Capitolo XXXVI
Uno dei vantaggi di essere un mattiniero fidanzato con un dormiglione era l'incredibile privilegio di poter contemplare Dante mentre dormiva. Il più delle volte, se non stavamo accoccolati a cucchiaio, mi svegliavo con la meravigliosa immagine delle sue ciglia serene e della sua boccuccia semiaperta. Nel sonno, sembrava un vero e proprio angioletto, con quell'espressione dolce che assumono i bambini quando navigano tranquilli nell'oceano dei sogni.
Avevo imparato ad alzarmi dal letto senza svegliarlo. Le prime volte ci avevo anche provato, a restarmene sotto le coperte con lui, ma non resistevo molto e finivo, quindi, per squagliarmela in cucina e fare qualcosa. Non la colazione, però: avevo promesso al mio meraviglioso fidanzato che, quando passavo la notte da lui, gli avrei lasciato questo compito. Era uno dei "vizi" che voleva prendessi stando con lui. Lo amavo anche per questo.
Mi buttai sul divano e cominciai a rispondere ai messaggi che mi erano arrivati nelle ultime ore. Gruppi, per lo più, insieme alle battute idiote dei miei migliori amici sul fatto che non avessi dormito a casa. Due idioti, davvero.
"Dante mi ha detto che sei bravo con le piante: è vero?".
Sussultai. Ero talmente preso dallo schermo da non aver notato la sua presenza prima, ma, d'altronde, Niccolò Machiavelli aveva la malsana abitudine di apparire all'improvviso, senza fare alcun rumore. Quel ragazzino era inquietante.
"Porca puttana!", esclamai, "Mi hai quasi fatto prendere un colpo!".
"Come sei drammatico". Sorrise divertito. Era davvero inquietante. "Allora?".
"Allora cosa?" gli domandai confuso. Era crudele che devessi affrontare una conversazione senza una singola goccia di caffeina in corpo.
"Ti ho chiesto se è vero che sei bravo con le piante". Tacque per un istante, probabilmente aspettandosi una risposta. "La mia sta morendo e non capisco il perché. Mi puoi aiutare oppure no?".
"Sì, certo". Non saprei dire se fossi più stupito dal fatto che Niccolò fosse amante del giardinaggio o che si fosse abbassato a chiedere il mio aiuto. "Dove sta?".
"In camera mia. Da questa parte". Neanche aspettò che mi alzassi dal divano: si diresse direttamente in camera sua, dando per scontato che lo seguissi.
Ho sempre pensato che la stanza di un individuo sia il perfetto riflesso della sua mente e che, da lì, si possa dedurre il suo vero carattere. Il caso di Niccolò era l'ennesima prova della mia teoria. Non avevo mai visto in vita mia un posto così asettico, pulito, ordinato e, soprattutto, anonimo. Era tutto bianco e nero. La scrivania era semivuota. Le serrande erano semiabbassate, condannando quelle quattro pareti ad una penombra agghiacciante.
"La pianta sta lì, sulla mensola" mi indicò.
Annuii. "Puoi alzare le serrande?".
"Le preferisco così. Non mi piace la luce del mattino". Inquietante.
"Mi serve la luce per vedere bene la pianta", gli feci notare, "Non stento a credere che stia morendo, comunque, se la tieni sempre qui al buio!".
"Ogni tanto la metto fuori dalla finestra", puntualizzò con freddezza, "Non sono mica un idiota".
Niccolò si decise finalmente ad alzare la serranda. E luce fu! Mi avvicinai alla pianta. Era davvero graziosa, con dei fiorellini viola. I petali erano come raggrinziti, ma i pistilli erano di un giallo lucente. Quelle ad essere messe peggio erano le foglie, così grandi e avvizzite da accasciarsi lungo le pareti del vaso.
Ma la cosa che più mi sconcertò fu il loro odore. Definirlo fetido sarebbe un eufemismo. Era terribile. Però non era puzza di marcio o di decomposizione: era proprio il profumo di quella pianta. Fu allora che ebbi un'illuminazione. Presi il cellulare e controllai su internet che le mie supposizione fossero corrette. Ovviamente, lo erano.
"Niccolò, perché hai una mandragora in camera tua?" gli domandai stupito.
"Perché mi piace" rispose con nonchalance.
"Lo sai che è una pianta velenosa, sì?". La sua espressione rimase impassibile. "Sul serio, potresti ucciderci qualcuno con questa".
"Lo so: è per questo che mi piace". Lo disse senza battere ciglio. Quel ragazzino mi faceva sempre più paura. "Potresti cortesemente dirmi perché sta messa così male?".
E che cazzo ne so io? "Quanto spesso la innaffi?" gli chiesi.
"Dipende. Di solito rimbocco il sottovaso non appena l'acqua è sparita. Quindi, boh, ogni due giorni?".
Il problema allora non era quello. "E quanto spesso la tieni fuori?". Mi sentivo un medico.
"La metto fuori quando c'è il sole, poi la rimetto dentro". Sembrava infastidito dalla stupidità delle mie domande. Ma che vuoi da me? "Ora che viene il caldo, evito di esporla all'ora di pranzo".
"E quand'è che l'hai travasata l'ultima volta?".
Mi guardò come se gli avessi ordinato di spogliarsi. "In che senso?".
"Il travaso. Quand'è che l'hai travasata l'ultima volta". Mi venne il dubbio che non sapesse di che cosa stessi parlando. "Sai, le piante crescono e...".
"So cos'è un travaso", mi interruppe, "Non l'ho mai travasata".
Eureka! "E da quant'è che ce l'hai?".
Ci pensò su per qualche istante. "Qualche mese. Sei. Forse sette. Dici che dovrei travasarla?".
"Beh direi!", esclamai, "Soprattutto considerando che la mandragore hanno le radici molto più voluminose di molte altre piante! Probabilmente la tua sta morendo perché non ha abbastanza spazio per svilupparle e ora sta soffocando".
"Chi sta soffocando?". Dante apparve sulla porta, con la faccia di chi si è appena svegliato da un dolce sogno. Si stropicciò gli occhi. Cazzo, quanto ti amo! "Amore, che sta succedendo?".
"Mi sta aiutando con la pianta" rispose Niccolò al mio posto.
"Sta soffocando. La mandragora, intendo". Tornai a parlare con il suo proprietario. "Compra un vaso almeno tre volte più grande. E assicurati che la terra sia buona per...".
"Quella cosina lì è una mandragora?" domandò il mio ragazzo a scoppio ritardato.
"Beh, sì", feci io, "E non so come facciate voialtri ad accettare che ci sia una pianta così velenosa in casa vostra!".
Fu come se non avessi aperto bocca. "Ma la mandragora non è quella di Harry Potter?" commentò Dante avvicinandosi a me. Le nostre dita si intrecciarono.
"Ed eccone un altro!" sbuffò Niccolò contrariato.
"Senti, coso, io mi sono svegliato adesso: sto rincoglionito", lo rimise al suo posto, "Se hai finito di schiavizzare il mio fidanzato, Virgilio ha da fare con me". Mi tirò dolcemente verso la porta. "Solo perché sa tante cose, questo non ti autorizza a sfruttarlo. Lui è il mio ragazzo".
Non l'avevo mai visto geloso nei miei confronti. Era estremamente divertente. Ed eccitante.
"Tienitelo pure, maiala! Tanto a me garba la fica!" imprecò Niccolò scocciato.
Convinto che dovessimo andare in cucina, fui piacevolmente sorpreso quando Dante virò verso camera sua. "Madonna pulita! Che cazzo s'è messo in testa 'sto grullo" borbottava sottovoce. Mi sforzai di non ridere. Chiuse la porta alle mie spalle e mi spinse con cattiveria sul letto. "Coglione", continuava a ripetere mentre si accoccolava addosso a me, "Tu sei il mio ragazzo".
"Non c'è motivo di essere gelosi", gli ricordai infilando le mani sotto la sua maglietta, "Io ho occhi solo per te".
"Non c'è niente di divertente, coglione", mi rimproverò. Era assolutamente adorabile. Non riuscivo a prenderlo sul serio. "Ti pare possibile che io mi sveglio e ti trovo in camera di Niccolò?".
"Hai ragione". Lo baciai sulle labbra. "Hai assolutamente ragione".
Lo strinsi più forte a me, facendo scorrere le dita dalla sua schiena al suo sedere. Lo baciai di nuovo, stavolta più lentamente. Lo sentii sciogliersi sotto al mio tocco.
"Dimmi, amore mio". Lo baciai sulla gola e poi sul collo. Il suo respiro pesante mi solleticò l'orecchio. "Luce dei miei occhi". Gli mordicchiai un lobo solo per il puro gusto di sentirlo fremere. "Mia vita". Lo baciai di nuovo sulla bocca. "Mio tutto".
Gli infilai una mano nei boxer. Era sempre incredibilmente soddisfacente e arrapante constatare quanto poco mi servisse per farglielo venire duro. Le sue unghie si conficcarono nelle mie spalle non appena cominciai a toccarlo. Mi morse le labbra per sopprimere un gemito. Se non sarai la mia salvezza, Dante, tu sarai di certo la mia rovina. "Dimmi, amore mio: come posso farmi perdonare?".
"Lo so... Lo so a che gioco stai giocando" mormorò a fatica.
Le guance accaldate per l'eccitazione. Gli occhi socchiusi e lucidi di desiderio. Le labbra schiuse e umide. Era assolutamente meraviglioso. Ed era mio.
"Ah sì?" lo provocai abbassando la voce. Mi strusciai addosso a lui, facendolo impazzire. Avvicinai la bocca al suo orecchio. "Sto solo cercando di farmi perdonare".
"E allora scopami" ansimò. Suonò quasi come una supplica. "Virgilio, scopami, maiala!".
E io non sono mai stato il tipo che si fa pregare.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro