30. Marcia indietro
Eleonora si specchiò per intero, aggiustando la giacca del tailleur verde scuro sui fianchi.
Quella sera Olivier era in ritiro con la squadra e lei si sarebbe concessa molto volentieri una serata da sola per pensare, invece di andare alla cena aziendale.
Con lui era facile dimenticare tutto il resto e difficile essere razionale. Lo vedeva al lavoro e subito dopo, quando smettevano di guardarsi da lontano e lasciavano che le loro labbra si trovassero.
Era difficile pensare a qualcosa da dire quando le mani di Olivier le sfioravano la pelle e la voglia di lui la incendiava, facendo evaporare ogni altro pensiero che non fosse Olivier stesso e il suo corpo contro il proprio.
Però aveva bisogno di uscire un po' e socializzare. Ultimamente le sue giornate erano tutte uguali, lavoro e casa, anche se la presenza di Olivier le rendeva speciali.
Si sedette davanti allo specchio per finire di sistemare il trucco. Gabriella chiamò proprio in quel momento. Schiacciò il tasto verde e posizionò il telefono in modo da poterla vedere e continuare a fare le sue cose.
«Gabri.»
«Tesoro, che fai?»
«Sto finendo di prepararmi per la cena.»
«Ah giusto, la cena. Sei agitata?»
Eleonora sorrise. «Perché dovrei esserlo?»
«Perché rivedrai Matteo.»
Si bloccò di colpo e fissò il volto dell'amica. «Pensi che ci sarà anche lui?»
Lei annuì. «Ci sarà, me lo ha detto lui.»
Poggiò il pennellino per il fard sul ripiano di marmo. «Vi sentite?»
«Spero che a te non dia fastidio. Se non vuoi dimmelo, non ho problemi a dirgli di non chiamarmi più. Non parliamo di te, comunque, anche se credo che parlare con me gli faccia sentire meno la tua mancanza.»
«No, tranquilla, non mi dà fastidio.»
«Sei preoccupata di incontrarlo?»
Non era preoccupata, semmai un po' agitata ora che sapeva che lo avrebbe rivisto. Erano passate solo due settimane. «Lui lo è?»
«In realtà ha detto che sperava di non vederti.»
Eleonora poggiò il viso sulle mani. «Perfetto.»
«Scusami, non volevo metterti di cattivo umore.»
Scosse la testa. «Non è colpa tua, lui ha ragione a sentirsi cosi. Ma cosa dovrei fare adesso? Me ne sto a casa e gli faccio passare una serata tranquilla o vado e gliela rovino?»
«Tesoro, devi andare assolutamente. È una cena di lavoro e purtroppo lavorate tutti e due per la stessa azienda. Prima o poi doveva capitare...»
Certo, prima o poi doveva capitare ma lei sperava che potesse trascorrere più tempo. «Hai ragione.»
«Poi dopo chiamami e fammi sapere come è andata.»
«Ok. Ciao Gabri.»
«Ciao Ele.»
Eleonora fissò il suo sguardo triste attraverso lo specchio. Erano passate solo due settimane ed era normale che Matteo potesse essere ancora in collera con lei. Dopotutto anche Eleonora aveva pensato a lui in quei giorni, ci teneva e voleva solo che stesse bene. Sperò che sarebbero riusciti ad avere una conversazione normale.
L'inverno era alle porte e a Milano faceva già molto freddo. Si strinse nel cappotto e accelerò il passo verso l'ingresso del ristorante. Alcuni colleghi stazionavano davanti alla porta, fumavano e chiacchieravano. Si scambiarono dei saluti, baci sulle guance. Eleonora si era trovata bene con loro fin dal primo giorno e in quegli anni erano diventati come una famiglia. Qualcuno le chiese di Matteo e così seppe che non era ancora arrivato.
Nella sala le luci si infrangevano contro i centrotavola d'argento pieni di fiori di un bianco candido. Eleonora trovò un posto vicino alle colleghe Ginevra e Veronica che non vedeva da un bel po'. Si accomodò, cercando di essere presente alla conversazione ma la sua attenzione continuava ad andare alla porta e all'imminente arrivo di Matteo. Nessuno sembrava sapere della loro rottura, nessuno sembrava accorgersi del suo stato d'animo. Forse Matteo non se l'era più sentita di andare e lei poteva smettere di preoccuparsene. Erano arrivati quasi tutti.
Invece lui fece il suo ingresso quando tutti erano ormai seduti e gli antipasti erano stati serviti.
Si avvicinò a lei ma salutò solo le altre due donne in modo affettuoso. Con lei si limitò ad un ciao, veloce e pungente. Sembrava sciupato, anche se gli occhi intelligenti erano più vivi che mai.
Lei sentì la pelle formicolare per l'imbarazzo. Ginevra le si accostò all'orecchio. Il suo profumo delicato sembrava soffocante in quel momento.
«Che succede tra te e Matteo? Ci sono problemi?»
Strinse il tovagliolo sulle gambe. «Ci siamo lasciati, in realtà.»
«Davvero? Non sapevamo nulla, scusami. Non volevo essere invadente.»
Eleonora le posò una mano sul braccio. «È tutto ok.»
«Mi dispiace» disse Veronica, sincera.
Eleonora abbozzo un sorriso e infilò la forchetta nel piatto.
Non si era mai voltato nella sua direzione, neanche per sbaglio. La cena era ormai finita e tutti erano brilli. Eleonora decise che era arrivato il momento di andare a casa. Tutto sommato era stata bene, dopo l'iniziale imbarazzo. La notizia della loro rottura si era diffusa presto tra i colleghi, un mormorio basso e discreto che aveva evitato il verificarsi di situazioni spiacevoli.
Voleva salutare Matteo prima di andarsene e colse il momento in cui anche lui si era avviato verso la porta, insieme a Ciro. Quest'ultimo lasciò la frase a metà appena vide la ragazza avvicinarsi, e la guardò con gli occhi spalancati, senza dire nulla. Matteo si girò per capire il motivo dell'improvvisa interruzione, ritrovandosi faccia a faccia con Eleonora.
«Ciao Matteo.»
Qualsiasi emozione stesse provando, non la diede a vedere. «Ciao.»
Sorrise un poco. «Come stai?»
Lui la osservò in viso, con attenzione e per pochi secondi. «Ti trovo bene.»
Le voltò le spalle. Eleonora si guardò le mani. «Ok» sussurrò a sé stessa. Alzò di nuovo la testa e uscì.
***
Era da diverse partite che Olivier non segnava e questo lo faceva sentire elettrizzato. Sarebbe partito dalla panchina, il mister aveva deciso di schierare Zlatan Ibrahimović dal primo minuto. Non era contento ma faceva parte del gioco, della competizione. Il mister chiamava in campo chi vedeva più pronto ed in effetti lui in quelle settimane non era stato al cento per cento. Era distratto, spesso con la testa altrove, rivolta alla ragazza che quella sera sedeva a pochi metri da lui.
Scalpitava in panchina, si alzava, spronava i compagni e di tanto in tanto lanciava qualche occhiata verso Eleonora. Dopo la partita sarebbe andato da lei e avrebbero fatto l'amore, come succedeva ormai tutti i giorni. Sembrava non averne mai abbastanza, ogni volta che incrociava il suo sguardo il desiderio era più forte, più pressante. Accarezzò la sua figura con lo sguardo, indugiando qualche secondo sul suo viso concentrato, rivolto al campo. Poi l'adrenalina e la concentrazione presero il sopravvento: era arrivato il suo turno di entrare.
Aveva detto ai compagni che quella sera avrebbe segnato, avevano fatto una scommessa. Si sentiva su di giri. Correva incontro alla palla, pressava, sbraitava contro i compagni che non gli fornivano un assist decente. Dovevano crossare in area, non tirare da fuori, quei maledetti. In campo erano tutti in po' nervosi, la partita non si sbloccava e il pareggio stava stretto. Volevano vincere, dovevano vincere. Non smise di crederci neanche per un istante e alla fine arrivò, il passaggio perfetto che gli permise di spizzare il pallone con la testa quel tanto che bastava per infilarla in rete. Lo stadio esplose, un boato pazzesco che riverberò sottopelle, pompando una rinnovata energia.
Corse ad esultare sotto la curva e poi verso la panchina. Lo sguardo gli cadde su Eleonora, che, felice quanto lui, gli sorrideva. Ne avevano parlato insieme di quel gol che tanto desiderava, aveva condiviso anche con lei la sua aspettativa sulla partita. Ed era un gol decisivo, a pochissimi minuti dalla fine. Stava portando la squadra alla vittoria. Un'idea gli balenò per la mente. Sghignazzò un istante prima di gettarsi in scivolata sulle ginocchia verso di lei. Non se lo aspettava, e guardò con gli occhi sgranati il pericoloso avvicinarsi di Olivier. Le finì addosso come una valanga, trascinandola a terra e facendole volare il microfono dalle mani. Dietro, i compagni lo seguirono e si tuffarono su di lui ad esultare.
Olivier cercò di proteggere Eleonora col proprio corpo, per non farla finire schiacciata dai compagni.
«Hai visto? Ce l'ho fatta!» le urlò a pochi centimetri dal volto.
Lei rideva, rideva solamente, tenendo le mani alzate sul suo petto per non farlo finire su di lei.
Senza pensarci, Olivier si spinse giù e la baciò. Velocissimo come un fulmine, prima che tutti gli altri compagni si alzassero e gli concedessero lo spazio necessario per rimettersi in piedi e aiutare Eleonora ad alzarsi.
«Questo è per te» disse, prima di tornare in campo.
Più tardi, a casa, il cellulare di Eleonora non smetteva di squillare. Lei nemmeno lo guardava, gli stava preparando uno spuntino.
«Si può sapere chi è che ti chiama?» Olivier lanciò uno sguardo al display.
«Non immagini? Sono i miei amici e i miei colleghi che mi prendono in giro. I video della tua esultanza hanno fatto il giro del web. Ora tutti hanno visto come sono finita sotto una valanga di giocatori.»
Olivier sorrise e le circondò i fianchi. «Di' la verità, ti è piaciuto.»
Eleonora si girò a guardarlo, era felice e anche lei non riusciva a smettere di sorridere. «Sei un pazzo.»
«Perché non andiamo da qualche parte, domani?»
Un sopracciglio si alzò impercettibilmente, come un'increspatura sul mare calmo. «Non possiamo.»
«Perché? Sei libera anche tu, domani. Che ne dici di Venezia? Non sono mai stato a Venezia.»
Eleonora gli accarezzò il volto. «Mi piacerebbe tanto.»
Olivier la lasciò andare e fece un passo indietro. Qualcosa si agitò dentro di lui. «Dalla tua faccia non si direbbe.»
«Non possiamo andarcene in giro a fare i fidanzatini. Tu sei un personaggio molto conosciuto. E anche io, nel mio piccolo. Lavoro in televisione... »
Lui sbuffò. «Allora andiamo fuori dall'Italia, così non ti conosce nessuno. Ce ne stiamo sempre chiusi qui dentro, non facciamo mai niente di diverso.»
Eleonora poggiò con forza la forchetta sul ripiano. «Ti sei scocciato di stare sempre qui? Beh, non dipende da me. Sei tu quello sposato.»
Olivier la fulminò con lo sguardo. «Lo so benissimo, non serve che lo ripeti ogni volta.»
«Ah no? Perché continui a comportarti come se non lo fossi.»
«È quello che vorresti, giusto? Che lasciassi mia moglie per stare con te.» Fece un passo verso di lei, inclinando la testa. «Non succederà mai.» Eleonora trattenne il fiato, aggrappandosi alla cucina. Dentro, una voce lo esortava a smetterla, un'altra a rincarare la dose. Le prese il viso, costringendola a guardarlo dritto negli occhi. «Hai capito? Mai. Mettitelo bene in testa.»
Eleonora batté più volte le palpebre. «Non te l'ho mai chiesto.»
Era stato davvero molto duro, e lei non lo meritava. Tuttavia non riuscì a tenere a freno la lingua. «No, con le parole no. Lo hai fatto con i fatti. Hai lasciato il tuo fidanzato perché speravi che facessi lo stesso con Jen.»
Aveva le lacrime agli occhi. Lo allontanò, cercando lo spazio che lui le stava togliendo. «Ho lasciato il mio fidanzato perché non volevo più mentire a nessuno. Non capisco questo discorso, davvero. Mi sembra di non averti mai chiesto nulla.»
Olivier strinse i pugni. «Mi vorresti far credere che una ragazza come te si accontenta di essere scopata una volta ogni tanto?»
«Olivier, adesso stai esagerando. Non so che problemi hai stasera, ma non ho nessuna intenzione di rispondere alle tue provocazioni.» Tentò di andare via dall'angolo nel quale era rintanata.
La trattenne per un braccio. «Invece tu adesso mi rispondi. Che cosa vuoi da me? Che cosa speri di ottenere?»
Le lacrime strabordarono dagli occhi, colando veloci lungo il viso. Si scrollò di dosso la sua mano. «Che cosa spero di ottenere...» le labbra si sollevarono in una sorta di sorriso disgustato. «Proprio niente.» Spazzò via le lacrime dalle guance. «Adesso, per favore, esci da casa mia.»
In quell'istante Olivier parve ritornare alla realtà. Non capiva come avesse fatto a trattarla in quel modo, come avesse potuto covare dentro quella paura e non rendersene nemmeno conto. Aveva desiderato togliere di mezzo Matteo sin dal primo giorno e quando finalmente ci era riuscito era stato sopraffatto dall'ansia di dover dimostrare anche lui qualcosa.
Lo sguardo di Eleonora era talmente distrutto che non provò nemmeno a fare un passo verso di lei. Uscì dall'appartamento molto teso per la conversazione che avevano avuto e col cuore che faceva male per averla ferita.
Le settimane appena trascorse erano state bellissime e anche se lei non gli aveva detto nulla, Olivier si era sentito lo stesso sotto pressione. Meritava molto di più e avrebbe voluto darglielo. Era stato stupido a pensare di poter gestire tutto, mentre Eleonora era stata più brava di lui, aveva scelto.
Olivier invece non riusciva a farlo. Quella decisione lo avrebbe portato inevitabilmente lontano da lei.
Era rimasto in macchina per circa una mezz'ora, a rimuginare sulla situazione. Voleva tornare da Eleonora, anche solo per chiederle scusa. Aprì lo sportello ed uscì, ma fece presto marcia indietro.
Matteo stava camminando tra le macchine nel parcheggio, diretto a casa di Eleonora.
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