25. Naturale
Era diventato tutto naturale.
Olivier in giro per casa, che riempiva le stanze con la sua ironia, i sorrisi e quegli occhi incredibilmente potenti, che ogni volta la calmavano e la avvolgevano in un mondo dove esistevano solo loro due.
Olivier che parcheggiava l'auto accanto alla sua, un rapido sguardo attraverso il vetro e poi silenziosi entravano nell'appartamento di Eleonora, e appena chiusa la porta si baciavano come se non avessero aspettato altro per tutta la giornata. Le mani di Olivier sul suo viso, tra i capelli.
Mangiavano insieme, guardavano la tv insieme, cercavano di andare avanti con la scrittura del libro, tra carezze ardite e baci infuocati. La faceva impazzire il modo in cui Olivier la guardava gli attimi prima che iniziassero a fare l'amore. La stringeva come se da un momento all'altro potesse andare via.
Giorno dopo giorno Olivier reclamava sempre più spazio all'interno del suo cuore. Millimetro dopo millimetro entrava i posti in cui non sarebbe dovuto mai entrare, dove lei aveva cercato all'inizio di tenerlo fuori.
La sua presenza accanto a lei era diventata così naturale che non riusciva più a immaginarsi senza vederlo girare per casa, senza osservarlo mentre se ne stava sul suo divano ad aspettare che lei lo raggiungesse e si accoccolasse accanto a lui.
Era tutto talmente naturale, tra quelle quattro mura, che anche quella sera si addormentò tra le sue braccia. Una debole protesta e lui che le sussurrava: «Resto fino a che non ti addormenti e poi vado via.» Scivolò nel sonno cullata dal battito regolare del cuore di Olivier.
A svegliarla fu il suono di un cellulare. Si insinuò nel suo stato di incoscienza e la fece alzare di soprassalto, credendo che fosse già mattina e avesse fatto tardi. Ma tutto intorno a lei era buio e il suono proveniva dall'altra stanza. E non era il suono del suo cellulare.
Nella stanza Olivier si stava rivestendo in fretta.
«Olivier, che... che ore sono?» Si sentiva ancora parecchio frastornata, si strofinò gli occhi.
«Scusami, mi sono addormentato. Torna a dormire, ci vediamo domani.»
Il telefono smise di squillare per un attimo. Eleonora scese dal letto e seguì Olivier in sala. Lanciò un'occhiata all'orologio e vide che segnava le tre.
«Chi ti chiama a quest'ora?»
Il cellulare suonò di nuovo, Olivier rispose all'istante, dandole le spalle. Parlava in francese e ad un tratto la sua voce cambiò, si fece più urgente e preoccupata. Eleonora sentì l'ansia crescerle nel petto. Non capiva cosa stesse dicendo né con chi stesse parlando, ma le era sembrato di sentire le parole "casa" e "bambino".
Quando chiuse la comunicazione e si voltò a guardarla, aveva l'aria spaventata.
«Che succede?»
Scosse la testa. «Devo correre a casa, mio figlio non sta bene.»
Lei si portò una mano tremante alle labbra. «Cos'ha?»
«Ha la febbre troppo alta. Dobbiamo portarlo in ospedale.»
Eleonora avvertì una stretta allo stomaco guardando quegli occhi preoccupati. Voleva abbracciarlo ma rimase ferma. «Ma... come farai ad andare in Francia adesso?»
Olivier si accigliò, poi sbuffò. «Sono qui a Milano, Eleonora.»
Si sentì mancare la terra sotto ai piedi. Lui aprì la porta e uscì, ma prima che potesse chiuderla Eleonora afferrò la maniglia e la tenne aperta.
«Oli...» Si girò appena. «Fammi sapere come sta tuo figlio.»
«Sì.» Ma era già sparito giù per le scale.
Eleonora rimase ferma un istante vicino alla porta. Le batteva forte il cuore e per la prima volta ebbe la sensazione che Olivier si sentisse in colpa. Come se fosse stato tutto un gigantesco errore ed era arrivato il momento di finirla.
Sapeva in cuor suo che prima o poi sarebbe arrivato quel momento, ma faceva male. Forse più male di quanto si era preparata a sopportare. Aveva sperimentato un dolore simile qualche sera prima, quando Olivier di punto in bianco l'aveva guardata e le aveva detto:
«Prima o poi tu deciderai di avere una famiglia e andrai via da me.»
E lo aveva avvertito con tutta la potenza il pugno nello stomaco. Il momento esatto in cui il velo di magia che li avvolgeva aveva iniziato a sfilacciarsi e a mostrare la realtà. Lei e Olivier non sarebbero mai stati niente di più di due amanti che si mischiavano su un letto caldo e umido.
Si era rannicchiata tra le sue braccia. «Non voglio lasciarti andare» gli aveva detto, al limite della disperazione.
«Neanche io» aveva risposto lui, ma nei suoi occhi si leggeva quello che aveva taciuto. Sarà inevitabile.
Le lacrime che aveva trattenuto avevano formato un grumo doloroso in gola. Era innamorata di Olivier. Non aveva avuto più neanche la forza di negare a sé stessa quel pensiero.
Il letto era freddo quando vi tornò dentro. Non riuscì più a dormire e si preparò a dirgli addio.
Il giorno seguente, era agitata. Sperava con tutto il cuore che il figlio di Olivier stesse bene e allo stesso tempo temeva di incontrarlo. Aveva paura di trovare in quegli occhi la conferma ai suoi pensieri.
Gli corse incontro quando lo vide, subito dopo aver fatto allenamento. Lui la vide si fermò ad aspettarla.
«Ehi. Come va? Come sta tuo figlio? Non mi hai fatto sapere niente.»
Rimase un istante ad osservarla, il viso stanco e gli occhi indecifrabili. Le tremava il cuore, per la sua bellezza, per il dolore che le causava doverlo lasciare andare.
«Sta bene. La febbre è scesa e forse stasera rientra a casa.»
«Oddio, meno male. Sono contenta.» Gli toccò un braccio. «Perché non mi hai detto che erano qui?»
«Avrebbe fatto qualche differenza?»
Eleonora aprì la bocca per parlare ma non uscì alcun suono. Lui si era già infilato in macchina.
«Devo andare da loro. Ci sentiamo.»
Si voltò e si incamminò verso la sua auto, osservando gli altri e sperando che nessuno avesse notato la sua disperazione. Aveva preso l'abitudine di non guardare più Olivier quando era a Milanello. A stento lo salutava, per evitare che gli altri potessero capire. Ma quando erano da soli a casa, protetti dal resto del mondo, chiusi nel mondo che stavano creando giorno dopo giorno, non smetteva un istante di guardarlo. E si stupiva sempre di quanto i suoi occhi riuscissero a toglierle il fiato come la prima volta. Capitava ancora che restasse senza parole. Olivier davanti a lei parlava, sorrideva, il viso illuminato da una luce che la catturava e non riusciva a pensare ad altro che alla sua bellezza. Se ne stava lì, a guardarlo, persa in quella bellezza autentica; un maschio alpha perfettamente conscio del potere che aveva su di lei.
Era chiaro che, per quanto si sforzasse di tenerle nascoste dentro sé, certe emozioni venivano a galla e si dipingevano sul suo viso, mostrandosi a chiunque guardasse con un minimo di attenzione. E quel giorno, la persona che la guardò con attenzione fu Samuel Castillejo.
Le si avvicinò con un sorriso allegro sul volto. «Ciao Ele.»
«Ciao, Samu.»
«Avete litigato?»
Per un attimo, Eleonora non capì. Poi diventò rossa e abbassò lo sguardo. «A cosa ti riferisci?» si passò tra le mani la chiave della macchina.
«A te e Olivier.»
Si sentì mancare la terra sotto i piedi. Come diavolo aveva fatto a scoprirlo? O forse era stato proprio Olivier a dirglielo, per vantarsi. In fondo per lui era tutto un gioco, un passatempo. «Come lo sai?»
Lui sorrise, dolce e cupo allo stesso tempo. «Mi piacerebbe sapere perché le ragazze amano complicarsi la vita in questo modo. Avresti potuto scegliere me e a quest'ora non avresti avuto quel viso distrutto.» Spostò un secondo lo sguardo verso il basso. «Ti avrei dato quello che meriti» aggiunse a voce più bassa.
Eleonora fu attraversata da un sentimento di tenerezza. Accennò un sorriso. «E Gabriella?» provò a scherzare.
Anche lui sorrise. «Prima di conoscere Gabriella, quella sera ho invitato te.»
Lei si morse l'interno del labbro, fissandolo per qualche secondo. «Non ho proprio scelto, è successo e basta. Poi ho scelto di continuare.»
Samu annuì. «Posso darti un consiglio da amico? Non metterci il cuore, o ti farai male davvero.»
La strinse in un abbraccio veloce e un po' goffo, poi se ne andò.
Eleonora rimase con quelle ultime parole che le rimbombavano nella testa.
Troppo tardi. Lei ce lo aveva già messo il cuore. Tutto.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro