Capitolo XXIII
Il viaggio di ritorno pareva non finire mai. Avevo già terminato le mie letture e il mio cellulare stava morendo, visto che mi ero completamente dimenticato di ricaricarlo la sera prima e avevo avuto l'immensa sfiga di beccare l'unico posto con la presa di corrente rotta. Avevo provato a dormire un po', ma non ci ero riuscito. La verità è che, anche se avessi avuto gli dei dalla mia parte, non avrei comunque trovato pace: ero troppo preoccupato per Dante.
Il suo silenzio mi angosciava. Mi mancava, mi mancava terribilmente. Non c'eravamo praticamente sentiti in quegli ultimi giorni - il che era normale, considerando che non vedeva la sua famiglia da mesi e, ovviamente, aveva dato maggior importanza a loro piuttosto che a me. Ma quella mattina mi aveva inviato un messaggio molto frettoloso in cui mi diceva che "era stato trattenuto" a Firenze e che non sapeva ancora quale treno avrebbe preso.
Non potevo non pensare che gli fosse successo qualcosa a casa. D'altronde, mi aveva detto che aveva intenzione di fare coming out con i suoi: magari era andata male. Magari la loro reazione era stata più drammatica del previsto. O magari no, ma non c'era da ben sperare in un ambiente religioso come quello. Volevo solo assicurarmi che stesse bene, che non gli fosse capitato nulla e che la nostra relazione non avesse incrinato gli equilibri della sua famiglia.
Arrivai a Roma che era quasi buio e del mio ragazzo non avevo nessuna notizia. Non aveva nemmeno visualizzato i miei ultimi messaggi. C'è qualcosa che non va. Scesi sulla banchina e mi avviai a passo spedito verso il sottopassaggio della metro. Non vedevo l'ora di arrivare a casa, mettere in carica il cellulare e chiamarlo. Dovevo sentire la sua voce. Dovevo sapere com'era andata con i suoi. Dovevo assicurarmi che i miei patemi non fossero condivisi dall'altra metà della mia anima.
"Amore! Amore!", udii chiamare in mezzo al caos, "Maremma ladra! Guarda te questo!".
Avrei riconosciuto quella voce tra un milione. Presi a guardarmi intorno alla sua ricerca, ma non lo trovavo.
"Coglione, alle tue dodici!". Mi voltai. "Più a destra. Ma, porca boia, dove cazzo stai puntando!".
Alla fine lo vidi, seminascosto dietro ad una colonna. Era bellissimo. Mi sorrideva divertito mentre agitava una mano per attirare l'attenzione. Mi feci strada in mezzo alla folla e lo raggiunsi.
"Mi vuoi dire perché cazzo non rispondi ai messaggi, porca merda!", gli domandai esasperato, "Pensavo fossi morto!".
"Maremma ladra, quanto cazzo sei...".
Gli presi il volto tra le mani e lo baciai con foga. Mi era mancato. Quanto cazzo mi era mancato! Le sue labbra mi fecero riscoprire quale sapore avesse la mia intera esistenza. Dante fremette sotto di me e quasi perse l'equilibrio per la violenza con cui l'avevo afferrato. Schiuse le labbra. Il suo corpo aderiva perfettamente al mio. Ogni cosa intorno a me - la voce all'altoparlante, il vociare indistinto, le persone che ci superavano di fretta - scivolò via, facendoci sprofondare in un nulla in cui eravamo solamente io e lui. E, cazzo, avrei dato la mia stessa vita pur di non tornare indietro.
I nostri volti si allontanarono. I nostri respiri erano ancora pesanti. I suoi occhi scuri mi osservavano raggianti, come se gli avessero appena rivelato i segreti più oscuri dell'universo. "Stanotte dormi da me" sussurrò. Non era una domanda. Non era un ordine. Era quasi una supplica. Gli sono mancato pure io.
"Va bene". Gli stampai un altro bacio sulle labbra prima di prendere anche la sua valigia. "Allora andiamo, che te vivi in culo!". Nei suoi occhi lessi un pensiero lascivo, lo stesso che desideravo mettere in pratica al più presto.
Arrivare fino in camera sua con ancora i vestiti addosso fu un'impresa ardua, ma necessaria: Niccolò sarebbe rientrato in serata. Ci ritrovammo nudi prima ancora di essere sul letto. La mia pelle bramava disperatamente la sua, nonostante il calore e il sudore. Avevamo un disperato bisogno l'uno dell'altro, di fonderci, di perderci in noi stessi e in quel desiderio insostenibile di amarci. Scopammo per ore. Fu stremante e rigenerante allo stesso tempo.
"Boia, mi sei mancato". La sua voce era ridotta ad un sibilo dall'affanno. "Non dobbiamo più stare separati per così tanto tempo: io muoio".
Gli passai una mano tra i capelli. Sorrisi. Era così bello averlo così, stretto a me, con la testa appoggiata sul mio petto e le sue gambe intrecciate alle mie. Provavo un'incredibile senso di completezza nello stare così. "Sono d'accordo, amore" gli sussurrai di rimando.
Sospirò. "La prossima volta che salgo, tu vieni con me. Tanto ormai lo sanno tutti".
Esitai un attimo prima di approfondire l'argomento. "Com'è andata?".
Dante si sollevò sui gomiti e posò la testa sul cuscino, i nostri nasi erano così vicini da sfiorarsi appena. Chiuse gli occhi, ma non mi sembrò turbato. "Lapa se l'aspettava. Non so bene come, ma se l'aspettava: me l'ha detto lei stessa. Non mi è parsa tanto felice, ma nemmeno contrariata. Sembrava... Boh, preoccupata? Impensierita? Non lo so".
"Forse era preoccupata per come l'avrebbero presa tuo padre e tuo nonno" suggerii. Feci scivolare un braccio dietro la sua schiena e cominciai a disegnare linee immaginarie con la punta delle dita. Sapevo che gli sarebbe piaciuto.
"Effettivamente hai ragione", continuò, "Mio padre non l'ha presa bene. Ma non l'ha nemmeno presa male, capisci? Mi ha tempestato di domande su di te, su di noi, su qualsiasi cosa in effetti, ma non ha urlato. Pensavo che... Non so, avrebbe dato di matto! Avrebbe cacciato fuori il cristianesimo e le Sacre Scritture e tutto l'armamentario biblico, ma no: si è limitato a fissarmi con aria disgustata".
"Sei deluso?". Mi sembrò una domanda stupida da fare, ma l'impressione era quella.
Ci pensò su un attimo prima di rispondere. "Sì. In effetti sì, un po'. Insomma, io mi ero preparato tutte le controrisposte bibliche e le giustificazioni ragionevoli". Udirlo parlare così mi riempì di tristezza. Mi sentii profondamente grato e fortunato di essere nato in una famiglia che, ne ero certo, mi avrebbe amato sempre e comunque, a prescindere da chi e cosa sarei diventato. "Ma invece no", riprese, "Anzi, tralasciando il disgusto e lo scontento per avere un frocio in famiglia, mi ha chiesto quando avrebbero potuto conoscerti!".
Questo non me l'aspettavo. "Vogliono conoscermi?" gli chiesi sconvolto.
"Vogliono conoscerti!". Dante alzò la voce per lo stupore. "Lapa ti ha ufficialmente invitato a casa per il mio compleanno! E i miei fratelli non vedono l'ora di conoscerti! Cioè, Tana non vede l'ora di conoscerti", si corresse, "Francesco ha accolto la notizia come al suo solito: vabbè, ha alzato le spalle ed è tornato a giocare a Clash of Clans. Ma Tana! Tana è entusiasta! Ti giuro, vuole conoscerti! Mi ha fatto un fottio di domande su di te, su che libri leggi, su quale sia il tuo sport preferito...".
"E te che le hai risposto, scusa?". Non ero mai stato tipo da attività fisica.
"Che non fai sport, ma tifi Roma". Risposta corretta. Gli rifilai un bacio veloce. "Ha detto che vuole assicurarsi che tu sia alla mia altezza!".
"Beh, sono decisamente più alto di te".
"Non in quel senso, demente". Sorrise. "Anche se, pure qui, avrei da ridire".
"Ah sì?". Decisi di ricordargli molto amorevolmente quale fosse il suo posto. Lo strinsi forte a me e lo baciai con così tanta foga che i nostri denti si scontrarono.
Salii sopra di lui. Gli morsi il labbro inferiore. Provò a sollevare la schiena per impedire che le nostre bocche si allontanassero, ma lo ributtai subito giù sul cuscino.
"Ti stai divertendo, vero?" mi domandò quasi gemendo. Era già duro.
"Oh, tu non sai quanto!". E non hai ancora visto niente.
Sono piuttosto sicuro che, se non fossimo stati sfiniti per il viaggio, quella volta saremmo davvero potuti andare avanti per tutta la notte. Ero ormai giunto alla conclusione che non ne avrei mai avuto abbastanza di Dante Alighieri. Soprattutto perché lui dimostrava altrettanto.
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