Capitolo XLII
La mattina seguente mi svegliai con la sensazione che qualcuno mi stesse fissando. Aprii gli occhi e la prima cosa che vidi fu una nidiata di capelli corvini e arruffati. Dante dormiva ancora sereno, con il volto affondato sulla mia spalla. Cazzo, quanto ti amo! Chiusi gli occhi, sperando di poter restare così per un altro po' prima di dover affrontare di nuovo la cortese ostilità di Alighiero.
Un click spezzò il silenzio della stanza assonnata. Mo che è? Con lo sguardo ancora offuscato dal sonno, cercai di capire che cosa avesse provocato quel rumore.
"Maiala, che t'ho svegliato?" mi domandò una vocina preoccupata.
Tana era ai piedi del letto, ferma immobile come una statua, con un vestitino rosso molto principesco e l'espressione imbarazzata di chi è stata colta in fragrante, la stessa che a volte assumeva Dante. In mano aveva il cellulare di suo fratello.
"No, tesoro, non ti preoccupare" le risposi con dolcezza.
"Mamma mi ha mandato a svegliarvi", iniziò a giustificarsi parlando a macchinetta. A quanto pare è un vizio di famiglia. "Eravate troppo belli. Cioè, siete troppo belli... Vi ho fatto una foto!".
"Grazie, sei stata molto carina a pensarci". Mi passai una mano sul viso per togliermi di dosso le ultime tracce di sonno. "Però non penso che qualcosa riuscirà a svegliare tuo fratello. Non lo sveglierebbe nemmeno una grancassa!".
Sul volto della bambina comparve un sorriso radioso. "Io ho un metodo infallibile! Se vuoi te lo mostro".
Qualcosa mi disse che sarebbe stato particolarmente brutale. "Prego, fai pure".
"Però ti devi alzare, altrimenti rischio di farti male".
Non feci nemmeno in tempo ad uscire dalle lenzuola che Tana aveva già preso la rincorsa e si era fiondata di peso su Dante. "Buongiorno, grullo! Il sole è alto e ti sta aspettando!". Suo fratello non si mosse di un millimetro. "Sono già le dieci e mezza, maiala! Tra poco noi usciamo per messa". Iniziò a smuoverlo con tutta la violenza che può avere una bambina delle elementari. Ero basito. "Babbo ha comprato le paste, stanno sul mobile...".
Con un gesto rapido e improvviso, Dante buttò sua sorella per terra e usò il mio cuscino per coprirsi la faccia. Feci del mio meglio per non scoppiare a ridere, ma non avrebbe avuto molta importanza: Tana era molto concentrata sulla sua missione.
"Ma lo vedi che sei proprio un grullo te, Maremma!". Gli tolse di dosso le lenzuola, accartocciandole per terra per evitare che se le rimettesse addosso. Salì di nuovo sopra di lui e cominciò a prendere a pugni il cuscino. "Più tempo stai così, meno tempo stai da solo con Riccioli d'oro! Allora, come la mettiamo?".
"Ti odio" borbottò Dante con la voce di chi vorrebbe solo dormire.
"Boia, non è vero: tu mi vuoi stra, stra, stra, strabene!".
Suo fratello si tolse il cuscino dalla faccia. "No, ti odio". Glielo si leggeva in faccia che non lo pensava sul serio.
"Ti devi alzare!" gli urlò dritto in faccia Tana.
"Ho capito, Madonna pulita!", le gridò lui di rimando, "Ma se non ti togli dai coglioni, come maiala faccio!".
Tana scese dal letto e si avvicinò a me con fare soddisfatto. "Hai visto che ha funzionato?" gongolò entusiasta mentre Dante si infilava le pantofole.
"Direi che ti ruberò il metodo per le prossime volte" le dissi prima di farle l'occhiolino. Lei squittì divertita.
"Voi due insieme non mi piacete" borbottò il mio ragazzo.
Sentimmo urlare Lapa dal piano di sotto. "Arrivo!", rispose Tana, "Le paste stanno sul mobile piccolo. Ci vediamo dopo!". E uscì dalla stanza correndo come un razzo. Era adorabile.
"Tua sorella mi sta un sacco simpatica" commentai con lo sguardo ancora in direzione della porta.
"Avevo intuito". Dante si avvicinò a me e mi diede un bacio leggero sulle labbra. "Ma prima cibo e poi parliamo".
In cucina trovammo il sacchetto del bar e il caffè ancora caldo nella macchinetta. "Prova a toccare qualcosa e giuro che ti ammazzo" mi minacciò non appena provai ad avvicinarmi alla credenza.
"E che cazzo faccio?" gli domandai.
"Esisti, il che è già più che abbastanza" mi rispose leggermente imbronciato. La mattina era sempre così.
Rimasi fermo a fare il fidanzato-trofeo per poco, in realtà, giusto il tempo di far bollire l'acqua per il tè di Dante e trovare un vassoio. Osservai il mio meraviglioso ragazzo mentre ci preparava la colazione, anche se allora non capivo ancora il senso del vassoio, e lo seguii di nuovo su per le scale.
"Colazione a letto?" gli chiesi confuso.
"No". Tornammo in camera sua. "Mi puoi aprire la porta-finestra?".
Quella che fino ad allora credevo fosse una finestra ad altezza parete si rivelò essere l'accesso ad uno spazietto esterno talmente misero che, a definirlo balcone, si sarebbe stati troppo generosi. Incassato tra i tetti, era abbastanza grande per due persone, tre al massimo, e dava su uno dei vicoletti del centro storico. Dante posò il vassoio sulla balaustra e lo spinse abbastanza indietro affinché le tegole lo mantenessero in un precario equilibrio.
"Ammazza che roba!" commentai meravigliato. Notai solo in seguito che, se ci si sporgeva abbastanza sulla destra, si poteva intravedere la cupola del Duomo.
"Almeno una cosa bella di questo weekend, no?" sbuffò lui. Le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro.
"Perché dici così?", domandai preoccupato, "Già il solo fatto di poter stare con te è una cosa bella!".
"Ma smettila!", mi liquidò con un gesto nervoso della mano, "Che tra il mi' babbo e il mi' nonno ieri sera...".
"Non me ne frega un cazzo di tuo padre e tuo nonno, amore. O meglio, mi frega nella misura in cui il loro comportamento ti fa stare male", mi corressi subito, "Io, sinceramente, mi aspettavo di molto peggio!".
"Anche io" dovette ammettere. Sospirò. "Insomma, non hanno dato di matto".
"Tuo padre è stato cortese...".
"Sì, ma è tutta una facciata. Maiala, quell'uomo è un attore nato!". Gettò la testa all'indietro e chiuse gli occhi. "Fa così solo per averci la coscienza pulita, ma se potesse fare come vuole lui...". Quell'esitazione mi fece raggelare il sangue. "Maremma, a volte mi fa schifo essere il su' figliolo! Gli somiglio così tanto e...".
"Tu non sei tuo padre! Dante, guardami". I suoi occhi marroni erano così tristi quando si posarono su di me, bui come due pozzi profondi. "Tu non sei tuo padre! Sì, è vero, fisicamente gli assomigli moltissimo...".
"E anche caratterialmente", aggiunse lui, "L'orgoglio, l'irritabilità, sono tutte cose che ho ripreso da lui".
"Ma tu non sei lui", ripetei ancora una volta. Volevo che il messaggio gli si conficcasse in testa. "Non si può dire che tu abbia un carattere mite o tranquillo, ma non sei solo quello. Tu sei una brava persona. Una brava persona che, come tutti gli esseri umani a questo mondo, ha dei difetti e commette degli errori. Non ti ho mai visto far soffrire qualcuno di proposito, anzi, a volte sei così ingenuo che è impossibile considerarti davvero colpevole per quello che fai. Sei gentile. Sei premuroso. Quando tieni a qualcosa, sei pronto a smuovere mari e monti per proteggerla".
Gli presi le mani tra le mie. "Sei dolce, in una maniera così fresca e innocente che a volte sembri un bambino. Sei sincero, sei vero, sei assolutamente incapace di mentire, cazzo! E, sì, a volte sei presuntuoso e arrogante. Altre volte non sai proprio regolarti e ti consideri più importante di quanto tu sia effettivamente, ma non ti ho mai, e dico mai, visto comportarti con cattiveria o con l'intenzione di far sentire gli altri delle nullità! E non lo dico solo perché ti amo da impazzire: lo dico perché tu sei davvero una persona buona. E vorrei solo che...".
Dante mi afferrò il viso e si fiondò sulle mie labbra, costringendomi a tacere. Fu un bacio lungo e profondo, di quelli che non avevamo potuto scambiarci per nulla da quando avevamo messo piede a Firenze.
"Mi sei mancato" riuscii a sussurrare tra un bacio e l'altro.
Io lo tenevo stretto a me cingendogli i fianchi, lui si aggrappava alle mie spalle come se fossero state gli unici scogli in mezzo all'oceano infinito. Avvertii il suo respiro sulla mia pelle quando sospirò, una volta o due.
"Maremma ladra, non so come farò senza di te quest'estate".
Quelle parole, pronunciate come un soffio leggero a fior di labbra, mi riportarono bruscamente alla realtà.
"Ma che cazzo stai dicendo?" gli domandai. La mia voce suonò più brusca di quanto desiderassi.
Dante mi guardò con aria confusa. "Il mio contratto scade a giugno". OKAY, NIENTE PANICO! "Mi pareva di avertelo detto...".
"No, non me l'avevi detto".
"Ah, va bene. Allora te lo dico adesso".
Un brivido d'irritazione scosse il mio corpo, facendomi irrigidire in quella stretta che, fino a qualche istate prima, avevo trovato assolutamente confortevole.
"Perché a giugno?". Devo darmi una calmata.
"Boh, babbo l'ha firmato così. Devo traslocare tra qualche settimana. Ma ehi". Mi prese il volto tra le mani, accarezzando le guance con i pollici. "Scenderò giù per gli esami e ci potremo vedere qualche giorno!".
"Qualche giorno?", gli feci eco in preda allo sconforto, "Dante, io non voglio vederti solo qualche giorno! Che poi tu sarai preso dagli esami, io non... No, non lo posso accettare".
Ero già stato lontano da lui una settimana durante le vacanze di Pasqua ed era stato assolutamente atroce, figuriamoci moltiplicarlo per mesi! Non volevo separarmi da lui per così tanto tempo, accontentandomi delle chiamate e delle videochiamate che, tra l'altro, sarebbero state probabilmente rare! Non avrei potuto cercare il suo sguardo quando eravamo nella stessa stanza o sprofondare nella familiarità del suo odore. Niente baci. Niente notti nello stesso letto, stringendoci l'un l'altro, pelle contro pelle. No, non lo potevo accettare. Sarei sopravvissuto? Sì. Ma non lo potevo comunque accettare.
"Beh, non è che abbiamo molte alternative" commentò sconfortato.
"Potresti sempre venire a stare da me, idiota!". Il fatto che non l'avesse preso minimamente in considerazione mi offese.
All'inizio Dante mi fissò con uno sguardo un po' assente, ma poi qualcosa cambiò. "Aspe', ma sei serio?".
"Porca puttana, secondo te!" esclamai posando le mie mani sulle sue. Lo guardai dritto negli occhi. "Non puoi stare a casa tua? Perfetto: starai a casa mia".
"No, non posso... Io...".
"Sì che puoi: è casa mia e comando io. Mecenate passa le sessioni da noi da anni, quindi Orazio non avrà niente da ridire in merito. Anzi, secondo me sarà pure contento!".
"E sei poi ti stufi di me?" mi domandò Dante. Per un attimo pensai che stesse scherzando, ma nelle sue pupille si nascondeva una luce quasi supplichevole. Rimasi per l'ennesima volta stupito dalla sua insicurezza e dal suo terrore di dar fastidio al prossimo.
"Dante, sei l'amore della mia vita: è umanamente impossibile che io possa stufarmi di te! Quindi vuoi venire a stare da me, sì o no?".
In tutta risposta, mi saltò di nuovo addosso e mi baciò fino a togliermi letteralmente il fiato. Lo prendo per un sì.
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