7. Sei davvero felice?
Non sapeva come aveva fatto a trovare il coraggio di invitarlo a cena.
Eleonora era felice che avessero deciso di restare amici e di dimenticare quel bacio. Si sentiva già più tranquilla, anche a stare da sola con lui, sebbene il suo corpo non aveva ancora recepito. Restava fortemente attratto da lui, ogni tanto si ritrovava a fissargli le labbra o quei suoi occhi bellissimi e caldi. Come facevano un paio di occhi azzurri ad essere così caldi?
Quando la guardava sembrava che la stesse accarezzando.
Seduto sul suo divano, con gli avambracci sulle gambe, le rivolse un sorriso luminoso. «Cosa mi cucini?»
«Io pensavo di ordinare qualcosa, che vuoi mangiare?»
Olivier sollevò un sopracciglio. «Non dirmi che non sai cucinare...»
Eleonora aggrottò la fronte. «So cucinare, ma... »
Olivier si alzò. «Va bene, vorrà dire che cucinerò io per te.»
Percorse i pochi passi che lo separavano dalla cucina, seguito da Eleonora.
«No, Olivier, aspetta. È che non ho molto in frigo...»
Lui aveva già aperto lo sportello e stava frugando nel frigorifero. «Vediamo, cosa abbiamo qui... c'è dell'insalata, dei pomodori, e questo cos'è? Mm, pollo... ti va un'insalata di pollo?»
Non le aveva prestato ascolto, era partito come un treno e non la finiva più di parlare. «Olivier! Puoi smetterla, per favore?»
Le sue ampie spalle si tirarono indietro e ruotò la testa per guardarla. «Che c'è?»
«Non voglio che cucini. Adesso chiamo il ristorante e ci facciamo portare qualcosa.»
Lui sospirò, scuotendo la testa. «Non sai fare neanche un'insalata di pollo?»
Eleonora abbassò lo sguardo e afferrò il cellulare, sentendosi improvvisamente stupida. Come le era saltato in mente di invitarlo a cena se non aveva nulla in frigo? Sentiva le guance in fiamme. Ma non ce la faceva a stare da sola, dopo una giornata del genere voleva solo riempire quel vuoto che sentiva dentro. Non riusciva a digerire le parole del direttore. Facevano troppo male. Aveva sempre messo la sua carriera al primo posto, aveva dato il massimo in ogni occasione e pensava di essersi meritata quel posto al Milan. Scoprire che poteva essere dovuto alla posizione del suo ragazzo l'aveva devastata, facendola sentire poco brava.
Stare sola in casa quella sera l'avrebbe fatta sprofondare in un vortice di autocommiserazione e lei non voleva sentirsi così.
Olivier le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla. Lei dovette tirare indietro la testa per poterlo guardare negli occhi. Era così alto... e vicino. Era troppo vicino. Il calore della sua mano si irradiava per tutto il corpo.
«Perché non ti rilassi? Ho solo fatto una battuta. Non ti piace l'insalata di pollo?»
«Mi piace.»
Olivier le sfilò il cellulare dalle mani, poggiandolo sul tavolo. «Bene! Allora è andata. E ti aiuto a prepararla.»
Eleonora scosse la testa, rassegnata. «Ok, come vuoi tu.» Era una pessima padrona di casa, non c'erano dubbi.
Lo vide sorridere e tirarsi su le maniche della maglietta. Prese l'insalata e aprì l'acqua. Per qualche secondo rimase ipnotizzata a guardare le mani di Olivier lavare con cura ogni foglia. Scivolavano sulla lattuga con delicatezza, proprio come avevano fatto sul suo viso il giorno prima. Chiuse gli occhi e si voltò dall'altro lato, il cuore le batteva forte nel petto e quella smania era tornata. Si concentrò sul pollo e sulla fede che Olivier aveva al dito.
«Tua moglie e i tuoi figli come la stanno prendendo questa separazione?» Nell'intervista le aveva detto che avevano deciso di restare in Francia, almeno per i primi mesi.
Olivier non alzò gli occhi dall'insalata. «Come ti ho detto, è stata una decisione comune far iniziare la scuola ai nostri figli in Francia. Ma non siamo mai stati separati così a lungo e mi mancano.»
«Immagino sia dura per te.» Per l'ennesima volta in quella giornata si ritrovò a pensare al loro bacio.
Era stato solo un capriccio per Olivier, lo sapeva bene, per come aveva reagito lei appena lo aveva visto. Lui aveva la sua famiglia, sua moglie, non era minimamente interessato a lei. Eleonora sentì tanta tristezza montarle dentro, spazzata via subito dall'incredulità. Come le saltavano in mente quei pensieri? Anche lei aveva un fidanzato che amava. Però aveva provato tanto trasporto per Olivier e anche in quel preciso istante era attratta da lui.
«Posso farti una domanda?»
La voce di Olivier la tirò via dalla sua testa. Spostò lo sguardo su di lui. «Sì.»
«Sei felice con il tuo ragazzo?» Chiuse il rubinetto dell'acqua e si asciugò le mani sullo strofinaccio.
Come diavolo faceva a leggerle nel pensiero? Eleonora aprì la bocca per parlare e la richiuse subito. Non era più così sicura di essere felice con Matteo. In quel momento non lo era, e Matteo era solo una parte di quello che stava covando dentro. Osservò Olivier posare lo strofinaccio e rivolgere tutta la sua attenzione a lei. Perché proprio quella domanda? Forse le voleva dire che anche lui non era felice con la moglie? Forse voleva solo giustificare quel bacio con l'insoddisfazione e credeva che anche lei fosse insoddisfatta. Prese un bel respiro e si stampò un sorriso sulla faccia.
«Sono felice.»
Dallo sguardo che le riservò, non le credeva molto. «Sei davvero felice o credi di essere felice?»
«Dove vuoi arrivare, Olivier? È per il bacio di ieri? Non lo so cosa sia successo esattamente, mi sono sentita attratta da te ma questo non significa che non sono felice con il mio ragazzo.»
«Ah! Ti sei sentita attratta da me?»
«Io...» Eleonora chiuse gli occhi per sfuggire allo sguardo di Olivier e si massaggiò la fronte. «Sì. Sono... sono stata attratta da te.»
«Lo sei anche adesso?» La sua voce si era abbassata, smuovendole qualcosa dentro. Lui fece un passo in avanti e lei si ritrasse, finendo contro il muro.
Forse non era proprio una domanda, era una constatazione. Lui sapeva esattamente quello che stava succedendo dentro di lei, sapeva esattamente come stava reagendo il suo corpo.
«Olivier... no.» Aveva lo sguardo implorante, che gli chiedeva di non avvicinarsi ancora.
«Perché continuavi a negarlo?»
«Ti sembra normale quello che abbiamo fatto? Tu... tu sei sposato e io ho un fidanzato.»
«Un fidanzato con il quale non sei felice. Non dovresti sentirti in dovere di dovergli dimostrare sempre quanto vali. Lui dovrebbe... farti sentire a tuo agio e amata. Sempre.»
Lo sguardo di Olivier era intenso e caldo. Aveva le farfalle nello stomaco. Lui lo avrebbe fatto se fosse stato il suo uomo? L'avrebbe supportata e fatta sentire amata sempre? Cosa le stava succedendo? Sentirsi così presa da un uomo sposato che aveva conosciuto il giorno prima... Quei sentimenti per Olivier dovevano finire. Dovevano finire immediatamente.
«Che diavolo stai dicendo? Non sai niente di me e della mia vita.»
Lui si passò la lingua sulle labbra, in cerca della verità nei suoi occhi. «Hai ragione. Sono stato uno stronzo, ieri. Scusami.»
«Sì, sei stato uno stronzo. Ma ora è tutto passato, no?» Pose l'accento sulla parola "passato", perché quel bacio doveva essere dimenticato. Come se non fosse mai successo. Ora più che mai Eleonora aveva bisogno di spendere tutte le sue energie nel lavoro. Niente distrazioni e soprattutto niente più stupidaggini.
Olivier accennò un sorriso che nascondeva guai. «Tutto passato.»
Mezz'ora dopo erano a tavola e stavano ridendo a crepapelle. Oliver era un intrattenitore fenomenale, non perdeva mai occasione per fare qualche battuta divertente e parlava di continuo. Furono interrotti dal suono del cellulare di Eleonora e quando vide il mittente le si annodò lo stomaco. Non aveva voglia di parlare con Matteo e per un po' aveva dimenticato la loro lite.
Olivier notò il suo cambio di espressione e corrugò la fronte, raddrizzandosi sulla sedia. «Chi è?»
«È Matteo. Scusami un attimo.» Andò in camera e chiuse la porta. «Pronto?»
«Amore, dove sei finita? Non mi hai più chiamato.» Matteo aveva la sua solita voce serena. Non era realmente preoccupato per non averla sentita in tutte quelle ore, come se non fosse successo niente.
«Stavo risolvendo la questione dell'intervista» rispose secca. E stava cenando con Olivier, che proprio il giorno prima aveva baciato nel parcheggio di Milanello.
Sentì Matteo sospirare dall'altro capo. «Sei arrabbiata con me per quello che ha detto il direttore?»
Eleonora chiuse gli occhi. «Non sono arrabbiata con te, sono solo... Non mi piace sentirmi dire certe cose.»
«Hai ragione, non avrebbe dovuto dirlo. Però non prendertela con me, per favore.»
«Matteo, dimmi la verità.» Si morse l'interno del labbro. «Sono qui solo perché sono la tua ragazza?»
«Che dici? Sei lì perché lo meriti. Ascolta, domani vengo a Milano, ok? Non mi piace discutere con te quando non posso vederti...»
«Domani viene Gabriella, hai dimenticato?»
«Ah, Gabriella. Quindi mi stai dicendo che non mi vuoi vedere?»
«No, non sto dicendo questo...»
«Va bene, sai che c'è? Lascia stare. Buonanotte, Eleonora.»
«Matteo, aspetta...»
Lui aveva già riagganciato e lei lanciò il telefono sul letto, frustrata. Non era arrabbiata con Matteo, si sentiva in colpa e aveva solo ansia di rivederlo. Era arrabbiata con il direttore e con se stessa. Doveva richiamarlo, ma in quel momento c'era Olivier nella sua cucina, non lo avrebbe fatto assistere a una discussione tra lei e Matteo.
Si sistemò i capelli e tornò da lui. Si era spostato in salotto e aveva accesso la tv. Eleonora occupò il posto accanto a lui.
«Scusami.»
Olivier la osservò. «Tutto ok?»
«Sì.» Sorrise.
Lui continuava a guardarla senza parlare, come se avesse tante cose da dirle e si trattenesse. E lei voleva che gliele dicesse tutte, piuttosto che sopportare quel silenzio. Anche le cose che l'avrebbero messa in imbarazzo, anche quelle che l'avrebbero resa nervosa. Le sarebbe andato bene anche discutere con Olivier, qualsiasi cosa pur di concentrare altrove i suoi pensieri che convergevano tutti verso la stessa direzione: la voglia di abbracciarlo e di sentire il suo calore confortarla.
Dopo un lungo momento, Olivier distolse lo sguardo e si alzò. «Forse adesso è ora che vada. Grazie, per la cena e per l'ospitalità.»
Si alzò anche lei. «Grazie per avermi fatto compagnia.»
«Ci vediamo domani?»
Eleonora annuì e lo accompagnò alla porta. Sulla soglia lui esitò. La guardò un lunghissimo istante prima di uscire e richiudersi la porta alle spalle.
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