Capitolo XXXV
L'attacco durò settantacinque secondi. I settantacinque secondi più lunghi della mia vita. Per fortuna mi ero informato su come agire in casi del genere, altrimenti il panico mi avrebbe sicuramente portato a fare qualcosa di sbagliato.
Dante riaprì gli occhi quasi a fatica, sollevando le palpebre quanto bastava per guardarsi attorno. "Che.. Che è successo?".
Era sdraiato su un fianco sul pavimento del bagno. Sicuramente non era il massimo, ma l'igiene era l'ultimo dei miei pensieri. Io ero rimasto inginocchiato accanto a lui per tutto il tempo. Fece per alzarsi, ma io lo trattenni fermo a terra. Sollevò lo sguardo verso di me e mi osservò con aria confusa.
"Amore, stai piangendo" sussurrò corrugando la fronte.
"Hai avuto un attacco epilettico". Mi sentivo la bocca impastata e la lingua pesante.
Dante chiuse gli occhi e sospirò affranto. Era stanchissimo, persino respirare sembrava costargli una fatica enorme. "Hai avuto paura?" mi domandò.
"Sì" ammisi. La verità era che non avevo avuto paura: era stato a dir poco terrificante. Paura era una parola a dir poco riduttiva per descrivere la tempesta di pensieri e sensazioni che mi aveva investito in quegli istanti. Sapevo che sarebbe durato poco, che sarebbe stato intenso ma breve, che si sarebbe sicuramente ripreso, ma la mia ragione era completamente andata a farsi fottere nell'esatto momento in cui l'avevo visto collassare.
Tese una mano verso di me e mi accarezzò il volto, asciugandomi le lacrime con la punta delle dita. Sembrava così sereno ora. Tutta la violenza della crisi sembrava sparita nel nulla. Mi sorrise persino. I nostri occhi si incastrarono. Le sue pupille erano così grandi da nascondere quasi del tutto il marrone meraviglioso delle iridi.
"Ti amo" mormorò.
"Ti amo anche io" gli feci eco.
Non appena fu in grado di rialzarsi, lo riaccompagnai a casa sua. Degli altri non c'era traccia.
"Io ora mi stendo un po' e chiamo il mi' babbo" mi disse. Era ancora un po' stordito, ma si era ripreso quasi del tutto.
"Io ti preparo qualcosa da mangiare".
"Non ce n'è bisogno", provò a dissuadermi, "Non ho molta fame. Magari mi preparo un panino più tardi".
"Era un'affermazione, non una domanda". Gli stampai un bacio sulla fronte. "Su su! Forza! A letto!".
"Tanto, a star con te, ci finisco sempre!" commentò con una smorfietta maliziosa.
Ignorai la provocazione e mi misi ai fornelli. La dispensa era praticamente vuota, come sempre, ma il freezer era talmente pieno di cibo precotto e avanzi surgelati che quasi non si chiudeva. Ma questi come fanno a campare così? Mi rifiutavo di cedere al lato oscuro della forza. Riuscii a recuperare il minimo indispensabile per preparare un pasto degno di questo nome e, nel giro di dieci minuti, la cena a letto era servita.
"Lapa, te l'ho già detto io e pure babbo: sto bene, okay?" stava dicendo Dante quando entrai in camera sua. Si era infilato il pigiama e se ne stava seduto alla turca sulla trapunta a quadri.
"Durante Alighieri!". La voce dall'altra parte della linea era così forte che potevo sentirla persino io. "Hai avuto un attacco epilettico, Maremma bucaiola! Domani mattina chiamo il dottor Galeno, così quando sali per il tu' compleanno...".
"Ma non serve", la interruppe con un fare che voleva essere rassicurante, "Lapa, sul serio: sto bene. Sarà stata sicuramente una crisi isolata...".
"E che non serve e non serve! Mica t'ho trovato pe' strada, io!".
"Beh, più o meno" ci scherzò su Dante.
"Durante! Ma ti pare il caso di scherzare in un momento simile, dico io!".
La discussione andò avanti con questi toni per qualche altro minuto, poi il mio ragazzo mise giù con la scusa della cena. "Altrimenti quella era capace di continuare all'infinito" commentò ironico.
"Sempre meglio della matrigna cattiva di Biancaneve" feci io allungandogli il suo pianto.
"Già". Le sue sopracciglia si contrassero in un'espressione perplessa. "Ma che cazzo è?".
"Uova, prosciutto e piselli, ovvero le uniche cose fresche e commestibili rimaste in questa casa" risposi polemico.
"Pensavo che Niccolò avesse surgelato gli avanzi del messicano di ieri".
"Guarda, manco ti rispondo, altrimenti ti rispondo male. Mo zitto e mangia".
Fu una cena insolitamente silenziosa. Avevo così troppi pensieri per la testa che non sapevo che cosa dire. Non sapevo nemmeno se fosse il caso di dire qualcosa. Non sapevo come comportarmi. Dante teneva gli occhi fissi sul cibo. Ogni tanto sollevava lo sguardo verso di me, ma non sembrava avere intenzione di parlare. Non ci era mai successo di essere così a disagio l'uno con l'altro, quasi evitandoci per alleviare un po' la tensione, che impregnava l'aria come la puzza di bruciato.
Provai un sollievo immenso nell'uscire da quella stanza, andare in cucina e lavare i piatti. Lo scroscio dell'acqua sovrastò il rumore dei miei dubbi, cullandomi in una confortante sensazione di vuoto. Mi concentrai su quello che stavo facendo. Insapona, risciacqua, metti a scolare. Insapona, risciacqua, metti a scolare. Speravo che il caos nella mia testa finisse giù nello scarico insieme all'acqua sporca.
Ero così assorto nelle pulizie che non mi resi subito conto che qualcuno mi stava abbracciando da dietro. La stretta era salda, ma non troppo forte. Avrei riconosciuto il suo odore tra mille.
"Dovresti essere a letto" gli feci notare. Volevo essere gentile, ma la mia voce suonò fredda.
Dante aderì completamente alla mia schiena. "Dovresti esserci anche tu" mormorò con dolcezza.
Sospirai. "Ho quasi finito qui, adesso arrivo". Ma lui non si smosse di un millimetro. "Amore, per favore, vatti a stendere un po'". Non sapevo per quanto ancora avrei resistito.
"Non ne ho bisogno". Cazzo, dammi retta!
"Sì, invece". Non volevo essere brusco, ma la mia preoccupazione principale era non crollare davanti a lui. Non volevo che si sentisse responsabile delle mie emozioni.
"No. Io ho bisogno che tu mi parli. Io ho bisogno di te". Dante, ti amo.
Mi asciugai le mani sul canovaccio e mi voltai verso di lui. Era dannatamente bello. I suoi occhi attirarono i miei in una trappola senza vie di uscita. Gli accarezzai il volto. Era così fottutamente bello. Dante, ti amo.
"So che non ti piace parlare dei tuoi sentimenti", aggiunse a mo' di giustificazione, "Ma ho bisogno di sapere cosa...".
"Dante, io ti amo" lo interruppi. Ma la risposta non lo rese per niente soddisfatto.
"Beh, ti amo anche io. Ma non era questo che intendevo". Mi sistemò una ciocca di capelli dietro le orecchie. "So bene quale effetto facciano le crisi, soprattutto le prime volte. Io non ricordo mai niente e ho smesso di crucciarmi anni fa. Ma per chi assiste... Beh, so che non è uno spettacolo gradevole".
"Non è questo il punto". Mi tremava la voce. "Non me ne frega un cazzo dello spettacolo, okay? Io ti amo. L'unica cosa ad avere importanza per me è che tu non soffra".
"Io non soffro", mi rassicurò, "Non sono cosciente di quello che mi succede".
"Lo so". In realtà non ero così sicuro. "Ma è comunque frustrante non poterti aiutare, non poterti proteggere da certe cose". Le lacrime abbandonarono finalmente le ciglia. "Dover stare fermo a guardare senza poter fare niente. Non... È davvero insopportabile. Tu sei metà della mia anima, la metà migliore, e mi sono sentito così inutile e impotente a...".
Dante si fiondò sulle mie labbra, mettendomi a tacere. Si sollevò sulle punte per raggiungermi meglio. Ogni peso, ogni pensiero, ogni angoscia sparì via, cancellata da quel bacio.
E poi un altro. Poi un altro ancora. Lo abbracciai stretto a me, scorrendo le mani lungo la sua schiena. Il suo tepore era rassicurante. Il suo odore era travolgente. Il suo sapore era così totalizzante da farmi dimenticare ogni cosa nell'intero universo che non fosse Dante. Il mio Dante.
"Tu non sei inutile. Tu non sei impotente" mi sussurrò. La distanza tra le nostre bocche era quasi nulla. Le sue iridi brillavano come mille soli. "Tu sei meraviglioso. Tu sei la persona più straordinaria e piena di risorse che io conosca. Maremma ladra, hai terrorizzato Pippo!".
"Che poi mi devi ancora spiegare chi cazzo fosse quel tipo". Così lo posso ammazzare.
"Filippo Argenti, una mia vecchia conoscenza. Un grullo senza palle. Ma non importa adesso". Mi diede un altro bacio. "Quello che importa è che tu non tenga tutto dentro e che mi parli. So che per te è difficile, ma voglio... ho bisogno che tu mi parli e mi dica come ti senti, capito? Oggi, domani, dopodomani, sempre".
Gli passai una mano tra i capelli. "Ci proverò". Ci proverò sul serio.
"E ho bisogno che ti ricordi sempre, e dico sempre, che tu sei la persona più importante della mia vita". Mi guardò dritto negli occhi mentre scandiva bene ogni sillaba. "Non sarai mai inutile. Mai. Impotente magari sì, ma io non sto con te perché voglio che tu faccia qualcosa. A me basta che tu stia al mio fianco quando non c'è altro da fare. Perché, con te al mio fianco, anche se non fai un cazzo, so di poter fare qualsiasi cosa".
"Ti amo". Ormai avevo bisogno di una nuova espressione per descrivere quello che provavo per lui. Amore non era più abbastanza.
"Ti amo anche io, demente", mi sorrise, "Ora vieni a letto con me".
Sbuffai fingendomi riluttante. "Va bene, va bene. Se messere così desidera!". In realtà, non avevo intenzione di farmelo ripetere due volte.
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