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Capitolo 49. SPERANZE


Pov's Robert

Diamine non possono farlo.

«Non potete lasciarmi qui, devo stare con lei», grido per farmi sentire, ma tanto è inutile, non mi ascoltano. Faccio per seguirli in sala operatoria ma qualcuno mi trattiene.

«Lasciali fare il loro lavoro Rob», mi dice mio fratello strattonandomi per portarmi in sala d'aspetto. I miei occhi spalancati dal pure terrore di perderla non si distaccano dal pavimento. Il mio cuore e la mia anima sono spezzati. Nella mia mente scorrono tutti i momenti trascorsi con Cristyn. Il nostro primo incontro. Me lo ricordo come se fosse ieri, quella festa di capodanno così improvviso e piacevole. Quella è stata una vera fortuna, conoscerla. Fortuna che io non ho saputo sfruttare appieno, comportandomi da vero stronzo. Appena l'ho vista ho capito subito che fosse un pesce fuor d'acqua in mezzo a tutte quei ricconi, con le loro accompagnatrici. Si guardava attorno spaesata in cerca di una via di fuga. Indifesa, spaurita e smarrita, diversa dalla ragazza che ho poi ritrovato qui a New York. Forte, indipendente, cauta, determinata e in un certo senso anche più diffidente. Non l'ho mai vista in quello stato, così distrutta.

Cazzo, cazzo! Grido nella mia mente prendendo a pugni il muro.

È ...tutta...colpa...mia, mi dico scandendo il ritmo dei pugni.

«Rob calmati. Non fare scenate. Devi rimanere calmo, non perdere le staffe. Non puoi fare nient'altro che aspettare», mi ripete Cristopher allontanandomi con forza dal muro, ma io non lo ascolto. Il sangue mi ribolle nelle vene e la mia mente non è mai stata bombardata da così tante emozioni.

Cristopher ha torto. Non è vero che non c'è nulla che io possa fare. So esattamente cosa fare.

«Phill, chiama Walter Prince ed Elliott Forks. Informali di tuto ciò che sta succedendo, digli che lì pagherò appena mi avranno portato quel figlio di puttana. Ricorda lo voglio vivo», dico prima di chiudere la telefonata.

«Rob cosa hai intenzione di far?», mi chiede guardingo. Deve aver ascoltato la mia telefonata.

«Quel che dev'essere fatto», dico prima di ritornare alla reception, dove trovo solo una signora sulla sessantina impegnata al telefono.

«Ascolti, la mia ragazza è stata portata qui in fin di vita. È urgente», le dico attirando la sua attenzione.

«Scusi, ma sono impegnata al telefono con un chirur...», non le lascio neanche finire la frase.

«Non mi interessa con chi sta parlando. La mia ragazza è stata rapita, torturata e tenuta segregata per giorni. Quindi, mi scusi, ma non ho tempo da perdere, mi ascolti», dico sbattendo un pugno sul bancone, facendola sussultare sulla sedia. Ecco adesso credo di aver attirato la sua attenzione.

«Nessuno deve avvicinarsi alla mia ragazza, Cristyn Mitchell, chirurgo o infermiere che sia, senza che gli vengano controllare i documenti. Dei poliziotti saranno posti come sorveglianza alla porta della stanza della signorina. Informi i suoi capi».

Tornando da mio fratello mi accorgo che sono arrivati i miei genitori e i signori Mitchell.

«Come sta la mia bambina?», chiede Francinne Mitchell.

«L'hanno portata in sala operatoria, non mi hanno detto altro», dico stringendola in un abbraccio. Non ci conosciamo bene, anzi per niente, ma in questo momento siamo accumunati dal dolore per una persona a noi cara e amata.

«Farò tutto il possibile affinché stia bene. La riporterò da noi. Te lo prometto Francinne », dico cercando di rincuorarla.

«Quando l'hanno trovata come stava?», chiede ad un tratto Steve guardandomi in modo apprensivo, «Rob la verità».

«L'hanno trovata molto infreddolita, rannicchiata a terra, priva di forse e piena di ferite e lividi», dico suscitando sospiri e ansia tra i presenti.

**

Un'ora passa senza che nessuno ci dica niente. Sono già al mio nono caffè, quando un'infermiera esce dalla sala operatoria e viene verso di noi.

«I parenti della signorina Mitchell?», chiede cauta.

«Noi siamo la sua famiglia, lui è il suo fidanzato e la sua famiglia, ci dica», chiede Steve facendosi portavoce di tutti.

«La signorina Mitchell ha subito diversi traumi. Quelli agli arti sono più gravi rispetto a quelli riscontrati al cranio, anche se a preoccuparci maggiormente è lo stato dei suoi polmoni. Sono molto affaticati e indeboliti. Abbiamo dovuto intubare la paziente. Non è in grado di respirare autonomamente»

Lo stato d'animo che accumunava tutti cala drasticamente alle parole dell'infermiera. La mia vista si appanna e la mia pena aumenta. Francine continua ad asciugarsi gli occhi ormai arrossati. Il signor Frank ed entrambi i miei genitori le sono accanto. Steve stringe forte Sandy, credo sia per sostenere lei sia se stesso, per paura di non sprofondare nel dolore.

***

È buio e non vedo niente. L'unico rumore è quello dei miei passi sulla strada selciata. Le pietrine che prima tormentavano i miei piedi sono scomparse. Ora cammino nel nulla, è come se fossi sospeso nel nulla, sotto i miei piedi vi è il vuoto oscuro. Poi mi ritrovo davanti ad un edificio abbandonato. Entro e mi ritrovo in una stanza buia. Un attimo! Sembra essere la mia camera, eppure sono sicuro di non essere in casa mia. Un silenzio tombale avvolge tutto l'edificio. Tutti i mobili sono spogli, vuoti. Mi guardo attorno ma non noto nulla tranne un leggero spiffero proveniente dal piano superiore. Vado per salire le scale, quando la stanza sembra girare su se stessa e mi ritrovo in un altro luogo. Sembra anch'esso desolato ma poi vedo lei legata, piena di lividi, sangue e tagli. Oddio!

"Perché ti ho lascito?", mi chiedo avvicinandomi a lei, la slego, abbracciandola forte. Però, è priva di sensi. Non si muove, non respira. La abbraccio per risvegliarla, ma non funziona.

"Nooo" l'abbraccio di nuovo. Però, l'edificio si trasforma in buio.

"Nooo", grido tutto sudato, con il cuore a mille, balzando sul letto.

È stato solo un sogno. Solo un sogno! Mi ripeto, mentre cerco di tranquillizzarmi, di tornare in me. Accidenti mi sono addormentato, che ore sono? Diamine è tardissimo. Ho dormito per cinque ore filate. Cavoli. Non volevo dormire così tanto. I miei, testardi come al solito, non si sono arresi finché non sono riusciti a convincermi a passare un attimo da casa per darmi una lavata.

Ancora ora mi ritornano alla mente quelle immagini. Il corpo di Cristyn privo di qualsiasi vitalità. Pallida, troppo pallida. La mia Cristyn frizzante, sempre attiva, spenta. La situazione cambierà, deve farlo. Per fortuna sono già vestito.

Vado subito all'ospedale. Parcheggio nel primo posto libero che trovo. Entro senza badare alle persone con cui mi scontro. Corro verso la sala d'attesa, dove trovo Steve e i suoi genitori.

«I tuoi sono andati a prendere qualcosa da mettere nello stomaco», mi avverte Steve.

«Dovreste riposare anche voi», suggerisco loro.

«Non mi allontano mia piccola. E se dovesse accaderle qualcosa mentre non ci sono?», chiede tra le lacrime Francine.

«Cristyn?», chiedo ansioso.

«Ha avuto un arresto cardiaco. L'hanno portata in terapia intensiva», spiega Frank e le gambe mi cedono.

"No", penso, anche se credo di averlo urlato, dato che diverse persone si sono girate a guardarmi.

Ce la deve fare, non deve mollare. Lei è la mia roccia, il mio mondo. La mia vita. Il dolore è insopportabile. Straziante.

«Possiamo vederla?», chiedo rialzandomi.

«Uno alla volta, è ancora troppo debole», ci informa.

Rimango un attimo fermo prima di voltarmi verso i signori Mitchell.

«Vai tu. Lei vorrebbe vederti», mi dice un Frank con occhi arrossati.

Seguo l'infermiera, per un lungo corridoio, fino ad arrivare ad una stanza con una porta totalmente bianca.

«Questa è la stanza della signorina Cristyn Mitchell. Non la affatichi troppi. Si ricordi che non può stare per molto tempo, gli orari di visita stanno per terminare», mi raccomanda.

«Può sentirmi? Intendo se le parlo, può sentire le mie parole?», chiedo speranzoso.

«Non si può mai sapere, ma di certo male non farà. Le parli, le racconti dei ricordi. Stimoli uditivi possono aiutarla e la sua vicinanza confortarla», mi spiega prima di andarsene.

Non ho il coraggio di entrare. Non la merito. Lei è il mio angelo ed io sono il suo diavolo. Lei è il mio paradiso ed io sono il suo inferno. Devo farlo, ma la mia mano rimane bloccata sulla maniglia. Entro senza perdere più tempo.

Oh, la mia piccola. Il mio tesoro, il mio amore.

«Piccola è tutta colpa mia. Doveva accadere a me non a te. Non dovresti trovarti in quest'ospedale, in questa stanza, su questo letto. Dovrei esserci io», dico piangendo, distringendo le sue mani tra le mie. Sono così fredde, pallide.

«Non sai quanto ti amo, quanto darei per essere l tuo posto. Sacrificherei la mia vita per te. Avevo organizzato una sorpresa. Avevo in mente di regalarti quel bel vestito che hai visto settimana scorsa in quella vetrina, ricordi? Quello lungo argentato, con scollo a "v". Ti sono brillati gli occhi appena l'hai visto. Poi ti avrei portato in quel ristorante in riva al fiume, il ristorante del nostro primo incontro e nel nostro riavvicinamento. Avremmo bevuto il vino più buono e più costoso, pesce e il dolce. Avrei terminato la serata ballando con te un lento, poi mi sarei inginocchiato e ti avrei regalato questo», dico tirando fuori dalla tasca la scatolina che tengo con me da ormai più di una settimana.

«Avrei pronunciato i miei sentimenti per te seguendo il cuore, anche perché sarei stato troppo agitato per seguire il discorso che avrei preparato e ripetuto un sacco di volte. In fine ti avrei detto quanto ti amo».

Ti prego amore mio torna da me.

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SPAZIO AUTRICE! Ciao ragazzi, ecco un nuovo capitolo dell'avventura tra Cristyn e Robert. Abbiamo visto un Robert che mette a nudo i suoi sentimenti, la propria anima. Chi di voi crede che avrebbe dovuto farlo prima e svelando quindi ciò che veramente pensava? Chi invece crede che Robert non abbia affatto sbagliato?

Buona lettura by @SweetCreation94

Saluto e ringrazio tutti i miei follower e lettori.

Vi ringrazio per il vostro sostegno, per seguire la mia storia.

Spero possa e continui ad appassionarvi.


Al prossimo capitolo_

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