Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo XXXI

Dante non si faceva sentire da due interminabili giorni. Sapevo che poteva essere davvero testardo, ma non a tal punto: era lui nel torto, non io! Non fare la prima mossa stava diventando sempre più difficile, soprattutto considerando quanto mi mancasse. 

"Fatti desiderare per una volta tanto, porca puttana!", mi ripeteva in continuazione Orazio, "Se lo rincorri pure stavolta, non farai altro che creare un precedente e lui non metterà mai in dubbio il suo comportamento!".

"Ma sto impazzendo!" obiettai. Il che era vergognosamente vero: l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era Dante.

"Non fare il sottone", mi rimproverò Mecenate alzando gli occhi al cielo, "Piuttosto, pensa alla tua tesi, che il tempo stringe".

Anche questo era vero: maggio era alle porte e con esso la sessione. Con tutti gli esami che dovevo preparare, non avrei avuto nemmeno un secondo per dedicarmi alle Georgiche. Omero non accennava a voler cedere con le sue modifiche. Ogni volta che mi sedevo alla scrivania con l'intento di scrivere, un terrificante senso di angoscia mi opprimeva e finivo per osservare il foglio bianco per ore ed ore. Ore che non potevo assolutamente permettermi di perdere.

Quindi decisi di buttarmi sui miei problemi accademici per evitare di tormentarmi con quelli del mio cuore e chiesi un ricevimento al professor Rodio. Il quale, con mio immenso stupore, mi fissò un appuntamento per la mattina dopo, se ero disponibile

"Te l'avevo detto io che è un santo" commentò soddisfatto il biondino quando glielo dissi.

"Chiaro, conciso e diretto, eh", si raccomandò il mio coinquilino, "Vediamo di non passare dalla padella alla brace!".

L'idea di avere Apollonio Rodio come relatore non mi faceva impazzire di gioia. Non perché non fosse un bravo professore, assolutamente: il suo era stato uno dei corsi meglio strutturati della mia magistrale. Aveva un modo estremamente limpido di spiegare e aveva la sana e lodevole abitudine di scandire bene gli accenti quando leggeva in metrica. Non era neanche il suo carattere a spaventarmi: da introverso, non me la sentivo di giudicarlo troppo per la sua flemma e i suoi modi schivi, ma devo ammettere che la prospettiva di passare con lui gli anni del mio dottorato non era così allettante.

Il punto era che nessuno lo prendeva davvero sul serio, né in ambito accademico, né tantomeno in ambito letterario. Veniva costantemente citato per le sue edizioni critiche di Esiodo e Omero ai corsi di filologia, a volte qualcuno faceva riferimento alle sue Argonautiche quando si parlava di mitologia, ma nient'altro. Non aveva alcun potere in dipartimento, nessuna autorità nei circoli che frequentava. Mancava assolutamente di carisma.

Ma Mecenate, che sicuramente lo frequentava molto più di me, sosteneva che fosse un'anima buona e generosa, ovvero proprio quello che mi ci voleva per salvare il mio proposito di laurearmi in autunno. Pertanto, mi presentai a colloquio con cauto ottimismo e delle aspettative abbastanza basse.

Bussai prima di entrate. "Professor Rodio, buongiorno", mi presentai, "Sono Publio Virgilio Marone. Le ho scritto per la tesi".

"Signor Marone, buongiorno" mi salutò a sua volta. Sembrava davvero entusiasta. "La prego, si accomodi pure".

Il suo studio non aveva nulla a che fare con quello di Omero, non solo perché era condiviso con altri tre docenti, ma specialmente perché il suo angolo era completamente sommerso di libri. Sembravano trasbordare ovunque - sulle mensole, sulla scrivania, perfino sulla stampante - eppure si vedeva che c'era un ordine ben preciso dietro a quel caos apparente.

"Allora, mi dica pure" mi esortò a parlare mentre accendeva il computer.

Mi ero preparato un bel discorso la sera prima. "Volevo chiederle se fosse disponibile a diventare il mio relatore per la tesi magistrale. Il mio progetto è quello di comporre un poema didascalico in quattro volumi, con degli inserti di storia e mitologia".

"Ha con sé una scaletta o delle bozze?" mi domandò interrompendomi.

Respira. Attieniti al programma. "In realtà avrei già tre libri pronti".

Il professor Rodio spalancò gli occhi. "Beh, questo è piuttosto insolito" commentò.

"La verità è che avevo già chiesto al professor Omero di farmi da relatore". Qualcosa nei suoi occhi cambiò. "Ma sto avendo troppi intoppi con lui e la stesura... Beh, non so nemmeno se posso chiamarla così: scrivo e riscrivo e riscrivo ancora e ancora sempre le stesse parti e...".

"Signor Marone, mi perdoni". La sua espressione era dura e indecifrabile. "Mi dica se ho capito bene: lei ha concordato la tesi con il professor Omero e ora lei è venuto da me perché sta avendo difficoltà nella stesura?". Non mi sentii mai così giudicato in vita mia. Temetti di averlo fatto arrabbiare o, peggio, averlo offeso.

"In pratica sì" gli risposi. Il piano sta andando a puttane.

Sospirò e si lasciò andare sulla sedia. "Si rende conto di quanto possa essere pericolosa per lei questa mossa?". Si sporse verso di me. "Il professor Omero è a dir poco restio a fare da relatore, ma i suoi protetti hanno delle opportunità che i più possono solo sognare. Vuole davvero sprecare questa opportunità per qualche difficoltà? Seriamente: ci ha pensato?".

"Professore, è vero: Omero mi ha promesso certi privilegi", ribattei ostentando una calma e una sicurezza non del tutto genuine, "Ma mi ha anche posto di fronte a delle condizioni che, con tutto il rispetto per la grandissima opportunità offertami e per l'autorità che me l'ha presentata, non posso assolutamente accettare. Ne valgono non solo i miei piani per il dottorato, ma anche tutta la mia carriera. Quindi, sì, ci ho riflettuto bene: preferisco cambiare relatore".

I suoi lineamenti si rilassarono tutto d'un tratto, lasciando il posto ad un'espressione stranamente benevola. "Le ha chiesto di diventare il suo successore, vero?".

Non mi aspettavo una domanda simile, soprattutto non in termini così diretti. "Come fa a saperlo?".

"Perché il professor Omero fa così dall'alba dei tempi". Arricciò il naso in una smorfia di disappunto. "Non appena vede un diamante grezzo, cerca di accaparrarselo in ogni modo possibile. Lo ha tentato con il professor Esiodo e qualche altro suo vecchio studente, ma ha sempre fallito: non appena percepiva di non avere più il controllo sui loro lavori, li abbandonava".

"Perché mi sta raccontando questo?".

"Per spiegarle perché diventerò il suo relatore, per quanto un cambiamento del genere sia a dir poco disdicevole, sia per lei, che si metterà ufficialmente contro uno dei titani di questa facoltà, sia per me, visto che in dipartimento apparirò come colui che ha sottratto ad Omero il suo pupillo".

"E allora perché vuole aiutarmi?". Qui sento puzza di magagna.

"Perché lei ha talento, signor Marone! Uno di quei talenti che nascono forse una volta ogni mille anni!". Il trasporto con cui quasi urlò quelle parole mi stupì e mi lusingò allo stesso tempo. "So chi è lei. Frequento troppo spesso la redazione del giornalino universitario e il signor Mecenate per non sapere chi sia lei! L'anonimato accieca le masse, ma non chi sa orientarsi nel mare della poesia: il suo stile è così unico da essere perfettamente riconoscibile. Non si imbarazzi, la prego". Mi sorrise. Come cazzo faccio a non imbarazzarmi!

"Dubito fortemente che qualcun altro dei miei colleghi oserebbe darle una mano e non posso tollerare che il suo potenziale venga sprecato così". Ora si stava accorando fin troppo per i miei gusti. Dov'era finita la sua solita flemma? Era davvero indignato e fomentato a tal punto? "Avremo qualche rogna con la Segreteria Didattica, ma nulla che un po' di buonsenso e di pazienza non possano oliare. Ha qualche domanda sull'iter?".

Gli risposi che no, non ne avevo. Ero a dir poco senza parole. Stava andando decisamente molto meglio di quanto sperassi! Me ne stavo lì, a fissare il professor Rodio, che sembrava essere appena ritornato in vita dopo un lunghissimo letargo. "La ringrazio per la sua disponibilità" aggiunsi.

"Si figuri, signor Marone. D'altronde, il mio lavoro consiste anche in questo: insegnare, formare, guidare. E, dove non arrivano il buon cuore e la vocazione, subentra il senso del dovere verso la letteratura". Non avevo mai incontrato qualcuno che fosse così suddito della sua arte. "Ora, mi ha detto che ha già scritto tre libri".

"Sì, esattamente. Li ho qui come me". Tirai fuori la stampa dell'ultima versione delle Georgiche. "Il terzo è quello che mi convince di meno. Del quarto ho solo una sorta di sommario".

Prese il plico di fogli, inforcò i suoi occhiali da lettura e cominciò a sfogliare tra le pagine. "Quando avrebbe intenzione di laurearsi? Il prossimo autunno? Il prossimo inverno? Luglio?" mi domandò con fare estremamente serio. Nei suoi occhi trovai la stessa concentrazione che quelli di mia madre avevano quando architettava qualcosa.

"Il prossimo autunno", dissi deciso, "Vorrei iniziare a dedicarmi al mio dottorato di ricerca il prima possibile".

Sollevò un sopracciglio. "Beh, allora non abbiamo tempo da perdere. Discuteremo più avanti del suo dottorato, ma intanto vorrei sapere se ha già qualche idea o se...".

Sapevo che la mia risposta gli sarebbe piaciuta. Avevo contato di usarla come asso nella manica nel caso in cui non fossi riuscito a conquistare la sua benevolenza. "Vorrei concentrarmi sugli Idilli di Teocrito, ma l'idea è di specializzarmi in poesia alessandrina, soprattutto epica".

Il suo volto diventò raggiante come una fiaccola nella notte. Per la prima volta mi chiesi se la sua solita flemma non fosse il naturale risultato della scarsissima considerazione che chiunque aveva per quell'uomo. "Beh, se le cose stanno così, direi che non avremo alcun problema a pianificare i prossimi anni della sua carriera universitaria!". Era così felice che non potei fare a meno di sorridergli. "Bene. Bene. Lei ha lezione questa mattina o nel primo pomeriggio?".

"No, solo sul tardi". Ti prego, dimmi che incominciamo a lavorare subito!

"Splendido! Allora direi di rivedere un po' quello che ha scritto finora, così cerchiamo di sgarbugliare un po' questi versi e capire come risolvere i suoi problemi di stesura".

"Va bene". In realtà speravo che per lui non esistessero proprio.

Il professor Rodio si aggiustò gli occhiali sul naso e incominciò a leggere ad alta voce il primo libro, scandendo bene le parole per controllarne la sonorità. Non potevo credere che stesse succedendo sul serio! Non potevo credere che Mecenate avesse così ragione sul suo conto: era estremamente gentile, assolutamente disponibile, insperatamente comprensivo. Per la prima volta dopo settimane, ricominciai a confidare sul serio di riuscire a laurearmi entro i termini che avevo stabilito. 

Ero così sollevato che questa questione si fosse risolta, ma la gioia non durò a lungo. Ora che non avevo più Omero a preoccuparmi, non avevo nessun altro modo per ignorare il vero problema della mia esistenza: Dante mi stava ignorando.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro