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Capitolo XIII

Mia madre mi ha sempre detto che, se non fossi riuscito come scrittore, sarei stato un perfetto organizzatore d'eventi. Non posso darle torto. I miei piani per il mio primo appuntamento con Dante erano così precisi e dettagliati, con tanto di piano B in caso di pioggia e piano C in caso di fiasco, che era praticamente impossibile che qualcosa andasse storto.

Fase uno: preparazione cibo. Visto che avremmo dovuto fare un picnic, dovevo pensare a qualcosa facile da trasportare, preferibilmente un piatto freddo, ma che al tempo stesso mi permettesse di prenderlo per la gola. Cucinai per tre - in queste occasioni meglio abbondare che deficere - e riempii tre borracce. 

"Hai paura che il pupo muoia di fame?" ci scherzò su Orazio.

"Guarda che un pasto troppo pesante smorza un altro tipo di appetito, eh" commentò, invece, Mecenate.

"Non mi fate ridere" feci io. Avevo troppa ansia per apprezzare le loro battute.

Fase due: scelta del posto. Volevo qualcosa di tranquillo, ma non troppo romantico, così nessuno dei due sarebbe stato in soggezione. Un parco sarebbe stato perfetto, ma a marzo il tempo era troppo imprevedibile per non considerale un temporale improvviso, quindi dovevamo avere vicino un posto al chiuso. E avevo già in mente il posto perfetto.

"No, io mi rifiuto", si oppose il biondino non appena sentì la mia idea, "Come cazzo hai fatto a pensare ad un posto del genere?".

"Ma tanto bella Villa Borghese, ce sta pure il laghetto", gli diede corda il suo ragazzo, "Perché ti fa così schifo?".

"Potrei chiedervi lo stesso". Si scambiarono degli sguardi sconvolti. Io continuavo a non capire quale fosse il problema.

"Virgilio, io ti voglio tanto bene", incominciò a predicare Mecenate, "Ma non credi che portare Dante a casa del Duce sia un tantino... Come dire...".

"Un'idea davvero di merda?" concluse brusco Orazio.

"Ridurre Villa Torlonia a casa del Duce mi sembra un tantino esagerato", obiettai, "E poi non penso che Dante lo sappia. Raga, è il posto perfetto: se piove, ci imbuchiamo nel museo. Se non piove, ci facciamo una passeggiata".

"Romanticissimo, passeggiare nel giardino della casa di un dittatore omofobo! Tu non trovi, Mece?". 

"Messa in questi termini, a me sinceramente fa un po' ridere" confessai io.

"Fai come ti pare!" esclamò il biondino rassegnato. Tanto l'avrei fatto in ogni caso.

Fase tre: preparazione all'appuntamento. La mattina del gran giorno mi alzai presto, mi rasi la barba, mi feci una doccia e cercai di vestirmi quantomeno decentemente. Fui tentato di chiedere consiglio a Beatrice, ma alla fine pensai che sarebbe stato troppo esagerato: ero un uomo forte e indipendente, di certo era più importante avere un buon odore che una maglietta diversa.

La verità era che stavo evitando in tutti i modi possibili di andare nel panico. Con Alessandro non avevo mai avuto un appuntamento vero e proprio, per quanto ci fossimo frequentati per mesi. In più, stavolta il mio obiettivo era un altro: non volevo semplicemente scoparmi Dante, volevo che diventasse il mio ragazzo. Non ero ancora sicuro di che cosa provassi esattamente per lui, ma non era di certo una mera attrazione fisica. 

Mi presentai al luogo dell'appuntamento dieci minuti prima, giusto per essere sicuro che non ci fosse più gente del previsto. Villa Torlonia era sostanzialmente vuota. Dante arrivò cinque minuti dopo di me. 

"Mi aspetti da tanto?" mi chiese non appena mi vide.

"No". Si era fatto anche lui la barba. Era bellissimo. "E sei comunque in anticipo".

"Vuoi una mano con quelle?". Indicò le borse termiche. "Sembrano parecchio pesanti".

"No, non ti preoccupare, sono abbastanza leggere". Non mi sembrava molto convinto. "Vogliamo andare?".

Avevo già scelto il punto esatto in cui sistemarci -  non troppo al sole, ma nemmeno troppo all'ombra, lontano dal punto in cui di solito la gente si metteva a fare yoga. Stesi una tovaglia, tirai fuori tutto il necessario e mi assicurai che le fragole non si fossero guastate nel viaggio.

"Ma hai cucinato tu?" mi domandò Dante con aria sorpresa.

"Sì, ho cucinato io".

"Tu sai cucinare". Non capii se fosse una domanda o un'esclamazione. "Cioè, cucinare per davvero".

"Beh, di sicuro 'sta roba non è finta" mi sforzai di scherzarci su. Mi sentii improvvisamente nervoso.

I suoi occhi erano così grandi e luminosi che avrei voluto cascarci dentro. "Io il massimo che so fare è la pasta al pesto. Col pesto pronto, intendo" mi disse quasi vergognandosi, "Non sono molto capace".

Non mi piaceva quell'espressione. "Almeno quella la sai fare. Una volta Orazio, il mio migliore amico, è riuscito a bruciare la pasta".

"In che senso?".

"Ha buttato la pasta e l'ha bruciata".

"Ma come cazzo ha fatto?". Le rughe sulla sua fronte si erano spianate.

"Non ho la più pallida idea", sorrisi io, "So solo che da allora è bandito dalla cucina".

Da lì in poi il clima fu meno teso e riuscii a godermi l'appuntamento. Il mio intento di prenderlo per la gola andò a buon fine: Dante spazzolò praticamente ogni cosa, riempiendomi di complimenti e ripetendomi che avevo delle mani d'oro. Ammetto di aver pensato battute poco caste ogni volta che lo diceva, ma non volevo essere troppo precipitoso, soprattutto considerati i miei precedenti. Era bellissimo, mentre mangiava: si vedeva che era felice. I suoi lineamenti spigolosi riuscivano a piegarsi in delle smorfiette talmente dolci che faticai a non baciarlo per tutto il tempo.

Ci sdraiammo l'uno accanto all'altro, vicinissimi per entrarci in due sulla tovaglia. Avvertivo la presenza e il calore del suo corpo, ma non sapevo se fosse il caso di toccarlo. Insomma, se anche lui avesse voluto, me l'avrebbe fatto capire, no? Non se ne sarebbe stato lì, fermo come una statua, con gli occhi puntati al cielo e il respiro così leggero che pareva non respirare affetto! Magari è timido. Magari è la prima volta che esce con un ragazzo e non sa come comportarsi. 

Smisi di guardarlo e fissai una nuvola ferma sopra la mia testa. Feci un respiro profondo e gli sfiorai il mignolo con il mio. Restai in attesa, ma niente. Okay, calma. Restiamo calmi. Tu gli piaci, probabilmente è solo nel panico pure lui. Presi coraggio e feci intrecciare i nostri mignoli. Ora sta a te, però.

Dante interruppe il contatto. Per un istante temetti di aver frainteso tutto e di essere un vero idiota. Poi però mi strinse la mano, con delicatezza, e prese ad accarezzarmene il dorso con il pollice. Mi voltai subito e incontrai il suo sorriso soddisfatto. Stavolta non resistetti e lo baciai. Mi resi conto di quanto mi fossero mancate le sue labbra solo quando desiderai non staccarmene più. Erano così morbide che le addentai solo per saggiarne meglio la consistenza. Non c'era nulla di casto nel modo in cui il fiorentino si aggrappò a me mentre lo mordevo.

Ad un certo punto dovemmo fermarci per riprendere fiato, purtroppo. Gli accarezzai la guancia e osservai le sue ciglia chiudersi beate. Era così bello che non poteva essere reale.

"Non sono mai stato con un ragazzo finora", mi confessò di punto in bianco, "Ho avuto una ragazza, ma... Beh, è complicato, non saprei come spiegartelo".

"Anche io ho avuto una relazione complicata, non serve che me lo spieghi" gli dissi nel tentativo di rassicurarlo. L'idea di essere il primo uomo a baciarlo mi elettrizzò.

"Ragazza o ragazzo?".

"Ragazzo. Le ragazze non mi sono mai piaciute".

"Giusto, me l'avevi detto che sei gay". La nostra prima conversazione, ero stupito che se la ricordasse.

"Deduco che tu non lo sia".

"No, la fica mi garba". Si pentì subito di essersi espresso in maniera così diretta, glielo lessi in faccia. "Insomma, non sono gay. Ma non sono nemmeno etero...".

"Meno male! Sarebbe stato un bel problema!". Era un commento da coglione? Assolutamente sì, ma sono dettagli.

Mi sorrise. "Eh già". Mi sistemò un ricciolo dietro l'orecchio. All'improvviso respirare divenne un'impresa quasi impossibile. "Per fortuna che esiste la bisessualità". Ma per fortuna!

Lo baciai di nuovo, ma stavolta con più calma, con dolcezza. Lui mi sfiorò il braccio con la punta delle dita, disegnando linee immaginarie sulla mia pelle. Venni assorbito da un torpore così piacevole che ogni fibra del mio corpo si rilassò, cullandomi verso un vuoto in cui l'unica cosa esistente erano le labbra di Dante Alighieri. Quando riaprii gli occhi, il sole stava già tramontando.

"Che è successo?". La sua voce era teneramente impastata di sonno. "Che ore sono?".

Guardai il cellulare. "Sono le sei e mezza. Penso che ci siamo addormentati". Cazzo, ci siamo addormentati! Abbiamo dormito insieme! E, per l'ennesima volta, mi chiesi se non avessi sottovalutato i miei sentimenti per lui. 

Allerta spoiler: ovviamente, l'avevo fatto.

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