Non sono volati coltelli?».
Simone ridacchia. «Per fortuna no». Fa una breve pausa, si guarda attorno. Vede Martina che si è seduta sul bracciolo del divano, poco distante, e ha appena scartato il vinile che le ha regalato Manuel; è di una band che non conosce, non ha nemmeno mai sentito nominare, ma lei ne pare piuttosto felice.
Gli scappa un sorriso, poi torna a focalizzare l'attenzione su Leonardo e «Leo?» pigola.
«Che?» ribatte l'altro ragazzo, bevendo un sorso di quella che pare Coca-Cola corretta con qualcosa.
«Grazie».
«Per cosa?».
«Boh, uhm– Per tutto». Simone gli farebbe una lista, che poi manco servirebbe: è un grazie generico, che vale per un sacco di cose, alcune delle quali non saprebbe spiegare.
Tipo un grazie per essere stato il primo amico dopo un casino di tempo, per avermi sopportato e non essertene andato. Quella parte non la esplica, eppure chi gli è di fronte pare capirla lo stesso.
Difatti, Leonardo scrolla le spalle e «Figurati» esclama. Non si sbilancia, tuttavia, in altri gesti. Piuttosto sospira e «Dai, andiamo a vedere che altro le hanno regalato. Devo troppo vedere la faccia che fa quando apre il mio!».
Simone comprende che il messaggio, ad ogni modo, è arrivato a destinazione.
E, tutto sommato, non potrebbe chiedere di meglio: una festa, il suo ragazzo e le sue persone preferite in un'unica stanza.
**
Ci sono due trolley chiusi e pronti appoggiati a terra, accanto alla porta, mancano soltanto le ultime cose, da aggiungere al volo la mattina - come spazzolino e dentifricio.
Hanno l'aereo non troppo presto - le dieci, circa - ma Simone preferisce essere lì almeno un'ora prima, nonostante il check-in giù fatto online.
La loro destinazione iniziale per quelle vacanze estive, era la Spagna - Barcellona, per l'esattezza - ma poi hanno cambiato, di comune accordo, decidendo di andare a Glasgow, insieme, da Floriana che ci tiene a rivedere Manuel, in altre vesti, rispetto a quelle in cui l'ha conosciuto per la prima volta.
Ed in effetti, a Manuel fa persino piacere accompagnare il proprio ragazzo dalla madre, concedergli del tempo con lei; del resto, non ha visto praticamente nulla, a parte Roma e Madrid, per cui qualunque destinazione gli sarebbe andata bene.
Le destinazioni sono irrilevanti quando la compagnia è giusta.
Sono nella camera di Simone, nel letto ad una piazza e mezza che tante volte li ha accolti. Hanno entrambi addosso soltanto una maglietta leggera di cotone bianco e un paio di pantaloncini scuri.
È inizio agosto e il caldo è eccessivo, ma non sufficiente per tenerli troppo separati.
Difatti, Manuel è sdraiato in posizione supina, mentre il compagno è su di un fianco, con la testa sul suo petto e ha fatto intrecciare le loro gambe. «Manu?» sussurra.
«Mh-m?».
«Dormi?».
Manuel sta fiaccamente passando una mano tra i suoi ricci folti e morbidi, che sono cresciuti un sacco nell'ultimo periodo. Lui, invece, di recente li ha tagliati perché troppo rovinati e ora sono più corti sui lati e appena più lunghi sulla parte avanti. «Ce volevo prova'» esclama. «Ma sto a fa' a schiuma».
«Vuoi che mi levo?».
«Nah, posso sopportare» adesso le sue dita scendono lievi sulla schiena dell'altro, lo accarezzano attraverso il tessuto umido di sudore. «Magari ce facciamo 'na doccia dopo, però».
Simone ridacchia. Solleva il capo, quel che è sufficiente per depositare un fugace bacio sulla linea della sua mandibola, priva di accenno di barba. «Possiamo andare pure ora».
«Aeh, ce sta tu' padre 'n bagno, finirà tra un'ora almeno».
Giusto. Dante ci impiega sempre un tempo infinito a lavarsi o fare chissà che; soprattutto con l'inizio dell'estate, riempie la vasca e ci sta dentro delle ore - un po' assurdo, dato che hanno una piscina e potrebbe usare quella, ma tant'è.
«Allora posso darti una cosa mentre aspettiamo» attesta Simone.
«Che?» Manuel non fa in tempo a chiedere che il compagno si è già tirato indietro e alzato dal letto.
Lui si tira su a sedere sul materasso un briciolo controvoglia, incrociando le gambe. Si sente stordito - per il caldo, principalmente. Osserva l'altro ragazzo che barcolla verso la scrivania e apre il primo cassetto.
«Chiudi gli occhi» pronuncia Simone, dandogli le spalle.
«Perché dovrei?».
«Puoi farlo e basta?».
Eh. Non è che Manuel si fidi molto, in genere non succede mai nulla di buono con le palpebre calate, eppure si convince ad obbedire. Rimane comunque in ascolto di ciò che gli accade intorno: difatti, ode lo stesso cassetto che prima è stato aperto, che viene chiuso con un tonfo; percepisce i piedi scalzi di Simone sul pavimento, il suo peso che torna a far piegare il materasso.
«Li posso aprì ora?» domanda, mordendosi piano l'interno d'una guancia. Sente il compagno ridere e allora «Daje, che te ridi?» borbotta.
Simone si sbilancia col busto nella sua direzione, per poterlo baciare piano sulla bocca schiusa. «Puoi aprirli» soffia, ancora sulle sue labbra.
Nonostante l'impazienza, Manuel ci impiega qualche secondo a sollevare le palpebre, che poi sbatte più volte. Deve abbassare lo sguardo per notare in una mano dell'altro ragazzo un pupazzo verde, a forma di rana - che conosce fin troppo bene.
Prima che possa dire qualcosa, Simone interviene: «Il mio è ancora attaccato allo zaino, nel caso te lo stessi chiedendo» spiega. «E, per la cronaca, ho girato mille negozi di Roma per trovarlo uguale, era esaurito pure su Amazon, mi stavo quasi per arrendere al fatto che non l'avrei mai recuperato da qualche parte, poi però Chicca m'ha aiutato, siamo andati– Boh, non mi ricordo manco che paesino fosse...».
«Quel giorno in cui non tornavi più a casa?».
«Proprio quello».
«M'hai fatto quasi pijà 'n coccolone che manco rispondevi ar telefono ed era pe' questo?».
«Eh» Simone scrolla le spalle. «Ne valeva la pena, però, no?». Dopo solleva un briciolo il pupazzo, preme le dita al centro così che esso possa emettere il verso.
Cra cra.
Un sorriso si delinea sulle labbra di Manuel. «Devo annà a rileggermi quella roba sulle rane, me sa» sussurra.
«Eh, dicono un sacco di cose le rane» Simone esercita nuovamente della pressione con i polpastrelli, nello stesso punto di poco prima, a riprodurre il medesimo suono. «Questo vuol dire— Potresti darmi un bacio per ringraziarmi».
Adesso a Manuel sfugge una risata, frattanto che si sporge col busto così da poter depositare quel richiesto bacio sulle sue labbra, un contatto lieve e delicato. In seguito, gli sfila con delicatezza il portachiavi dalle mani ed è lui a far scaturire il verso. «Posso comunica' solo co' questo?» esclama. «Specialmente se litighiamo».
«Soprattutto se litighiamo. L'ho preso per quello, eh». Simone lo bacia di nuovo, stavolta con più intensità, mentre il secondo Mister Frog è ancora tra di loro, tra le dita di Manuel.
C'è silenzio in quella stanza, che viene interrotto soltanto dalle loro risate, dallo schiocco di nuovi baci e da quel cra cra che, di tanto in tanto, si leva nell'aria.
Non c'è bisogno di altro, dopo tutto.
Due ragazzi, una stanza con la porta aperta e il loro linguaggio.
Nel loro mondo dove un cra cra può assumere mille significati diversi, dove sono sufficienti latte e biscotti per fare pace, dove si può sbagliare e crescere tenendosi per mano, dove nessuno viene lasciato indietro, dove non si è mai soli, dove un cuore bianco si unisce ad uno nero.
Dove c'è il sole anche d'inverno.
Dove ci sarà sempre il suo calore a sciogliere la neve.
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