3 In questo posto non esiste la privacy
La trovai dove non doveva essere. La vidi da lontano, senza chiedermi se in realtà l'avevo cercata.
Indossava gli stessi abiti del colloquio, e quindi non solo si trovava dove non doveva, ma non era nemmeno passata dal posto in cui era tenuta a recarsi.
Se ne stava lì, sdraiata all'ombra di una delle nostre magnolie, con la testa di capelli neri appoggiata al torace del suo cane. Avrebbe potuto semplicemente chiedere indicazioni, ma evidentemente aveva scelto di non farlo.
Ziva, accanto a me, li guardava con la pazienza di una creatura centenaria.
«Ok ragazza, andiamo a capire meglio con chi abbiamo a che fare.»
Di certo mi vide avvicinarmi, ma non si mosse nemmeno quando le fui accanto. Invece di guardare me, Alice osservò Ziva. Il suo cane fece lo stesso. Parevano in simbiosi, quei due. «Quanto è costato il pedigree del tuo cane?»
Un'accusa che non aveva nemmeno cercato di camuffare.
«Ziva non ha un pedigree. Se ce l'aveva, è rimasto a bruciare nell'allevamento abusivo da cui l'ho sottratta quattro anni fa.»
Mi fece l'onore di alzare la schiena e mettersi quantomeno a sedere. Spostò lo sguardo su di me. Il suo cane rimase invece inchiodato a guardare il mio come fosse la Madonna.
«E gli altri cuccioli come lei?»
«Ziva era la fattrice, non un cucciolo.»
«Oh. È un esemplare bellissimo. Un lupo cecoslovacco, giusto?»
Vero, Ziva era bellissima. Quando l'avevo trovata, era anche parecchio stronza. Era stato impegnativo rieducarla e conquistare la sua fiducia.
«Sì. Ma tu non dovresti essere qui.»
Si alzò in piedi, scrollandosi via terra ed erba dai jeans, senza preoccuparsi di darsi una sistemata ai capelli corti e arruffati.
«E dove dovrei essere?»
«Nel tuo dormitorio, a sistemare le tue cose e a prepararti per il primo giorno di addestramento. Ti sei persa?»
Aveva ciglia lunghe e scure, che sbatté un paio di volte sugli occhi marroni prima di rispondere. Lo fece con una piccola smorfia sulla faccia, ma stringendosi nelle spalle sottili. Tanti piccoli gesti che a un educatore non potevano sfuggire.
«Sarebbe davvero un cliché. No, non mi sono persa.»
«E allora perché non sei nella tua stanza?»
Distese la smorfia e nacque un sorriso. Era carina. Su quel viso le si poteva leggere tutto: quello che provava, quello che voleva far credere di provare e la difficoltà nel far convivere le due cose. «Non so dov'è.»
«Ma hai appena detto di non esserti persa.»
«Si perde chi vuole raggiungere un posto e non ci riesce. Io non ci ho nemmeno provato. Sto qua ad aspettare.»
«Aspetti che sia il dormitorio a venire da te? Tipo Maometto e la sua montagna?»
Abbassò lo sguardo sul suo cane, e fui abbastanza certo lo avesse fatto per non darmi la soddisfazione di vederla sorridere ancora di più.
«Aspetto la psicopatica che mi ha preso la mappa e poi è sparita come Houdini.»
Io non feci nulla per nascondere il mio, di sorriso divertito.
«Hai conosciuto Carmen.»
«Sì. È matta da legare, ficcanaso, invadente e cleptomane.»
«Comunque Houdini era un escapologo. Lui non spariva. Lui si liberava.»
«Fatto sta che era bravo nel suo lavoro.»
«È morto durante un'esibizione. »
«È una leggenda metropolitana, e comunque non credo che Carmen sia passata a miglior vita nel tentativo di liberarsi della prigionia della mia mappa.»
«Carmen non passerà di qui. »
«Che ne sai?»
«Sa che sei qui e che rivuoi la tua mappa.»
«Schizofrenica, cleptomane e pure telepatica?»
«Sì, direi che hai riassunto buona parte del suo curriculum.»
Incrociò le braccia scoperte, la fronte aggrottata. «Ma che vuole da me e dalla mia mappa?»
«Credo voglia solo che ti accompagni io alla tua stanza.»
«Perché?»
«Perché è stronza e non è d'accordo.»
«D'accordo con cosa?»
«Seguimi. Vediamo se ha ragione.»
Per un secondo, vedendo il passo elegante e maestoso di Ziva accanto a quello sgraziato e scoordinato del cane di Alice, mi chiesi se anche io e lei apparivamo così. Me ne vergognai immediatamente: la zoppia di Alice non era particolarmente evidente e la sua andatura non pareva risentirne in termini di velocità. Eppure la consapevolezza della sua condizione mi costrinse a tenere un passo appena più lento del solito. Sperai non se ne accorgesse. E con una certa preoccupazione, sperai non se ne accorgesse mai nemmeno Xavier. Il dormitorio di Alice era nel blocco 1. La struttura della base era composta da una serie di edifici autonomi: tre destinati al soggiorno dei membri, con le stanze, una lavanderia e un bar, uno destinato all'istruzione con le aule, la biblioteca e i laboratori, uno destinato all'attività fisica con piscina e palestra e infine quello destinato alle zone comuni, quindi mensa e sale relax. Le mostrai il bar, aperto fino alle 3 di notte.
«Hanno I gelati?»
«Sì, certo. Anche un ottimo caffè.»
«Preferisco il gelato. Quello con I pezzi di fragola dentro c'è?»
Lo chiese con un tale entusiasmo che mi sentii in colpa nel dirle la verità. «Non lo so. Nelle altre basi c'era?»
«Solo alla base 9. Nelle altre non l'ho più trovato. Ma mi piacciono anche le patatine al formaggio, vedo che ci sono» rispose, indicandole dalla vetrina
Quando entrammo nell'atrio, si diresse subito verso le scale. E seppi che quella piccola stronza di Carmen aveva ragione.
«La tua stanza è al piano terra.»
Si girò guardandomi come se le avessi sparato. «Perché?»
«Perché no?»
«Quante stanze ci sono al piano terra?»
Sospirai. «Ci sono I locali tecnici, la lavanderia, lo sgabuzzino e una sala lettura.»
«E la mia stanza.»
«Esatto.»
«Soltanto la mia.»
Non mi scomposi, nel renderla partecipe della verità. «Volevamo evitarti le scale.»
Mi venne letteralmente sotto al naso. Il suo era arricciato. L'indignazione le donava.
«Mi vuoi far arrampicare su per I muri dei laboratori vivisezionisti ma le scale ti fanno sentire in colpa? Pensavo avesse qualche rotella fuori posto la tipetta con I codini, ma tu stai messo pure peggio.»
«Io sono il tuo superiore, Mivato. Il più alto in grado, qua dentro.»
«Dovevano farti un test d'intelligenza prima di darti il posto!»
Il chiacchiericcio dell'atrio e della tromba delle scale conobbe un'improvvisa battuta d'arresto. Alzai gli occhi sulla piccola ma pettegola folla che fingeva malissimo di passare di lì per caso dopo aver sentito il tono di voce con cui Alice si era rivolta al sottoscritto. Si volatizzarono più in fretta di come erano comparsi. Abbassai di nuovo lo sguardo su di lei.
«Vuoi farti le scale dieci volte al giorno?»
«Come tutti gli altri.»
«Gli altri non hanno un femore ridotto come il tuo.»
«Che ne sai del mio femore?»
«Ho guardato le tue lastre.»
«Ma non esiste la privacy in questo posto? »
«No.»
Incassò la risposta ritirandosi appena un po' con il volto. «C'è una stanza libera al primo piano?» chiese, in un bisbiglio che mantenne comunque qualche traccia di arroganza.
No, non c'era. «Sì, certo.»
«Posso avere quella?»
«Avrai quella. Adesso vai a scoprire se c'è il gelato con I pezzi di fragola al bar. Ti faccio chiamare non appena è pronta la stanza.»
Seguita dal suo cane andò ad accomodarsi. Io feci traslocare una recluta al secondo piano e spostare le poche cose di Alice nella stanza del primo piano. L'accompagnai per constatare di persona che no, non aveva alcun problema a fare le scale, almeno in salita. Era il suo primo giorno, quindi l'avrei messa alla prova in discesa successivamente, lontana dagli occhi di Xavier. Dovevo sapere se era in grado di correre giù per una scala e a che velocità.
Le rassicurazioni giunte dai colleghi delle altre basi non mi bastavano: alla base 17 avevamo sempre contato su un ratto eccezionale. Se Alice non fosse stata all'altezza, avremmo dovuto trovare per lei un altro ruolo. Lasciai il dormitorio della ragazza per raggiungere l'ufficio di Xavier. Durante il tragitto imprecai contro Carmen e il suo avere ragione un po' troppo spesso.
***
Xavier si sciupava gli occhi su quelle planimetrie da settimane. E prima se li era sciupati nel leggere le testimonianze e nel guardare le foto sfocate e troppo mosse scattate dalle nostre talpe.
Entrai nel suo ufficio senza che nemmeno mi avesse sentito.
Alzò lo sguardo solo quando mi schiarii la voce per annunciarmi. Sospirò, rassegnato, appoggiando I fogli sulla scrivania. La sua espressione era l'emblema del dubbio e della sfiducia.
«Entrare in quel posto è come affrontare in un labirinto pieno di trappole con gli occhi bendati, e tu vuoi affidare questo compito a una recluta di quaranta chili e un deficit motorio.»
Mi lasciai cadere sulla poltrona davanti a lui. «Quando le affideremo questo compito non sarà più una recluta. E magari un paio di chili di muscoli glieli facciamo mettere su.»
Tamburellò le dita sul ripiano. «È una missione importante, Alex. Parliamo di centinaia di animali. Non era il momento migliore per cercare un nuovo ratto.»
«Non è mai il momento giusto. Prima vedremo Alice in azione in altre circostanze. Se non saremo soddisfatti, cambieremo I piani.»
Scosse la testa, tornando ad abbassare gli occhi sulle planimetrie. «Non abbiamo nessun piano. Non sappiamo come entrare.»
«Troveremo un modo. Ci hanno assicurato che Alice è un'incredibile acrobata, che è silenziosa e che è in grado di infilarsi dappertutto.»
«Si infila principalmente in un mare di guai.»
«Non sarebbe qui, altrimenti. Addestrala e non rompere.»
Accatastò dubbi e planimetrie da un lato e mi dedicò tutta la sua attenzione.«Non ho mai addestrato una recluta che zoppica. Devi dirmi quali limiti devo impormi.»
«Per ora nessuno. Lasciale provare tutto, come nelle altre basi. Se necessario adatteremo gli obiettivi di miglioramento a tempi differenti.»
«Hai dato un'occhiata alle sue cartelle cliniche?»
«Sì.»
Aggrottò la fronte. «E?»
«E concordo con chi lo ha fatto prima di me. Non è il caso di intervenire chirurgicamente. Il rischio supera di gran lunga il beneficio, Xavier.»
«È una condizione congenita?»
«No, anche se di certo se la trascina dietro dall'infanzia.»
«Ipotesi?»
«Una brutta frattura.»
«Curata male?»
Mi presi qualche attimo prima di rispondere. Avevo speso parecchi minuti sulle lastre di Alice, prima di decidere quale fosse la conclusione più plausibile. «Non curata affatto.»
Il mio socio si appoggiò pesantemente allo schienale. «Com'è possibile? Da dove viene? Famiglie affidatarie? Maltrattamenti? Cosa sappiamo?»
Mi alzai piano, e lo stesso fece Xavier. Era ora di dare inizio agli allenamenti del pomeriggio. «Quello che sappiamo è successivo alla frattura. Quando lui l'ha trovata, Alice zoppicava già» risposi, incamminandomi con lui di fianco.
«Quanti anni aveva?»
«Dodici. Si ipotizza.»
Il commento di Xavier gli uscì dalla bocca nel momento in cui aprimmo la porta e addentrandoci nel parco. «Porca puttana.»
«Sì, è più o meno lo stesso pensiero che ho avuto anche io.»
«Quanto scommettiamo che mi farà girare I coglioni già oggi?»
Sorrisi, lasciando il sentiero e prendendone uno laterale che mi avrebbe portato verso la squadra di membri che avrei allenato io. «E quanto scommettiamo che alla fine sarai fiero di lei? » risposi, alzando la voce per coprire la distanza che si era creata tra noi.
«In tal caso sarà tutto merito mio, del mio lavoro e della mia infinita pazienza.»
Mi voltai, che tanto sapevamo che avevamo una smorfia sbilenca stampata sulle nostre facce. «E del mio naturale istinto nel riconoscere I talenti, Xavier.»
«Fanculo, la mia parte è più faticosa. Stronzo!»
Mi strinsi nelle spalle, senza girarmi. In fondo, era vero.
SPAZIO AUTRICE
Non l'ho riletto, nè sistemato. Oggi è stata una giornata triste, il capitolo non è nemmeno completo ma avevo bisogno di una gioia, almeno una, nel giorno in cui ho accompagnato il mio cane con l'ultima carezza dall'altra parte del ponte.
Siete la mia gioia, oggi.
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