Armin Wake
Mi svegliai con la luna storta quel giorno. Avevo passato la serata precedente a giocare davanti alla play e quando la sveglia squillò, mi fece sobbalzare, scuotendomi come un terremoto. Con gli occhi gonfi, rossi e la vista un po' annebbiata, mi alzai dal letto e solo dopo essermi vestito e aver fatto colazione, mi accorsi che mio fratello Alexy era già uscito di casa. Guardai l'orologio.
"Le otto e dieci ..." - annunciai mormorando.
Era chiaro che sarei entrato alla seconda ora. Proprio in quel momento mi girai verso la finestra: il cielo era nero, schermato dalle nuvole minacciose che non lasciavano filtrare un solo raggio di sole. Il vento ogni tanto faceva oscillare i rami degli alberi producendo dei leggeri fruscii, a malapena udibili.
"Spero si copra bene ..." - mormorai, pensando a [t/n].
Mi era difficile ammetterlo, ma avevo una cotta per lei e tralasciando i videogames, era tutto ciò che avevo in mente ed ero sicuro che lei lo sapesse e che provasse lo stesso per me; ma aspettava una mia mossa, aveva bisogno che le dimostrassi quanto tenessi a lei ... ma il mio imbarazzo, la mia timidezza, me lo impedivano, insieme al mio spassionato interesse per il mondo videoludico.
Sapeva essere davvero crudele certe volte.
Ad ogni modo, preparai lo zaino per la scuola portando con me la mia fidata PSP e uscii di casa.
La strada era completamente desolata, ma per fortuna il vento si era calmato lasciando spazio a una nebbiolina che mi impediva di vedere chiaramente cosa mi circondasse. Sulla strada per la scuola non incontrai anima viva: nessun passante, non una macchina. Neanche quando passai davanti casa di Castiel: quel suo cane mi abbaiava contro ogni mattino dal giardino sul retro e quella mattina non si fece sentire. Era come se fossi l'ultima forma di vita sulla terra.
Arrivai davanti scuola e da fuori riuscivo a intravedere alcune luci accese e sagome di ragazzi che si muovevano nelle varie classi.
Mi scappò un sorriso mentre pensai - "Spero ci sia anche lei". Sarebbe stato il mio piccolo sole in quella giornata cupa e spenta.
Una volta entrato, mi accorsi che quelle luci che si vedevano da fuori erano le lampade di emergenza, segno che era saltata la corrente e si sentiva il vociare degli alunni provenire dalle classi.
"Chissà se ci manderanno a casa prima ..." - domandai a me stesso. Ci speravo con tutto me stesso, quella era una giornata da passare a sonnecchiare nel letto.
Raggiunsi la mia classe ... e la trovai completamente vuota.
"Vuoi vedere che oggi si entrava più tardi?" - in classe ero sempre distratto e se passava una circolare non ne ero mai a conoscenza. Feci qualche passo verso i banchi, precisamente il banco di [t/n].
Ne accarezzai la superficie, immaginandola seduta li al suo posto, a sorridermi come ogni giorno.
Riflettei ancora - "Non può essere, o Alexy me l'avrebbe detto e non sarebbe uscito così presto stamattina ...".
Uscii dalla classe per chiedere in giro, in un'altra classe magari, ma il brusio di voci di prima era sparito; regnava il silenzio.
Iniziai a preoccuparmi sul serio, qualcosa non quadrava in tutta quella situazione, stava accadendo qualcosa. La luce di emergenza della classe si spense, così come quelle sparse per il corridoio: un venticello gelido proveniente da chissà dove mi investì e reagii correndo verso una classe per poi spalancarne la porta. Come temevo non c'era nessuno e anche qui le luci si erano spente. Mi diressi verso un'altra classe, e un'altra ancora, l'intero primo piano era deserto. Salii al secondo piano e niente, la scuola era completamente abbandonata.
"Ma dove sono finiti tutti??" - quasi speravo che i muri mi rispondessero, ero nel panico più totale, non sapevo cosa fare.
Ero sul punto di tornare al piano di sotto quando sentii dei passi pesanti dietro di me. Mi voltai lentamente e intravidi nel buio, dall'altra parte del corridoio, la sagoma di un uomo.
"NoN sI aCcEtTaNo RiTaRdI!" - mi urlò contro, puntando l'indice di una mano verso di me e alzando l'altro braccio al cielo: impugnava un martello.
"Ma che- " - sbiancai e un brivido mi attraversò dalla testa ai piedi: non riuscivo a muovermi.
L'uomo che era in fondo al corridoio iniziò a venirmi incontro minaccioso, con il martello ancora alzato sulla sua testa. Più si avvicinava più la mia testa si riempiva di domande.
Chi era? Perché stava reagendo così? Dove erano finiti tutti? Dov'era [t/n]?
Il solo pensiero di lei, tutta sola chissà dove e con uno così in giro mi scosse, dandomi la forza di reagire.
Mi sfilai lo zaino di dosso, tolsi la mia fidata console dal suo interno e gli lanciai la borsa addosso per rallentarlo, ma fu inutile: lo zaino lo trapassò, come se fosse fatto del più nero dei fumi.
"Ma cosa-! " - quella non era una persona, non era umana.
Senza cercare altre forme di difesa, mi precipitai per le scale e a metà rampa inciampai miseramente. La PSP mi scivolò di mano e finì su un gradino: lo schermo si spaccò e non so come si accese, la luminosità era impostata al massimo e faceva abbastanza luce da mettere ancora più in risalto le profonde increspature sul vetro.
"Aaah andiamo!!" - era la seconda PSP che compravo, la prima mi era caduta in piscina l'anno scorso per uno scherzo di due stupidi marmocchi.
Strisciai all'indietro, finendo con le spalle contro il muro e in più non potevo rialzarmi, nel cadere avevo battuto la gamba e mi faceva un male tremendo.
L'ombra, se così si poteva chiamare, era arrivata alla rampa di scale e stava per raggiungermi.
Sudavo freddo, ero certo che sarei morto li con la testa fracassata e le mie cervella a fare da carta da parati al muro dietro di me.
"Non rivedrò più [t/n] ..." - pensai rassegnato, con le lacrime agli occhi mentre guardavo l'essere oscuro scendere le scale. Sentivo la mia ora avvicinarsi.
Ma a metà strada l'ombra gridò improvvisamente e risalì di qualche gradino, coprendosi gli occhi con un braccio. Guardai confuso la scena: cosa gli era preso? Alternai lo sguardo tra l'uomo e la mia console.
"La luce? ...".
D'istinto tirai fuori dalla tasca il mio cellulare, accesi la torcia e gliela puntai contro. L'ombra iniziò a dimenarsi e a retrocedere, coprendosi ancora il volto, su di lui si creavano piccole chiazze gialle luminose, come se stesse bruciando.
"Allora è questo il tuo weak point eh?!" - esclamai sollevato, potevo ancora salvarmi.
Con fatica mi alzai dal freddo pavimento tenendogli puntata contro la torcia. Scesi zoppicando la seconda rampa di scale il più velocemente che potei, abbandonando la mia PSP. In quel momento la cosa più importante, quella che contava davvero, era trovare gli altri, trovare [t/n].
Guardai verso l'uscita della scuola che era proprio in fondo al lungo corridoio e che affacciava sul cortile.
"Se qui a scuola non c'è nessuno, dovrà pur esserci qualcuno in città!" - dissi a me stesso, regalandomi una speranza.
Intanto l'ombra al piano di sopra si era ripresa e stava venendo a prendermi. Ma io non avevo intenzione di arrendermi.
Il dolore alla gamba non si era ancora attenuato ma non era abbastanza forte da impedirmi di fuggire, così sfrecciai verso l'uscita. Con il fiatone arrivai alla porta e senza esitare provai ad aprirla.
"Cosa?! Chiusa?!".
Tentai ancora, provando a sfondarla con forti spinte ma non voleva saperne di aprirsi.
"Eri aperta prima!! Maledizione!!".
Adocchiai nel riflesso del vetro della porta l'ombra che incombeva dietro di me con il martello sospeso sulla mia testa.
Scansai lateralmente il colpo di martello, il quale frantumò la vetrata.
"GlI aLuNnI nOn PoSsOnO lAsCiArE lA sCuOlA sE nOn PrElEvAtI dA uN gEnItOrE!!".
Ignorai le sue parole e ripercorsi il corridoio in cerca di un'altra via di fuga. Mi accorsi solo in quel momento che una lampada di emergenza era accesa e illuminava una piccola serie di armadietti.
"Ma certo! La luce! Li non potrà raggiungermi!".
Corsi verso quella luce, inseguito dall'ombra. Ero quasi arrivato nel cerchio di luce ma quell'essere mi afferrò per il braccio, strattonandomi verso di lui, verso l'oscurità. Non feci passare un altro secondo di più: con tutta la forza che mi era rimasta, lo trascinai con me nella luce e con un grido straziante si dissolse nell'aria illuminata dalla lampada.
Ero salvo.
Mi poggiai con la testa contro un armadietto, riprendendo fiato e godendomi la fredda luce dalla quale ero avvolto. Dopo pochi minuti alzai lo sguardo e mi accorsi che l'armadietto su cui stavo riposando era proprio quello di [t/n], ed era accostato. Ero tentanto dall'aprirlo, dallo scoprire cosa custodisse. Feci un respiro profondo, consapevole che mi sarei beccato una ramanzina da [t/n] nel caso mi avrebbe scoperto e aprii l'armadietto.
Dentro c'era qualche libro, dei quaderni e varie cianfrusaglie da ragazza poco importanti. Ciò che attirò la mia attenzione furono una torcia, delle pile e un foglio stropicciato appeso di fronte a me, proprio sul fondo dell'armadietto.
Presi le pile e la torcia e dopo aver controllato che funzionasse, lessi ad alta voce cosa c'era scritto sul foglio che odorava di inchiostro per macchine da scrivere.
"Trova la Signora Della Luce Impazzita con la notte.
È così che riscrivi il destino."
Guardai ancora una volta nell'armadietto, sul lato dello sportello. Vi era appeso un piccolo specchietto e una foto di [t/n] insieme alle ragazze scattata il Natale scorso.
La presi tra le mani e accarezzai il suo volto con l'indice, ero sul punto di piangere.
"Dove sei?" - sibilai stringendo tra le mani la foto.
"Ti troverò [t/n] ... a qualunque costo!" - e dopo aver inciso questa promessa nel mio cuore, mi misi la foto in tasca, accesi la torcia e mi immersi nel buio.
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