Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Prologo


Sono un lupo che guida un branco di leoni.

Me li mandano tutti uguali, all'inizio: si credono esemplari alfa che mordono prima ancora di essere scoperti, invece sono solo cuccioli che fendono l'aria con i dentini da latte.

Sono piccoli e sporchi randagi che inseguono una vocazione senza avere una meta: indisciplinati, schiumano una rabbia che li rende più pericolosi per sé che per gli altri.

Ed è proprio tra questi avanzi di battaglie perse che scovo i migliori.

Me li mandano che sembrano rottami, io ne faccio macchine da guerra.

Era così anche lei, naturalmente, era così anche Alice: si dimenava come un cavallo imbizzarrito violando le regole, sfidando l'autorità e sputando sentenze velenose sull'organizzaizone che le aveva offerto tutto quello di cui aveva bisogno.

Ma lei non voleva più aver bisogno di niente, e di nessuno.

Era perfetta per il mio branco: una leonessa agile e insospettabile, incazzata col mondo e piena di risorse, talento, grinta.

Sono tutti imprevedibili, all'inizio, i miei cuccioli. Ma siccome lei era più stronza, è rimasta imprevedibile.

Sto aspettando che entri di nuovo da quella porta, dopo mesi di lontananza. Non entrerà sola, credo. Suppongo ci sarà anche lui, e probabilmente dovrò rendere conto di come la ribellione di Alice non sia altro che un mio errore di valutazione, il mio primo fallimento.

E chissà se adesso che ha sperimentato di nuovo il dolore della prigionia e l'umiliazione delle sbarre avrà ancora quella grinta nello sguardo e quella cattiveria incastonata nel broncio delle labbra.

Chissà se finalmente si è piegata.

Chissà cosa ne sarà di lei, di noi.

Del mio branco di leoni.

Chissà se smetterò di essere dilaniato dal desiderio di abbeverarmi dalla sua bocca.

                                                                                      ***

Il clangore del metallo si disperde nell'eco del corridoio troppo lungo, troppo vuoto, troppo buio. Cancelli a sbarre che si aprono e si richiudono trasformano il triste panorama in un foglio a strisce. La guardia davanti a me cammina senza fretta, trascinando I piedi sul pavimento di linoleum, le chiavi che tintinnano penzolando dalle sue dita.

Questo posto non è per lei. Ci muore qua dentro, cazzo. Ci muore, abbiamo aspettato troppo. Mi si attorciglia lo stomaco a pensarla qui, a pensarla di nuovo sbattuta in una gabbia. Metri e metri di sbarre, sbarre, e ancora sbarre lungo I lati del corridoio. Così per tre piani.
Luci flebilissime trasformano I corpi addormentati sulle brandine e sui letti in sagome di composte di buio e sconfitte. Ci fermiamo davanti alla sua cella.
Alice è una figura piccina, raggomitolata in un angolino del letto a castello occupato solo da lei.

Chissà se dorme. Chissà se ha pianto. Chissà se sta piangendo ancora.

Vorrei sciogliere quelle sbarre e strapparle via dalla pelle le cicatrici invisibili che questa nuova prigionia le sta lasciando.
La porta della cella si apre in un cigolio fastidioso. Sono venuto di notte per dare meno nell'occhio, ma questo casino che infilza gli incubi dei detenuti farà più scalpore di una parata di cheerleader in Vaticano. Fa lo stesso. La porto via. Me la porto via, cazzo.

Alice si gira, riconosco la zazzera di capelli ribelli e corti, la spalle strette e il volto affilato. Si alza quasi di scatto a sedere.

«Mivato. Sei libera.»
Ma la voce della guardia la pietrifica, lo fissa come fanno i cerbiatti colti dai fanali delle auto.

Faccio due passi avanti, e i suoi occhi si spostano su di me. Si spalancano.
«Alice. Sono venuto a prenderti.»

Sorpresa, confusione, forse una certa dose di paura: si sussegue di tutto nella sua espressione guardinga, ma quando allungo la mano, lei la prende. È fredda, ma quel tocco mi scalda di nuovo. Mi è mancata. Da morire. Le stringo la mano nel palmo e la faccio alzare, una carezza fugace sulla guancia scavata. Non fa domande, ma ne ha tante, si ammassano tutte nei suoi occhietti stanchi che sembrano cercare ancora di mettermi a fuoco. Mi guarda come fossi un fantasma, un ricordo che prende forma nel posto sbagliato.
Nel silenzio più totale, riprendiamo quel poco che aveva con sé quando l'hanno messa dentro e usciamo da quel posto di merda; io con addosso un Pignatelli da quasi cinquemila euro, lei con la divisa del carcere.

Cerco di non pensare a quanto la sua andatura sia peggiorata dall'ultima volta che l'ho vista, due anni e mezzo fa. Ma Wolf non me ne ha parlato, quindi dev'essere conseguenza dei suoi due mesi in prigione.
Mi sforzo di credere che passerà.

Non apro lo sportello dell'auto, perché se lei ha talmente tante domande da non essere in grado di verbalizzarle, io ne ho una sola e mi esce dalla bocca come un proiettile.

«Perché? Perché lo hai fatto?»
Si appoggia con la schiena alla vettura, come se la risposta le pesasse troppo per restare in piedi. «Perché era l'unico modo.»

È Spettinata, arruffata. Bellissima. Mi prendo la libertà di toccarla ancora, beneficiare della condivisione della sua pelle con una carezza.

«No, Alice. L'unico modo era un altro. Dovevi aspettare.»

Scuote la testolina, la bocca carnosa piegata in una smorfia. «Aspettare non era un'opzione. Era un inferno.»

«E questo non lo è?» alzo la voce, indicando il carcere alle nostre spalle.

E poi, in questo momento, mi regala un sorriso e una risposta che probabilmente non dimenticherò mai più.

«Sì, questo lo è. Ma solo per me.»

Non resisto più: prendo quel piccolo fascio di nervi e muscoli e la stringo tra le braccia, ricambiato. Dopo tanto tempo, quando ce l'ho così vicina, nelle narici sento ancora l'odore del fieno. L'odore di Alice. Non ho voglia di lasciarla andare e lei, forse, non ha voglia di essere lasciata andare. Fa la sua prima domanda senza alzare la testa e il suo fiato tiepido mi solletica la gola.

«Chi ti ha mandato?»Soffoco un sorriso tra i suoi capelli scuri

«Nessuno.»

«Ma...»

«Ti riporto da Wolf. Devi decidere, Alice. O sei dentro, o sei fuori. Ma non puoi restare dentro e comportarti come se ne fossi fuori.»

Con un sospirone che mi sembra troppo grande per essere uscito da un corpo come il suo, scioglie l'abbraccio e mi guarda come aveva fatto la prima volta in cui l'ho vista: un misto di apprensione, fiducia e speranza.

«Ok, portami da lui. Ho avuto tempo per pensare.»

Un bacio. Ecco cosa vorrei. Le sue labbra sulle mie, la sua lingua nella mia bocca, le sue dita sottili e forti aggrappate alle mie spalle. Anni senza vederla, senza toccarla, senza la sua voce a solleticarmi le orecchie. Potrei prendermelo, quel bacio. Me lo darebbe. Ma è stanca. Confusa. Sarebbe un furto. Voglio ciò che è mio, non ciò che è suo. O, peggio ancora, di Wolf.

«Mi sei mancata. Mi sta sul cazzo, adesso, portarti da Wolf. Non credo esista un altro gomitolo di grinta, guai e strafottenza piccolo e sexy come te, al mondo.»

Arriccia il naso, in un'espressione buffa e nostalgica. «Esiste. L'ho conosciuta. Ha i capelli rossi e una mano zombie.»

«Non ho capito... »

«Fa lo stesso. Andiamo? Il nostro capo ci aspetta.»

Mi decido ad aprire l'auto, ma prima di mettere in moto, ci tengo a precisare una cosa. La farà incazzare, credo.

«Alice... »

Accende il riscaldamento e aziona l'autoradio. Nella mia auto, si è sempre comportata come se fosse sua. Mi fa dono di un po' di attenzione solo quando trova una stazione che trasmette una canzone che le piace.
Mi pianta gli occhi addosso. Lo sguardo adulto, su un viso giovane. Non so nemmeno quanti anni ha di preciso. Venticinque? Ventisei? Pochi, comunque, rispetto ai miei.

«Alice. Io non prendo ordini da Wolf.»

«Pensavo ti avesse mandato lui.»

«Ti ho detto che non mi ha mandato nessuno.»

«Allora come lo sapevi?»

Avvio l'auto, per allontanarla ancora un po' dalle sbarre della prigione.

«Lo so proprio perché non prendo ordini da Wolf. Lui li prende da me. Sono io che comando. Io che supervisiono tutte le squadre italiane di ELA.» Una pausa. Mi serve per dare forma a quello che so. A quello di cui faccio parte. A quello che siamo. Io. Lei. Wolf. Tutti quanti.
«Ma l'organizzazione è più grande. Più di me. Più di ELA. Più di quanto puoi immaginare e più di quanto io possa provare a spiegarti. Disturbia è molto più di una app, ed ELA è molto meno di Disturbia.»

Metto in moto, ascolto le sue domande senza vederne l'espressione. La porto da Alex, il lupo. Il capobranco. Quello che doveva evitare accadesse quello è accaduto.

SPAZIO AUTRICE
Ecco, ho pensato che per complicare le cose fin da subito potevo fare 2 cose:
Iniziare dalla fine
Usare un pov dichiarato e uno misterioso 🤣🤣
Bene. Se non Ve ne siete già andate possiamo tornare indietro...a quando tutto ha avuto inizio

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro