33. Inviti
Dover lavorare nello stesso luogo in cui c'era anche lui non aiutava a staccare dai pensieri. E, come se non bastasse, quella mattina si era fatto strada un altro pensiero, spaventoso per tutte le implicazioni che avrebbe portato con sé se si fosse rivelato vero.
Si era sentita male, quella mattina, un forte capogiro e nausea crescente. Aveva attribuito tutto allo stress emotivo di quei giorni, ma dentro di lei c'era una voce che si faceva sempre più insistente. Già il mese precedente il ciclo era stato strano, le era durato solo un giorno, e adesso tardava ad arrivare.
Prima di andare al lavoro aveva comprato un test e mentre lo stringeva in mano le sembrava tutto così surreale. Non voleva farlo, ma doveva togliersi al più presto quel pensiero dalla testa. Lo aveva nella borsa e lo osservò avvolto nella carta bianca mentre prendeva il suo blocco per le note. Proprio in quel momento le si avvicinò Valerio, l'addetto stampa del Milan.
«Eleonora, ciao.»
Richiuse in fretta la borsa. «Ciao.»
Lui stringeva tra le dita alcune buste di colore nero con il logo del Milan impresso sopra. Gliene porse uno. «Questo è l'invito alla festa per l'anniversario della nascita del club. Puoi portare chi vuoi, basta che me lo fai sapere così lo mettiamo in lista.»
Una festa in cui sarebbe stata costretta a stare nella stessa sala di Olivier per una serata intera. Prese l'invito con l'entusiasmo sotto terra. «Grazie.»
Si rese conto troppo tardi dell'occhiata che le rivolse Valerio, e non voleva che la prendessero in antipatia o che pensassero che non le faceva piacere andare a quella festa. Lei adorava lavorare lì, aveva solo incasinato tutto e mischiato lavoro e vita privata e quel giorno proprio non riusciva a separarli di nuovo.
Valerio andò via in fretta, prima che potesse rimediare alla figuraccia. Si rigirò l'invito tra le mani e poi lo ripose in borsa.
Fece finta di lavorare fino a quando non vide ricomparire Valerio da lontano. L'allenamento era finito da un po' e lei si era trattenuta ad ascoltare gli altri colleghi, annuendo senza capire una parola di quello che dicevano. Si congedò in fretta e raggiunse l'addetto stampa.
«Valerio, scusami per prima, ero sovrappensiero. Grazie mille dell'invito, sono felicissima di venire.»
L'uomo le sorrise. «Senti, a proposito dell'intervista che devi fare a Zlatan Ibrahimovic, la facciamo la settimana prossima. Va bene per te?»
«Certo.» Poco distante da lei, vide Olivier che andava incontro ad una donna. Era una bellissima donna, bionda, alta e formosa. Indossava un tailleur scuro e gli sorrideva come se si conoscessero piuttosto bene. «Chi è quella?»
Valerio si girò per vedere. «Oh. Una giornalista francese, è qui per intervistare Theo Hernandez. Beh allora domani ti faccio sapere il giorno preciso e l'orario.»
Olivier si accorse che Eleonora lo stava guardando e cominciò a scherzare con la donna che sembrava molto lusingata dalle sue attenzioni. Un moto di nervosismo la attraversò dalla testa ai piedi.
«Eleonora, mi stai ascoltando?»
«Scusa devo andare.»
Valerio le toccò un braccio. «Ma è tutto a posto? Ti senti bene?»
Eleonora guardò un'ultima volta Olivier sorridere alla giornalista e corse in macchina.
Si aggrappò al volante e strinse forte fino a sentire il manubrio scricchiolare sotto le dita. Voleva tornare indietro e togliergli quel sorrisetto dalla faccia a suon di schiaffi. Voleva chiudere gli occhi e cancellarlo per sempre dalla sua testa.
Dei colpetti sul finestrino la fecero sussultare. Tirò un sospiro quando vide Castillejo. Lui le sorrise, aprì lo sportello e si accomodò.
«Ehi, come stai?»
«Bene» provò a dire. Sentiva ancora tutta la tensione nervosa nelle braccia e sulle spalle. «Tu come stai?»
Lui fece una smorfia. «Mmm. Oggi non hai sorriso mai ed è strano, tu sorridi sempre. Cosa è successo?»
«Non è successo niente.»
Samu sorrise in maniera affettuosa. «Dai, non ti va di parlarne con un amico? Guarda che se li condividi i problemi diventano meno gravi.»
«Non c'è nessun problema, Samu» sbottò. «Sono solo stanca di tutto questo. Sono stanca di lui che si comporta da idiota e sono stanca di me che reagisco come se fossi una ragazzina.»
Non c'era neanche bisogno di specificare di chi stesse parlando. «Che ha combinato stavolta?»
«Ma non lo hai visto? Si è messo a fare il cretino con quella giornalista per farmi ingelosire.»
«E ci è riuscito.»
Eleonora si rese conto di essersi lasciata irretire nella sua trappola. Gli aveva detto di lasciarla in pace e ora era pronta a fare una sfuriata da donna gelosa e possessiva. «Beh... no. Noi abbiamo chiuso in maniera definitiva.» Lo ribadì a se stessa.
Samu annuì. «Ti fa stare male?»
Lei si lasciò andare contro il sedile. «Un po'. Perché abbiamo avuto una brutta discussione, davvero brutta. Mi ha fatto sentire... beh non ha importanza come mi ha fatto sentire, l'importante è che non succederà mai più.»
Lui le scostò i capelli dal volto, accarezzandole la guancia. «Ele, tu hai bisogno di uscire a divertirti. Stasera ti porto in un bel posto.» Eleonora emise un lamento e guardò Samu con l'aria di chi non aveva nessuna voglia di uscire. «E non accetto un no come risposta. Magari ti presento qualche mio amico, gente seria, non calciatori.»
Lei sollevò un sopracciglio. «Quindi è proprio la categoria che fa schifo?»
Samu ridacchiò. «Beh sì, la maggior parte sì. A proposito, sei stata invitata anche tu alla festa per il compleanno del Milan?»
«Sì.»
«Con chi ci vieni?»
Eleonora si mise di lato, per poterlo guardare meglio. «Per caso mi stai invitando?»
«Ho già una persona.»
«Davvero? Gabri non mi ha detto niente...»
Scosse la testa, divertito. «Non è Gabri.»
«Ah. Non sapevo che stessi vedendo una ragazza.»
«Ci vado con mia sorella.» Eleonora si liberò dell'imbarazzo che stava iniziando a provare. Per fortuna non avrebbe dovuto dire alla sua amica che Samu stava vedendo anche altre ragazze. «Tu con chi vai?»
«Sola.»
Samu la guardò con serietà per pochi secondi. «Lui verrà con sua moglie. Forse è meglio se porti qualcuno, anche solo per...»
«Per cosa?» intervenne lei, senza lasciare che terminasse la frase. «Sentirmi meno sola? Meno stupida?»
«Per farlo ingelosire.»
Eleonora sbuffò. «Dai Samu, non abbiamo più quindici anni.»
Si sorrisero e poi scoppiarono a ridere.
Samu l'abbracciò. « Queste cose funzionano sempre, fidati. Ci vediamo stasera, ti chiamo più tardi.»
Uscì dalla macchina portandosi via tutta l'allegria e la spensieratezza con cui era entrato. Eleonora osservò la borsa poggiata sulle ginocchia. Prima c'era un'altra cosa che doveva fare, una cosa molto importante. La spostò sul sedile del passeggero e mise in moto.
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