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Capitolo XXXIV

Maggio arrivò senza che me ne rendessi conto. La sessione estiva era alle porte, costringendo così tutti ad accelerare i loro ritmi per non rischiare di rimanere indietro. Decisi di rimandare per il momento la questione dell'ecloga su Flacco e mi buttai anima e corpo nello studio. Gli appuntamenti con Dante non si diradarono, ma divennero l'ennesima occasione per sistemare gli appunti e iniziare a schematizzare i passaggi più complessi. Il professor Rodio mi rassicurò che non c'era nessuna fretta di finire l'ultima sezione delle Georgiche. "Se non riesce a dare tutti gli esami in tempo, avere la tesi già terminata sarebbe non solo inutile, ma addirittura frustrante!" aveva giustamente commentato.

Quel pomeriggio, ero appostato all'ombra ad uno dei tavoli della città universitaria. Mi sarei dovuto incontrare col mio meraviglioso ragazzo nel tardo pomeriggio, ma uno dei miei corsi era finito prima del previsto e avevo qualche ora buca da dedicare alle traduzioni. Avevo appena conquistato la giusta concentrazione quando Beatrice comparve di soppiatto alle mie spalle.

"Tu non hai idea di che cosa mi è successo stamattina!" esclamò facendomi sussultare. La sua espressione era a metà tra il divertimento e lo sconcerto.

"Bea, porca puttana! Mi hai fatto prendere un colpo!". Non la vedevo dalla festa di Mecenate. Si era tagliata i capelli.

"Non fare il drammatico!" mi liquidò con un gesto della mano.

Si sedette davanti a me e io dissi addio al mio buon proposito di studio. Non sarò ipocrita: mi era mancata e avevo voglia di passare del tempo con lei. Mi erano successe così tante cose che avrei voluto raccontarle e avevo un po' sofferto la sua mancanza nell'ultimo periodo. Tuttavia, dovevo davvero studiare, soprattutto considerando che avevo cinque esami da preparare in tre mesi.

"Ti salvi perché ti voglio bene, altrimenti ti avrei già mandato a fanculo" borbottai fingendomi offeso.

"Mi sei mancato anche tu", ridacchiò, "Comunque, stamattina ho parlato con il tuo amorino".

"Aspe, che?" domandai. Avrò sentito male, no?

"Già: Dante Alighieri si è finalmente deciso a parlarmi!". Sembrava davvero di buon umore. Che cazzo è successo? "Non solo: mi ha chiesto scusa! Ci rendiamo conto!".

"In che senso ti ha chiesto scusa?". Il mio cervello non riusciva ad elaborare quelle informazioni.

"Allora". Beatrice accavallò le gambe per stare più comoda. "Me ne stavo per fatti miei, tranquilla e beata, con Laura che si lamentava perché Fiammetta fa troppo rumore con quella cazzo di musica metal. Tutto bene, finché non mi sento chiamare, mi giro e vedo il tuo piccolo maniaco che mi fissa. A me stava già salendo il matto, però poi ha aperto bocca e mi ha parlato".

Non ci potevo credere. "E che ti ha detto?".

Mi sorrise con aria sorniona. "Mi ha detto che si voleva scusare per tutto quello che è successo tra di noi. Cioè, per avermi messa a disagio con tutta la storia dello stalking. Mi ha detto che gli dispiace molto, che non era sua intenzione farmi stare male e che all'epoca era troppo preso da me e da quello che provava per capire di star esagerando". Wow. "E non è finita qui: mi ha detto che ti ama troppo per permettere che tu mi perda per causa sua".

"Sono state le sue esatte parole?".

"Beh, no, ma il concetto era quello. Maremma ladra: quello è proprio stracotto di te!".

Non sapevo che cosa dire. La mia mente era un oceano mosso da venti contrari. Dante aveva provato a riappacificarsi con Beatrice perché sapeva quanto fosse importante per me. Lo aveva fatto per me. Non gli avevo mai parlato esplicitamente della nostra amicizia perché non volevo che si sentisse responsabile per i nostri scarsi rapporti: la colpa era mia, che avevo completamente ignorato i sentimenti della mia migliore amica, non sua, che per lei aveva avuto una sbandata imbarazzante. Eppure lui aveva intuito che qualcosa si era incrinato tra noi e che quel compromesso non mi piacesse del tutto, per quanto l'avessimo raggiunto insieme. Dante, ti amo.

"Io gli ho detto di non preoccuparsi, che è tutta acqua passata e che tu non mi perderai" concluse la ragazza. Aveva ancora stampata in volto quella smorfietta divertita.

"Ed è la verità?", le domandai, "Cioè, è davvero tutta acqua passata?".

Esitò un attimo prima di rispondere. "Beh, Dante ha smesso di essere inquietante da settimane, ormai, ed è a dir poco palese che ora ha occhi solo per te". Si fermò. Lessi il dubbio nei suoi occhi. "E poi mi manca il mio maniaco del controllo preferito" aggiunse alla fine.

"Bea, sul serio: mi dispiace". Allungai una mano sul tavolo verso di lei. "Non ho mai, mai, avuto intenzione di ferirti o di farti soffrire. Mai".

"Lo so, Virgi". Le nostre dita si intrecciarono. "Lo so. Ti ho perdonato una vita fa. Avevo solo bisogno di tempo per metabolizzare la cosa, tutto qui. Non ce l'ho con te, né col tuo ragazzo. L'unica cosa che voglio ora è riavere indietro il mio migliore amico".

Passammo l'ora successiva ad aggiornarci di quanto era successo nelle ultime settimane. Mi erano mancate le sue opinioni affilate e il modo in cui riuscivamo a leggerci nel pensiero mentre parlavamo, come se non servisse dar voce a tutto perché ci capivamo con uno sguardo. E non potevo smettere di pensare che era tutto merito di Dante: l'aveva fatto per me. Aveva affrontato le sue paure e il suo imbarazzo, aveva affrontato Beatrice - cazzo! - perché sapeva quanto le volessi bene.

Non appena Beatrice dovette scappare per andare a lezione, decisi di anticipare un po' l'appuntamento con l'amore della mia vita e andarlo ad aspettare fuori dall'aula. Non frequentavo il laboratorio informatico dai tempi della triennale, ma ricordavo esattamente dove si trovasse. Quando, però, arrivai, l'aula era completamente vuota. "La lezione è finita prima oggi" mi spiegò il tecnico prima ancora che aprissi bocca.

Lo ringraziai e uscii sul corridoio. Pensai che magari mi aveva mandato un messaggio per avvertirmi, ma non avevo nessuna nuova notifica. Niente panico, Virgilio: non può essere mica scappato! Sarà andato al bagno. O alle macchine. O magari si sarà fermato a parlare con qualcuno da qualche parte: è estroverso!

Feci un respiro profondo e percorsi tutto il corridoio in direzione delle macchinette. Nessuna traccia di Dante. Sarà al bagno. Ritornai sui miei passi e svoltai a sinistra.

Fui colto da un brutto presentimento: quello non era un comportamento da Dante. Me lo diceva sempre se finiva prima o se passava da qualche parte prima di vederci. Gli avevo ripetuto più di una volta che non ce n'era bisogno, però lui aveva continuato imperterrito. Era così dolce, cazzo!

Non mi servì entrare nel bagno per distinguere la sua voce. Ce n'erano almeno altre due, ma la sua era l'unica che conoscevo. L'unica che avesse una qualche importanza. Mi accorsi solo in un secondo momento che non stava semplicemente parlando: stava discutendo. Stava quasi urlando. Che cazzo sta succedendo?

Aprii subito la porta. Dante mi dava le spalle. I suoi muscoli erano tesi. Era furioso. Persino da dietro sembra un animale pronto a combattere, con i pugni chiusi e le spalle rigide. Davanti a lui c'erano due tipi che non avevo mai visto prima. Uno se ne stava quasi in disparte, più attento a studiare il suo compare che ad intervenire nella conversazione. L'altro, invece, aveva tutta l'aria di chi non è stato picchiato abbastanza da piccolo. Fu a lui che il mio ragazzo gridò: "Puppami la fava, Pippo!".

"Ehi, che succede qui?" domandai alzando la voce per attirare la loro attenzione.

Ma fu come se non avessi parlato. Sentii lo schiocco prima ancora di capire quello che era successo. La testa di Dante si voltò di scatto. Un piede fece un passo indietro per mantenere l'equilibrio. I suoi occhi si riempirono di lacrime. Quel Pippo sghignazzò divertito e guardò il suo amico alla ricerca di approvazione.

Persi la testa. Superai Dante e mi piazzai davanti a quel coglione. Era poco più alto di me, ma la sua stazza non aveva nulla a che vedere con la mia. Non poteva farmi paura. Soprattutto non in quel momento. Lo afferrai per il collo e lo costrinsi ad arretrare, mettendolo con le spalle al muro.

Non mi aveva visto entrare. Non mi aveva visto arrivare. L'avevo colto alla sprovvista. I suoi occhi si spalancarono e ritrovai nel suo sguardo tutta la codardia e la piccolezza che riempivano ogni fibra del suo insignificante essere.

"Osa di nuovo mettergli le mani addosso e ti giuro - ti giuro - che sarà l'ultima cosa che farai in vita tua!" lo minacciai.

Neanche provò a divincolarsi: restò lì, fermo, come un cervo in mezzo alla strada sotto alla luce dei fari. Non fece assolutamente nulla.

"Mi hai sentito?" gridai. Feci finta di stringere la presa per spaventarlo ancora di più.

"Ho capito" piagnucolò. Mi fece una pena immensa. "Ti prego, lasciami andare" mi supplicò.

Non appena mollai la presa, corse via dal bagno a gambe levate. Il suo compagno lo seguì con una tranquillità agghiacciante, come se non fosse successo assolutamente niente. Che gente di merda!

"Amo...". Il volto di Dante era pallido e madido di sudore.

"Amore, stai bene?" gli domandai avvicinandomi a lui.

Spalancò gli occhi e fece un passo indietro. "Arriva...".

Era terrorizzato. Cercai di mantenere un'espressione calma, ma mi stavo allarmando. "Amore, che succede?" gli chiesi di nuovo.

I suoi occhi ruotarono all'improvviso nelle orbite. Il suo corpo fu come tramortito da una scossa elettrica, poi collassò. Lo presi al volo, prima che sbattesse la testa da qualche parte. I suoi muscoli non facevano altro che contrarsi e rilassarsi, ancora e ancora, con un ritmo così veloce da non essere umano. Era la prima volta che Dante aveva una crisi epilettica da quando l'avevo conosciuto.

Per la prima volta nella mia intera esistenza, supplicai gli dei di aiutarmi. Li supplicai di liberarlo da quella sofferenza e di darla a me. Datela a me! Lasciatelo in pace! La prenderò io! Nel frattempo, avevo già cominciato a contare.

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