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Capitolo IX

Quel fine settimana salii da mia madre a Milano. Avrei voluto portare con me il primo saggio dell'esame di greco, ma non ero così illuso da credere che avrei studiato sul serio: avrei principalmente dormito. E mangiato, naturalmente, perché mamma era profondamente convinta che a Roma non mi nutrissi abbastanza.

"Ti sei insecchito dall'ultima volta" mi aveva detto, infatti, non appena mi aveva visto.

"Ma no, è una tua impressione". In realtà mi capitava spesso di perdere peso durante le sessioni, tutto merito dello stress.

Sospirò contrariata. "Stai diventando come tuo padre". Non potevo darle torto.

I miei genitori avevano divorziato quando ero in terzo superiore e nessuno ne sembrò stupito: erano anni che quei due litigavano per qualsiasi cosa, anche la più piccola, e il tempo e la vita avevano reso evidente quanto le loro personalità fossero incompatibili. Però si amavano e si rispettavano ancora, si sforzavano di andare d'accordo quando si trattava di me e non mi hanno mai fatto pesare la loro separazione: un solo Natale, una sola Pasqua, un solo compleanno. Mi sentivo molto fortunato per questo. Poi io mi ero trasferito a Roma per l'università, mia madre aveva accettato una promozione a Milano e mio padre era rimasto a Mantova a gestire lo studio legale: allora sì che avevo dovuto iniziare a dividermi tra due case. Ma la cosa continuava a non pesarmi affatto: ero libero di scegliere quando andare da chi e per quanto tempo. 

Di solito andavo da mia madre. Viveva in un trilocale degli anni '70 molto accogliente, anche se un po' troppo vintage per i miei gusti, e tempestato dalle nostre foto: noi in vacanza dai nonni, la mia laurea, io e mio fratello da piccoli a Rimini. Lì trascorrevo le mie giornate in una quiete assoluta, ciondolando tra la mia stanza e la cucina, dove venivo sempre convinto a mangiare qualcosa. Quando non dormivo leggevo e quando non leggevo parlavo con lei, ascoltando i suoi racconti sulla sua nuova vita da donna in carriera e sui tempi dell'università. E, ovviamente, i suoi rimproveri materni.

"Ma lo stai usando il balsamo che ti ho dato l'ultima volta?" mi chiese con quel tono inquisitorio che la rendeva terrificante in tribunale.

"Sì, mamma". Il che era tecnicamente vero, ma me lo dimenticavo la maggior parte delle volte. 

Si avvicinò, prese una ciocca dei miei capelli e la esaminò scrupolosamente. "In effetti sono un po' più sani, ma hai le doppie punte. Dovresti tagliarli".

"A me i capelli lunghi piacciono".

"Infatti mica ti ho detto che devi farti la boccia". Mi accarezzò una guancia. "Ma i capelli lunghi vanno curati affinché rimangano sani. Giusto una sforbiciata per togliere le doppie punte e rinforzarli, niente di più". In quei momenti mi chiedevo se mia madre avesse mai voluto una figlia femmina. "Però è solo un consiglio, poi tu puoi fare come ti pare".

"Ci penserò". Non ci avrei pensato.

Mi rifilò un bacio sulla testa e tornò a preparare la cena. "Come va la carriera del poeta di casa? Mi sembra che tu abbia trovato un accordo con i ragazzi della redazione, no?".

"Hai letto l'ultima Bucolica, vero?".

"Ovvio, sono la tua fan numero uno!". Mi ritrovai a sorridere. Le volevo un bene dell'anima. "Allora, che mi racconti?".

"Niente di che, in realtà", incominciai a parlare per farla contenta, "Siamo rimasti che pubblicherò solo quando riterrò che i pezzi siano pronti per la pubblicazione, senza scadenze di alcun tipo. Mece mi ha chiesto di usare un linguaggio un po' più alto, così sarà più facile per lui far uscire le ecloghe non editate senza che lo accusino di fare preferenze".

"Mi è sempre piaciuto quel ragazzo" commentò con una certa soddisfazione.

"Già, ho notato".

"Sta ancora con Orazio, no?". Non mi aspettavo una domanda del genere.

"Sì, sì, tutto apposto".

"Ti sembrano felici insieme?". Il discorso iniziò a puzzarmi.

"Beh, sì". Che altro avrei dovuto rispondergli?

"E tu invece? Ti vedi con qualcuno?". Eccallà!

Pensai subito a Dante Alighieri e a quello che era successo l'ultima volta che c'eravamo visti. Mi ero sforzato così tanto in quei giorni di non ritornare con la mente all'auletta, alla nostra conversazione, a quel bacio veloce che non poteva significare davvero qualcosa, no? Insomma, se fosse significato davvero qualcosa, non sarei rimasto fermo lì, mezzo inebetito, l'avrei seguito per il corridoio e l'avrei baciato di nuovo, no? O almeno ci avrei parlato, avrei cercato di chiarire quello che era successo o qualcosa del genere.

"Che cosa frulla in quella meravigliosa testolina?" mi chiese mia madre sorridendo sorniona.

"Se ti dico una cosa, giuri che non cominci a sclerare come una dodicenne?". 

"No, no, e chi sclera?". Lo stava già facendo, per quanto cercasse di apparire seria. "Dimmi tutto".

Le raccontai la vicenda dal principio, da quando Beatrice aveva avuto l'attacco di panico ed ero diventato il tutor di Dante Alighieri. Sentendomi parlare di lui e di come si era evoluto il nostro rapporto, mi resi conto per la prima volta di quanto volessi che mia madre mi dicesse che mi stavo preoccupando per nulla e che sicuramente non sarebbe più successo nulla di strano. Ma i suoi occhi esprimevano tutt'altro, accennò perfino un sorrisetto divertito quando le raccontai della serata. E, quando le dissi le bacio, si morse le labbra per trattenere l'entusiasmo. Poi mi cazziò.

"In che senso non l'hai seguito?" esclamò strabuzzando gli occhi.

"Non l'ho seguito, ma': che ti devo dire?". La mia voce ora suonava molto nervosa, me ne rendevo conto. "Non sarebbe stato appropriato e...".

"Ma non sarebbe stato appropriato cosa?".

"Che ci vedessimo al di fuori di...".

"Ma perché?" strinse la morsa mia madre.

"Perché non sarebbe stato professionale!".

Sospirò. "Ti rendi conto del fatto che tu non sei il suo professore, vero? Avete quanto - tre, quattro anni? - di differenza e sei stato il suo tutor per un solo esame: siete praticamente alla pari, cazzo! Perché pensi che non sarebbe stato professionale?".

"Perché, se avesse passato l'esame, avrebbero pensato che...".

"Avrebbero pensato chi? Non sei così importante Virgilio, fattelo dire: sei solo un tutor. Probabilmente gli unici che sanno che tu e quel Dante vi conoscete sono Beatrice, la ragazzina a cui facevi tutoraggio quel giorno e magari - magari - qualche altra matricola che ha frequentato il corso di Omero. Punto. Sarebbe stato inappropriato, al massimo, se voi due vi foste messi insieme mentre gli facevi ancora tutoraggio, ma Dante ha l'esame settimana prossima e sono convinta che lo supererà. E tu sei un ragazzo molto intelligente e umile soprattutto, quindi tutto questo tu lo sai. Solo che ora ti stai impanicando, quindi spari queste giustificazioni del cazzo".

In queste situazioni, odiavo profondamente mia madre: perché riusciva sempre a capire che cosa mi passasse per la testa? Perché riusciva sempre a vedermi prima ancora che io vedessi me stesso? Era frustrante e spesso pensavo che fosse ingiusto e imbarazzate, ma immagino che sia questo quello che faccia una brava madre.

"Quindi, la vera domanda è questa: a te Dante piace?" concluse la filippica.

"Non lo so", ammisi, "Cioè, non capisco".

"Ti fa sentire come ti faceva sentire Alessandro?". Alessandro era stato il mio primo, e fino ad allora unico, ragazzo.

"No, è diverso". Con lui era stata principalmente attrazione fisica: detto in maniera un po' volgare, me ne rendo conto, volevo sempre scoparmelo. Era iniziata così e poi si era evoluta in una relazione vera e propria. Credo che sia per questo che finì male: io alla fine mi ero innamorato di lui, ma lui vedeva in me solo una persona con cui limonare e fare sesso quando ne aveva voglia. Mi aveva lasciato lui, dopo un paio di mesi, per un ragazzo più figo di me. Ne ero uscito devastato.

"In che modo è diverso?".

"Non muoio dalla voglia di farmelo". 

"Non è che, se qualcuno ti piace, allora devi per forza morire dalla voglia di scopartelo" mi sorrise. Io mi sentii un idiota.

"Lo so".

"Ma?" mi incalzò a parlare.

"Ma non lo so, mamma. Non lo so". Ero davvero confuso.

Mia madre tacque per un istante. "Ne hai parlato con Orazio e Mece? Magari loro possono aiutarti a capire come ti senti" mi consigliò accarezzandomi i capelli.

"No, loro non ne sanno niente". Avevo preferito far finta che non fosse accaduto nulla. "Pensi che dovrebbero saperlo?".

"Non penso che dovrebbero saperlo. Penso che loro sono i tuoi amici, conoscono te, Dante e tutta la situazione, quindi magari possono darti una mano", si spiegò meglio con quel tono dolce che riusciva sempre a convincermi a darle retta, "E poi ti vogliono un mondo di bene, amore: sono sicura che ti consiglieranno bene, forse anche meglio di me".

Annuii. "Okay. Grazie mamma". Non ero del tutto sicuro che fosse una buona idea, ma di solito lei ci azzeccava in materia di sentimenti e relazioni.

Mi diede un altro bacio sulla testa. "Prego amore". Sospirò. "Ma un suggerimento da questa vecchia mamma fattelo dare".

Sorrisi. "Sono pronto alla perla per la perla di saggezza materna".

Mi sorrise. "So che sei uscito ustionato dalla storia con Alessandro, ma non per questo devi avere paura di amare: se non ti scotta, se non ti brucia, non sei davvero innamorato. Il punto non è evitare il fuoco. Il punto non è evitare l'amore. Il punto è trovare un amore che non ti riduca in cenere. Il punto è trovare un amore che ti faccia risplendere".

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