4. Sensuale e docile
Olivier guardò Eleonora mostrargli il dito medio e allontanarsi.
Oltre ad essere la ragazza più conturbante di tutte, era anche divertente. Il modo in cui si era spiattellata sul manto erboso di Milanello aveva un che di esilarante. E quel cipiglio risentito che le si formava sull'attaccatura delle ciglia quando cercava di negare il suo trasporto verso di lui lo faceva impazzire.
Olivier contava di farla sua nel giro di qualche settimana. Il fidanzato non costituiva un problema, non era a Milano e quindi non vivevano insieme. Sua moglie nemmeno, per il momento restava in Francia con i figli.
Pensare a sua moglie lo fece sentire un attimo in imbarazzo. Sapeva quanto male aveva causato alla sua famiglia quella volta in cui era stato scoperto e da allora non era mai più successo. E non sarebbe più successo dopo Eleonora. Ma doveva averla. La chimica che lo aveva attirato verso di lei non si sarebbe esaurita fino a quando non l'avesse consumata tra le sue gambe.
Poteva provarci, a resistere, a lasciare che le cose sfumassero da sole, ma la ragazza si era dimostrata una dura da convincere e aveva acceso in lui la fiamma della sfida. Ora era diventata una cosa divertente ed eccitante. Un gioco che si sarebbe concluso con tanto piacere da parte di entrambi e una amichevole stretta di mano.
A mensa, i ragazzi stavano parlando ancora di quella caduta e di come la giornalista si fosse poi collegata in diretta con degli abiti puliti e un viso sereno. Guardavano sullo schermo del cellulare il programma sportivo e commentavano le escoriazioni sulle mani che risultavano visibili solo a un occhio che sapeva dove guardare.
«Oli, come sta la ragazza?»
Lui rise e tolse dalle mani il cellulare a Theo Hernandez per guardare. Eleonora era bellissima attraverso lo schermo. Le labbra piene sorridevano, le stesse labbra che era stato sul punto di baciare solo qualche ora prima e che lo avevano mandato a quel paese subito dopo.
«Bene. Le ho detto che è stata molto divertente e che se cercava la piscina aveva sbagliato centro sportivo.»
Qualcuno alzò gli occhi su di lui, colmi di stupore, altri ridacchiarono.
«Cavolo. E non ti ha mandato a fanculo?», chiese Samu.
«Certo che sì!»
Ci fu uno scoppio di risa generale.
«Beh, non si può dire che sia una ragazza che non si fa notare», rispose Samu, mentre sorrideva e riprendeva a mangiare.
Erano le quattro di pomeriggio quando Olivier con i suoi compagni si apprestava ad andare via. Vide Eleonora ancora lì, nel parcheggio, che salutava il tipo con la telecamera. Si diresse a grandi falcate verso di lei, per prenderla in giro ancora un po'.
«Signorina?»
Lei sembrò sussultare un poco al suono della sua voce. Era sovrappensiero. Si fermò ad aspettarlo. «Olivier.»
Tutte le battutine sarcastiche che gli erano venute in mente gli morirono in gola quando si fece vicino a lei e i loro occhi si incontrarono. Quelli di lei erano di un colore particolare e bellissimo, verde scuro che ad uno sguardo veloce poteva apparire marrone. Olivier sentì il cuore battergli più forte.
«Che ne dici se stasera usciamo a cena fuori?» si ritrovò a dire.
Lei tornò seria. «No.» Fece un passo in avanti, verso una macchina nera parcheggiata lontano dalle altre.
Olivier la seguì. «Non essere così scontrosa con me, perché non vuoi?»
«Perché ho da fare.»
«Davvero? E che cosa?»
Lei non rispose e nemmeno si girò verso di lui.
Lui sorrise, osservando i suoi capelli lunghi che oscillavano sulla schiena. «Non hai da fare niente, vero?»
«Devo lavorare.»
Certo, come no. Le si affiancò. «È solo una cena, Eleonora... sono qui da poco, non conosco nessuno.»
Lei lo guardò di traverso, sembrava esasperata. «Non puoi andarci con i tuoi compagni?»
«Voglio andarci con te.»
«No.»
«Di cosa hai paura? Di non riuscire a resistermi?»
Arrestò la sua falcata davanti alla macchina e lo guardò dritto negli occhi. «Io non ho paura di te.»
«Allora vieni a cena.»
«Olivier, non insistere.»
Olivier la guardò infilare le cose nella macchina e chiudere lo sportello posteriore. Le curve armoniche del suo corpo lo portavano con la mente a tutto quello che avrebbero potuto fare insieme. Nudi, avvinghiati, sudati. Cazzo. Stava di nuovo avendo un'erezione da cavallo.
«Non so cosa ti sia messo in testa, ma è meglio che te la levi subito.»
Quando si girò, Olivier la spinse contro la portiera. Lei fremette e rimase sospesa a guardarlo. Dio santissimo, poteva leggere in quegli occhi il suo stesso desiderio. Che cavolo stava succedendo tra loro due?
Per un istante ebbe paura. Quel trasporto era troppo forte, troppo intenso. Le scostò i capelli dal volto, un gesto lento, con le dita che indugiavano delicate sulla pelle.
«Olivier...» sussurrò lei.
Molto, molto sensuale e docile. Senza pensarci un attimo di più, calò sulla sua bocca. Indugiò sulle labbra con la lingua, dopo aver premuto le sue contro quelle di lei. Non si era mossa, non lo aveva respinto. Sentì che le mani della ragazza si poggiavano sui suoi fianchi, sentì il corpo di Eleonora che si abbandonava al suo, al bacio che lui le stava dando, a cui entrambi avevano pensato sin dal primo momento che si erano visti.
Un bacio lento, profondo. Sapeva di buono, di fresco, di qualcosa di potente e forte che lo trascinava verso un vortice di perdizione pura. La testa gli diceva di smetterla, che non era giusto. Tutto quel fuoco non era giusto, non si sarebbe esaurito come invece aveva creduto lui.
Eleonora emise un gemito. Ce l'aveva in pugno, era sua. Avrebbe dovuto esultare, avrebbe dovuto scoparla e lasciarla andare per sempre. Invece si sentiva impaurito e perso. Affondo la lingua nella sua bocca con più foga. Le dita di lei risalirono lungo la schiena, lui la premette ancora di più contro lo sportello della macchina. Non poteva fermarsi, non poteva più controllare quello che stava succedendo.
Poi un rumore. Passi sulla ghiaia.
Olivier si staccò di colpo e si allontanò di alcuni metri. Guardò Eleonora fissarlo con stupore e vergogna. Le guance assunsero un acceso color rosa. Le labbra erano ancora troppo rosse e umide dei suoi baci. Dovette distogliere immediatamente lo sguardo da quella visione. Era bellissima. E lui era perduto.
«Devo andare» disse, senza avere più il coraggio di incrociare il suo sguardo.
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