Diversi ma uguali
Come ogni mattina, prima di andare a scuola, mi guardo allo specchio e mi rendo conto che la persona che vedo riflessa non è quella che vorrei essere. Più mi guardo e più mi vedo grassa, brutta, diversa, mi sento fuori posto e credo che mai smetterò di esserlo...
Ho quindici anni. Dovrei essere una ragazzina solare, piena di voglia di imparare, di fare nuove scoperte, di superare gli ostacoli a testa alta, di uscire con le amiche; ma non ci riesco a causa mia. Il mio stesso corpo, la mia immagine, me lo impedisce, me lo vieta. Un divieto che nessuno alla mia età dovrebbe provare e sopportare. Io sono obesa - mi ripeto - e rimarrò così per il resto dei miei giorni.
Non ho amici o amiche, non ho un ragazzo come tante altre mie coetanee, non ho un padre, non ho nulla... ho solo mia madre Caroline che non sopporta più le mie lamentele e la mia cara sorellona Sally. Sally è l'unica persona che mi è sempre e veramente stata accanto per supportarmi dopo la morte di mio padre, quando avevo tredici anni. Al tempo ero solare, piena di amici, circondata da una famiglia felice e unita. Ora la situazione si è completamente ribaltata!
Ho cominciato a cambiare fisicamente circa un mese dopo l'addio di papà, che ha deciso di volare in cielo perché aveva perso il lavoro e non riusciva più a mantenere noi, la sua famiglia. Triste com'ero, ho iniziato a rifugiarmi nel cibo, piatto dopo piatto non riuscivo più a controllarmi; i chili salivano e io mi sentivo sollevata, in qualche modo, dal dolore della perdita di mio padre; ma mi sono accorta che non era così quando tutto questo stava diventando un'ossessione, una malattia. Mamma non mi controllava e anche se avrebbe detto qualcosa io l'avrei semplicemente ignorata mentre mia sorella, che ora ha vent'anni, ha rinunciato alla sua vita, allo svago per badare a me. Io l'ho delusa, non la ascoltavo e continuavo a mangiare, mangiare e mangiare.
Ora sono così, orribile e irriconoscibile. Le uniche cose che mi piacciono del mio corpo sono i miei capelli castano chiaro, con i quali mi diverto a creare acconciature favolose e i miei occhi verdi; un verde profondo che esprime perfettamente il mio stato d'animo: cupo e triste.
Il leggero bussare alla porta della mia stanza, mi risveglia dai demoni che mi tormentano e che non mi lasciano tregua, a parte quando passo il tempo con Sally. Lei sì che riesce a farmi ridere, a strapparmi un sorriso nonostante tutto! Vorrei essere come lei: forte e sempre pronta a tutto.
«Muoviti! Oggi ti accompagno a scuola.» la sua voce delicata mi rende improvvisamente allegra e leggera come una piuma.
Distolgo lo sguardo dal mio riflesso e afferro la cartella già pronta che avevo depositato sulla sedia della scrivania in vetro vicino alla finestra della mia stanza.
«Eccomi qui!» esclamo non appena spalanco la porta. Mi ritrovo faccia a faccia con Sally che sembra aver capito ancora una volta, l'ennesima, come io mi senta.
«Che c'è sorellina?!» mi chiede con tono preoccupato posando la sua mano sulla spalla destra.
«Nulla...» rispondo io poco convinta. Quel "nulla" vuol dire "tutto". «Non ho voglia di parlarne, scusa. Mi dispiace...» Lei lo capisce e mi schiocca un bacio sulla guancia strappandomi un sorriso dalle labbra.
Ci precipitiamo fuori, salgo in macchina, accendo la radio sulla mia stazione preferita e mia sorella mette in moto girando la chiave più volte. La macchina è molto vecchia, era di nostra nonna, e se parte è un miracolo!
Come ogni giorno la mia voglia di andare a scuola equivale esattamente a zero! Non sopporto vedere gli occhi di tutti puntati su di me o sentire le chiacchiere e le risatine provenire dalle lingue biforcute delle ragazze della mia scuola; dimenticavo... i maschi non son da meno. Soprattutto uno: Jonathan. È un ragazzo come molti altri; capelli neri che porta sempre con una folta cresta al centro della testa, occhi di un marron scuro, carnagione olivastra e un corpo muscoloso. È il capo di una piccola combriccola e non è conosciuto certamente per la sua fama di bravo ragazzo bensì per l'esatto contrario. Però, secondo me, nasconde qualcosa dietro all'immagine, al muro, che si è creato. È una maschera e ne sono sempre stata attratta. Non so per quale motivo... forse per curiosità o forse perché credo che ci sia qualcosa che accomuni noi, per quanto diversi possiamo sembrare. Almeno di una cosa sono sicura al cento per cento: lui non mi guarderà mai come io guardo lui!
Sally parcheggia l'automobile esattamente davanti al cancello d'entrata della scuola, ma dall'altra parte della strada.
«Buona giornata Mary e ricordati: non dar retta a chi ti guarda male o a chi ti prende in giro!»
Annuisco, ma dentro di me so per certo che non ci riuscirò mai.
Scendo dalla macchina e saluto mia sorella agitando la mano. Quanto le voglio bene, non ci sono parole per descrivere quello che provo per lei, penso. Siamo sempre state molto legate e abbiamo passato molti bei momenti insieme. Ripenso alle nostre ultime vacanze in montagna in Trentino. Sono state bellissime e, in particolare, mi ricordo la domenica quando eravamo andati a giocare con la neve. Oltre ad aver costruito un meraviglioso pupazzo di neve con tanto di berretto, sciarpa e carota come naso, non la smettevamo di lanciarci le palle di neve, che arrivavano fresche a bagnarti il viso.
Attraverso la strada e supero la soglia del cancello raggiungendo il portone d'ingresso principale.
Risate, schiamazzi, indici che non la smettono di indicarmi. La solita storia. Cerco di controllarmi, invano. Mi asciugo le lacrime che rigano la pelle delle guance con le mani che mi tremano; trattengo il fiato e cerco di calmarmi.
Respiro profondamente e mi faccio coraggio dicendomi che fra poco passerà e sarà tutto finito, ma non serve a nulla, perché altre lacrime minacciano di uscire dagli occhi gonfi e rossi. Mi sento uno straccio.
Non mi curo della gente che continua a guardarmi da testa a piedi e proseguo diritta, testa bassa, fino a quando una mano non mi blocca afferrandomi il braccio.
«Tutto bene?!» una voce rauca e profonda mi pone la domanda usando un tono di voce gentile e preoccupato. Alzo gli occhi e li incrocio con quelli di Jonathan. Il mio cuore inizia a battere in un modo irregolare. È la prima volta, in tutti questi anni, che ci vediamo a scuola che mi rivolge la parola! Come fa a parlare a me? Alla sfigata che tutti prendono in giro?!
Rimango imbambolata a contemplare i lineamenti rigidi del suo volto finché non sprofondo nel buio dei suoi occhi.
«S-sì...» rispondo incerta continuando a fissare il suo viso perfetto.
«Sei sicura?» La rabbia si impossessa del mio stato d'animo e mi riporta alla realtà. Devo ricordare che lui è il cattivo ragazzo, quello trasgressivo, maleducato e arrogante che fino all'altro giorno mi prendeva in giro come gli altri suoi amici per il mio aspetto fisico.
Respiro profondamente, liberandomi della sua presa.
«E a te che te ne importa?» chiedo arrabbiata. Sono infastidita non con lui, in fondo, ma con me stessa. Come posso cadere ai suoi occhi dopo tutto quello che mi ha inflitto? Devo rimanere lucida e ricordarmi quello che poco fa mi ero detta. Questo sarà uno dei suoi trucchetti da Don Giovanni per far cadere in trappola la sua preda e poi divorarla in tutti i modi possibili e immaginabili di questo mondo!
«Se te lo chiedo vuol dire che forse mi interessa!» afferma ironicamente alzando un sopracciglio. Ed ecco qui la sua espressione da sbruffone che sostituisce quella preoccupata di prima. Il mio istinto aveva ragione e Jonathan riceve delle occhiate divertite dai ragazzi che ci circondano. Però non ride, non si lascia trasportare come ha sempre fatto; anzi si volta verso la loro direzione e li guarda in malo modo.
Rimango a bocca aperta e loro tornano a chiacchierare senza disturbarci.
«Scusa, ma non ho tempo per i tuoi giochetti!» esclamo sempre più arrabbiata. Non voglio crollare a piangere davanti a lui!
Senza rivolgergli un'occhiata in più, giro i tacchi e me ne vado.
Trattengo le lacrime e odio me stessa. Come posso pretendere che le altre persone siano gentili con me se io sono la prima che non dà loro l'opportunità per dimostrare che siano finalmente e veramente cambiati nei miei confronti? Perché non ho dato la possibilità a Jonathan di parlarmi come una persona normale? Forse perché non voglio e non riesco a dimenticare il dolore che ho sopportato fino ad ora, forse perché voglio farla pagare a tutti anche se non so come, o semplicemente per orgoglio, per farmi vedere una persona forte quando in realtà non lo sono. Mi blocco davanti alla porta dell'aula per riflettere all'ultimo "forse" che ho realizzato, capendo che sto facendo il loro stesso errore! Sono molto confusa...
***
La mattinata è passata più velocemente del previsto, per mia fortuna!
Non riuscivo a sopportare i continui sguardi, le chiacchiere e le risate di tutti. Non ho più rivisto Jonathan e lui ovviamente non mi ha cercata. Preferisco non pensarci.
Proprio quando sto per chiamare mia sorella al telefono, una voce famigliare mi spaventa. È lui, è proprio Jonathan! Dentro di me sono felice come mai mi sono sentita prima d'ora...
«Mary... aspetta!» metto il telefono dentro alla tasca del giubbotto e aspetto che mi raggiunga.
Quando lui è completamente vicino a me, mi blocco, non so che dire e come comportarmi con lui. Decido così di stare zitta e aspettare che sia lui ad iniziare il discorso, visto che è lui che mi ha richiamata. In realtà non è solo per questo, ma anche perché ho paura all'idea di parlare con qualcuno che non sia mia sorella!
«Volevo solo scusarmi...» rimango a bocca aperta con gli occhi strabiliati. Perché mai dovrei credergli? Ed eccoci qui con la solita storia... devo mettermi in testa che mi devo fidare un po' di più delle persone che non conosco! «Mi dispiace...» sussurra. All'improvviso non sembra il ragazzo tanto sicuro di sé, ma piuttosto un bambino che si è pentito di aver combinato una marachella.
Non so che dire e credo di non avere il coraggio di parlare con lui.
«Ti va se facciamo una camminata insieme?!» distoglie un momento i suoi occhi dai miei ed io mi faccio improvvisamente rossa come un peperone. «Ti faccio vedere un posto speciale!» aggiunge riportando lo sguardo su di me, sorridendomi. Faccio per aprir bocca, ma le parole mi muoiono in gola; il suo sorriso è dannatamente bello e messo in risalto da due fossette meravigliose. I suoi denti bianchi e perfettamente allineati risaltano la sua carnagione mulatta. È veramente bellissimo! Annuisco senza smettere di guardarlo; ne sono completamente incantata, stregata.
Ci allontaniamo dalla scuola sotto lo sguardo indagatore dei coetanei. Dev'essere proprio un duro colpo e un'amara verità per tutti quanti. Potrebbe essere uno scoop, un titolo di giornale: "La ragazza sfigata e poco in forma di nome Mary che cammina a fianco di Jonathan, il ragazzo più ambito e guardato da tutte quelle della scuola!"
Questo pensiero mi rende felice e perciò non riesco a smettere di trattenere un sorriso. Jonathan se ne accorge e mi guarda confuso.
«Che c'è?» mi chiede con voce roca.
«Nulla...» dico per poi guardarmi in giro. Non c'è completamente nulla, solo alberi dalle chiome verdeggianti, cespugli fitti e fiori di diversi colori: dal rosa chiaro all'arancione. Per non parlare poi dell'aria sana che si respira, sa di fiori e sottobosco. Due aromi: uno delicato e l'altro più forte che si abbinano benissimo uno con l'altro. Sento anche il suono dell'acqua che scorre, probabilmente un piccolo ruscello di acqua cristallina. Tutto questo accompagnato infine dal cinguettare degli uccellini. Che bel posto, è stato proprio carino a portarmi qui, ma non comprendo ancora il motivo di tutto questo; perciò decido di chiederglielo, ormai stufa di aspettare: «È da più di tre quarti d'ora che camminiamo...» gli faccio notare. «Cos'è che vuoi fare in questo posto? Con me, poi...» pronuncio le mie ultime parole con una certa enfasi come per sottolineare che trovi strana questa situazione.
Lui posa di nuovo lo sguardo sul mio e di nuovo il mio cuore perde un battito.
«Ci sono venuto con te e allora? Cosa vuoi dire con questa frase? Hai paura che ti prenda in giro o ti faccia del male?» chiede ancora ironico, ma il suo sguardo si incupisce tutto ad un tratto.
«Ho le mie buone ragioni per non sentirmi al sicuro con te...»
«Hai ragione e proprio per questo ti ho portata qui!» prende la mia mano tremante fra la sua. Il contatto è piacevole e inaspettato. Una parte di me mi dice che questo momento cambierà qualcosa, anche se ancora non so cosa, mentre l'altra – quella più razionale – continua a ripetermi che sto facendo una grande sciocchezza. Non me ne importa, voglio seguire il mio cuore!
Lo lascio fare, ma lui si ritrae velocemente e mi fa cenno di sedermi per terra, sul prato.
Non ci penso due volte e mi sistemo sulla soffice erba verde brillante dove non ci sono molti fiori, non vorrei rovinarli sedendomi sopra ad essi. Lui fa lo stesso, fissando il vuoto davanti a sé in silenzio.
«Come hai scoperto questo posto?» chiedo curiosa per dare il via ad una semplice conversazione.
«Ci vengo spesso quando mi sento solo...» all'improvviso sembra triste e mi riaffiora in mente l'immagine di lui, visto come un bambino. Più lo guardo e più mi rendo conto che la maschera che indossa si sgretola davanti ai miei occhi. Lui non è il cattivo ragazzo che vuol far credere...
«Scusa... non volevo che diventassi triste a causa mia...»
«Non è colpa tua se sono così, ma mia. La colpa è solo mia!» esclama con una punta di amarezza.
«Ascoltami Mary... io non sono il Jonathan che vedi a scuola o con gli amici, non sono quel genere di persona. Il vero Jonathan è un ragazzo che ha sofferto molto e che per sfogarsi ha deciso, di sua spontanea volontà, di diventare così, di non obbedire alle regole e, soprattutto, di prendere in giro la gente meno fortunata...» una lacrima traditrice gli riga il viso. Lo vedo sempre più agitato tanto che noto le sue spalle alzarsi e abbassarsi ad un ritmo spropositato.
«Cosa c'è che non va?» gli chiedo, ma subito dopo me ne pento! Non voglio passare per la curiosona di turno che non sa farsi gli affaracci suoi e comunque non mi sarei mai aspettata una simile reazione da parte sua... solo ora capisco quanto sia fragile e tormentata la sua anima. Rifletto sulle parole che poco fa mi disse "Il vero Jonathan è un ragazzo che ha sofferto molto e che per sfogarsi ha deciso, di sua spontanea volontà, di diventare così...". Forse è proprio questo il motivo per il quale ha deciso di provare a diventare un'altra persona... chissà, magari è successo qualcosa in passato che l'ha particolarmente scosso e segnato.
«Io... io devo parlarne con qualcuno, non ce la faccio più a tenermi tutto dentro, a continuare a fingere...» la sua voce è strozzata e, preoccupata, appoggio la mia mano alle sue spalle che non la smettono di tremare.
«Calmati... puoi dirmi tutto quello che vuoi se pensi che la cosa ti faccia stare un po' meglio...» dico con tono dolce e convincente.
«Mia sorella si chiamava Elizabeth...» singhiozza, mentre io gli ripeto di stare tranquillo. «Era una ragazza solare e piena di voglia di vivere, ma un giorno ha iniziato a non mangiare più, a lasciarsi andare solo perché il suo fidanzato l'aveva lasciata per un'altra...» Jonathan inizia finalmente a calmarsi mentre io sono sempre più interessata a quello che mi sta per confidare. «È morta di anoressia due anni fa... e io, da quel giorno, non faccio altro che sentirmi in colpa per non essermi accorto prima di cosa stesse passando in quel periodo, di come si sentisse...» rimango a bocca aperta. Anche se pensavo ci fosse un motivo serio dietro alle sue lacrime non pensavo a qualcosa di così... grave!
«Oh... mi dispiace...» lui mi guarda ancora con lo sguardo perso. «Sono comunque sicura che tua sorella ti voglia bene e te ne vorrà sempre, anche ora che non c'è più!» È la prima volta che mi capita di consolare qualcuno; è sempre stato il contrario e perciò spero di non aver detto qualcosa di sbagliato.
Si avvicina sempre di più al mio viso con un'esagerata lentezza, come se stesse aspettando il mio consenso, la mia approvazione... ma io non faccio nulla, non mi muovo di un solo millimetro e non proferisco alcuna parola.
Ora le sue labbra sono a un soffio dalle mie. Posso sentire il suo caldo respiro pizzicarmi la pelle provocandomi dei brividi; brividi di felicità e, al tempo stesso paura, che attraversano la mia schiena e mi lasciano disarmata!
Solo pochi istanti dopo, quando finalmente le sue labbra soffici accarezzano le mie e le avvolgono in una dolce danza, realizzo quello che sta succedendo.
Chiudo gli occhi e continuo a danzare seguendo il ritmo delicato che lui detta a me... il tempo si ferma, non sento più suoni e rumori di alcun tipo... è come se il mondo si fosse preso una pausa per noi due: due ragazzi molto diversi, ma simili!
«Scusa...» mi sussurra fra un bacio ed un altro «Sono stato un cretino a sfogarmi con te solo perché non avevi un "fisico perfetto"...» sorrido. «La verità...» comincia, staccandosi leggermente dalle mie labbra per guardarmi negli occhi. «La verità è che ho fatto tutto questo solo perché avevo paura di ciò che provavo per te...»
Sono sempre più felice e il mio sorriso raggiante ne è la prova.
«Beh... per me, la verità, è che non bisogna essere belli fuori per amare qualcuno, ma dentro... e l'ho capito solo ora!»
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