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XIV-Santa Ana

*Nobody puts Baby in a corner*
E sono ancora qui, incredibile! 
Nell'immagina c'è una scena di L'amore non va in vacanza, lo avete mai visto?
Sono molto legata a questo capitolo, spero vi piaccia <3

Ci vediamo nei commenti *-*

Azzurra si sbrigò a riporre il telefono, un attimo prima che Mirko si voltasse proprio verso di lei.

Era seduta per terra sulla soglia della sala del murales: le gambe incrociate e il blocco di disegni al suo fianco sul pavimento.

Mirko le sorrise prima di portare la sigaretta alle labbra, continuò a guardarla mentre faceva un tiro e buttava fuori il fumo dal naso e dalle labbra.

Azzurra abbassò gli occhi sui suoi disegni e si tirò in piedi: aveva finito di ricopiare il ritratto del giorno sul muro e poteva andare a prepararsi per la lezione di ballo.

Si chiese se Mirko la stesse fissando perché l'aveva beccata mentre gli scattava una foto, un attimo prima.

Stava ammirando il lavoro dall'ingresso della sala, quando si era accorta che lui era uscito a fumare: i capelli legati in un codino, la ciocca più corta gli pioveva sul naso aquilino, gli occhi chiari puntati sui suoi pensieri, le dita attorno alla sigaretta appoggiata tra le labbra morbide, le sopracciglia che cercano di scambiarsi un bacio, ma una profonda fossetta glielo impedisce. Come il silenzio impediva ad Azzurra di capire i suoi pensieri.

Chissà cosa lo teneva così concentrato, chissà.

Sbloccò il cellulare per guardare di nuovo la foto appena scattata, finse di fermarsi a leggere un messaggio a due passi dalla porta, lui si stava allontanando per andare a buttare la cicca.
L'avrebbe intitolata Cenere Sospesa come quella appesa alla sigaretta nello scatto, come quei pensieri aggrappati al fumo davanti ai suoi occhi, come il vuoto tra un salto e una caduta.

                                                                                          ***

Si incontrarono davanti alla porta: lui doveva rientrare, lei stava uscendo.

Le fece segno di passare, proprio come aveva fatto qualche ora prima per farla entrare al Porto.

Lei si passò una ciocca della frangetta sulla tempia, ma puntualmente tornò sulla fronte.

<<Grazie>> disse abbassando il volto, Mirko allargò il sorriso e prima di entrare si girò a guardarla.

Guardava il cielo plumbeo e di nuovo si chiese cosa vedesse nella forma delle nuvole.

<<Allora ci vediamo alle otto?>>
Voleva chiederle di mangiare insieme, ma non era sicuro di cosa avrebbe risposto.

Meglio aspettare, magari glielo avrebbe chiesto più tardi.

Lei si girò un'ultima volta con la cartellina dei disegni sotto al braccio e la borsa appesa alla spalla, il cappotto chiuso sotto al mento e i capelli sparsi ovunque.

<<Va bene>> rispose dolcemente, le guance gonfie di timidezza.

Una folata di vento sembrò ricordarle di andare, perché i capelli si spostarono tutti a destra in un colpo solo, la borsa afferrata da un mulinello birichino la tirò verso la stessa direzione.

Abbassò di nuovo gli occhi, poi li risollevò e lo inchiodò sul posto: quei due occhioni caldi e sinceri lo tenevano in pugno.

<<C'è un film>> iniziò aprendosi in un sorriso.

Si portò una ciocca scura, impigliato nella bocca, fra le dita e la riconsegnò al vento.

<<Si chiama L'amore non va in vacanza>> proseguì con gli occhi pieni di entusiasmo.

Mirko non capiva dove volesse arrivare e la cosa lo faceva impazzire e godere nelle stesso momento.

<<In una scena il personaggio di Kate Winslet incontra Miles, e proprio mentre si presentano una folata di vento fortissima li travolge>>

Mirko lanciò un'occhiata al cielo grigio tra i palazzi e alle buste di plastica che gonfiavano i polmoni per fischiare tra le macchine.

<<Allora Miles le dice che quello che soffiava era un vento particolare e che si diceva che quel vento portava cambiamenti, non si può fuggire al Santa Ana >> citò infine.

Si guardarono un secondo, poi lei scrollò le spalle e fece per andarsene.

<<Azzurra>> la richiamò, pronto a stupirla.

Lei si fermò a metà di un movimento, si girò verso di lui.

<<sì?>>

<<Non volare via>> si raccomandò, citando a sua volta quel film.

L'espressione che la colse fu impagabile.

Mirko sentì di arrossire, allora abbassò il mento e fece ciao con la mano.

                                                                        ***

Mirko si guardò nello specchio: il ciuffo più corto sfuggiva al codino e gli cadeva in mezzo agli occhi chiari.

Il bagno era silenzioso: la luce del lampione entrava dalla finestrella aperta sulla destra, le lampadine attorno allo specchio che correva sulla parete scaldavano la stanza blu.

Spostò lo sguardo dal suo riflesso accigliato al lavandino e si lavò le mani, afferrò la boccetta di profumo e ne spruzzò una generosa quantità sui polsi e sul collo.

Si chiedeva come sarebbe andata quella sera: sarebbe andato a prenderla sotto casa e poi?
Sarebbero andati a quella lezione di ballo, lui l'avrebbe osservata tutta la sera e avrebbe fantasticato su tutto ciò che di lei ancora non immaginava; o magari avrebbero dato buca all'argentina e avrebbero girato per tutta la notte.

Gli si illuminarono gli occhi.

Sì, sarebbe stato bello.

<<Eccoti finalmente>>

Mirko saltò dallo spavento e guardò verso la porta del bagno: Dario era appoggiato allo stipite, teneva le braccia incrociate all'altezza del petto e così facendo metteva in risalto i muscoli e i tatuaggi.

<<Non puoi capire che mi è successo!>>

Stava dicendo, ma Mirko lo superò con la testa fra le nuvole.

Attraversò il corridoio azzurro facendo spostare le fotografie appese alle pareti con precarie cornici di legnetti e cartoncini.

Dario continuava a parlare, ma Mirko non trovava il cappotto.

Un passo e un saltello, un passo e un saltello: raggiungere l'armadio non era mai stato tanto faticoso.

Dario gli stava alle calcagna fino a che non trovò un nuovo stipite a cui appoggiarsi, quello della camera da letto.

<<E infine un ippopotamo ha cagato in testa all'elefante>>
Mirko spalancò l'anta dell'armadio e finalmente vide il suo montgomery superfigo che gli cadeva a pennello.

<<Che?!>>

Si voltò verso l'amico e gli fece cenno di avvicinarsi.

Dario scosse la testa e sciolse le braccia.

<<Non mi stavi ascoltando, che hai?>>

<<Ho fretta>> rispose secco e indicò il montgomery nero.

<<Mi aiuti a metterlo, di grazia? Razza di oliva sottovuoto che vive a scrocco da me?>>
Dario mise su un'espressione supponente, fece segno a Mirko di scostarsi e con infinita lentezza tolse il cappotto dalla stampella

<<Innanzitutto sono a scrocco dai tuoi genitori, non da te. Secondo punto: oliva sottovuoto lo dici a tuo fratello.>>

Mirko alzò gli occhi al cielo e allargò le braccia.

<<Forza, aiutami>>
<<Terzo punto>> proseguì Dario, imperterrito.

<<La tua gentilezza è andata a farsi fottere al posto tuo? Scommetto che scopa più lei di te>>

Mirko allungò un pugno verso la spalla dell'amico, ma questi si scansò.
<<Che hai? Perché sei agitato?>>

Mirko finì con lo strappargli il montgomery dalle mani e infilarselo da sé.

<<Ho fretta, te l'ho detto. Devo uscire. E non esco da tanto tempo>>

Si sentiva come se non fosse mai uscito in vita sua.

Dario lo stava studiando.

<<Ho capito. E' come il gatto di Schrödinger>>

                                                                       ***

Giulia si dirigeva verso casa a passo svelto, il vento la spingeva scherzoso.

Si fermò ad un incrocio e si perse a guardare le nuvole: il cielo era grigio e gonfio di borbottii.

Tuttavia quelle raffiche di vento sembravano accompagnarla nel suo cammino.

Si disse che spesso ci si rimprovera di non vivere sempre col sorriso, di non saper sempre perdonare e capire, di non riuscire a controllare tutto.

In fondo, si disse, non era così che si poteva vivere: si è fatti per affrontare, per rimuginare, appallottolare i nostri rancori e trasformarli in barchette di carta che sfidano il vento contrario.

Perché è proprio così, a volte si vorrebbe risolvere sempre tutto e subito, ma non sempre i nodi si sciolgono all'istante, a volte i nodi resistono perché devono fermare qualcosa, e fa male cercare di scioglierli a mano nude.

A volte sentiamo di dover chiudere delle porte che ci sono state sbattute addosso, che ci stavano schiacciando e fa male, ma solo perché non devono essere sempre tutte aperte le porte della vita.

In certi momenti altre è meglio che siano chiuse e altre che siano spalancate.

In questo modo si riesce a non creare correnti ostinate e contrarie.

In questo modo si possono cavalcare le giuste raffiche di vento, quelle che servono ad arrivare a capire, a perdonare, a sorridere. 

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