Capitolo III
"E quindi poi com'è andata a finire?" mi chiese Orazio agitando le bacchette in aria.
"Siamo andati in auletta e ho presentato Beatrice alla ragazzina. Ti giuro, Dante è sbiancato quando ha capito quello che stava succedendo", continuai a raccontare, "Però, sinceramente, non me ne frega un cazzo se c'è rimasto male: nessuno dovrebbe far piangere una ragazza in quel modo".
"Nessuno dovrebbe far venire un attacco di panico a nessuno in generale". Indicò l'ultimo involtino primavera rimasto. "Lo vuoi mangiare tu quello?".
"No, fai pure". Sorrise soddisfatto. "Comunque, io e Dante ci siamo messi nell'altra stanza a lavorare su un pezzo dell'Iliade, quello in cui Achille e Agamennone fanno a gara a chi ce l'ha più grosso per Briseide. Io stavo cercando di essere professionale e di fare il mio lavoro senza lasciarmi influenzare da quello che era appena successo...".
"Immagino" commentò senza sarcasmo.
"E a 'na certa Dante si ferma e mi fa: "Ma perché adesso tutoraggio me lo fai tu?". Ma me l'ha detto con una faccia scazzata!".
"E che doveva fare? Essere contento? Alighieri è passato dallo stare due ore a settimana da solo con la sua crush all'essere bloccato con te!", esclamò, "Anche io avrei voluto una spiegazione, scusa! Ma in generale, se all'improvviso cambiassi tutor, io mi sentirei un attimo in difficoltà: magari con quello prima mi trovavo bene e...".
"Perché lo stai difendendo?" gli domandai stizzito.
"Non lo sto difendendo". Sospirò. "Vabbè, stavi dicendo?".
"Dicevo, questo mi chiede perché adesso glielo faccio io, il tutoraggio. Al che io gli rispondo che c'è stato un cambio d'organizzazione e che ora me ne occuperò io. Lui sta zitto, mi guarda e poi mi dice: "Ma che ho fatto qualcosa?". Come se avesse pure il dubbio!".
"Almeno non è completamente stupido: due neuroni li ha!" commentò Orazio divertito.
"No, stupido non è: non so nemmeno perché abbia fatto richiesta del tirocinio, bravo com'è!".
"Sul serio non lo sai?" mi domandò sorridendo malizioso.
"Beh, a questo punto, immagino per stare con Beatrice". Non avevo considerato prima quella possibilità. "In ogni caso, si è rovinato da solo e gliel'ho pure detto".
"Che gli hai detto?". Aggrottò le sopracciglia con aria preoccupata.
"La verità, ovvero che ho preso il posto di Beatrice perché il modo in cui si è comportato l'ha fatta sentire fortemente a disagio, così mi sono offerto di prendere il suo posto come suo tutor".
"E come gliel'hai detto?".
"Così come te l'ho appena detto ora: chiaro e conciso".
"E un tantino passivo-aggressivo" aggiunse serio.
"Non sono stato passivo-aggressivo" obiettai.
"Giusto un pochino". Okay, forse era vero, ma la cosa non mi interessava poi così tanto. "E lui come l'ha presa?".
"Male, come la poteva prendere? Però ben gli sta, almeno impara a non molestare le ragazze, Beatrice in particolare! E sai che mi ha chiesto dopo?".
"Che ti ha chiesto dopo?".
Cercai di non ridere. "Mi ha chiesto se io e Beatrice ce l'intendessimo! Non riuscivo a capire se fosse serio o meno, però più parlava e più mi rendevo conto che pensava davvero che noi due stessimo insieme o qualcosa del genere! Non ti sembra assurdo!". Lo trovavo a dir poco surreale.
"Beh, anch'io penserei una cosa del genere in realtà".
"Però non lo pensi, no?". L'idea che qualcuno potesse shipparmi con Beatrice mi causò un moto di terrore.
"Non lo penso perché io so che tu sei gay, ma Alighieri questo non lo sa".
"No, lo sa".
"E come potrebbe?".
"Perché gliel'ho detto io". Il suo sguardo confuso mi spronò ad essere più specifico. "Gli ho detto che io e Bea non ce l'intendiamo. Lui mi ha chiesto se fossimo amici, io gli ho detto una specie. Poi mi ha praticamente supplicato di aiutarlo a conquistarla e di dargli qualche consiglio per conquistare una strafica come lei, testuali parole...".
"Oh Gesù Cristo!" sogghignò Orazio divertito.
"Al che io gli ho detto che sono l'ultima persona a cui poter chiedere una cosa del genere perché sono gay e ho fatto cadere il discorso".
Ci mise un attimo per elaborare quello che gli avevo appena raccontato. "Cioè, gli hai letteralmente detto Sono l'ultima persona a cui poter chiedere una cosa del genere perché sono gay?".
"Non proprio, cioè". Mandai giù il boccone. "Sono l'ultima persona a cui poter chiedere un cosa del genere. Lui mi ha fissato con cattiveria. Io sono gay. E abbiamo continuato con Agamennone e Achille".
"Wow!" esclamò.
"Wow cosa?".
"A volte mi stupisco di quanto tu sappia essere assurdo quando interagisci con gente che non conosci!". Scoppiò a ridere. "Cioè, hai fatto coming out pur di tagliare il discorso!".
Era sicuramente un modo legittimo di vedere quello che era successo, ma non riuscivo a capire che cosa ci trovasse di tanto assurdo o divertente: il fatto che fossi gay era vero e abbastanza risaputo. Per di più, agendo così avevo messo fine a quella sceneggiata ridicola: penso che neanche i ragazzini delle medie possano raggiungere quel livello di pateticità. Ma Orazio non era decisamente dello stesso avviso: estroversi, non li capirò mai.
"Tu invece? Che hai combinato oggi?".
"Un emerito cazzo!", esordì spalancando le braccia, "Io non mi laureerò mai! 'sta tesi di merda!".
Avevo conosciuto Orazio al primo anno della triennale, poco prima di una lezione di linguistica italiana. Eravamo entrambi in ritardo perché c'eravamo persi tra i corridoi labirintici della Sapienza e così ci ritrovammo seduti per terra accanto alla porta, visto che tutti i posti erano già stati occupati: ce ne lamentammo insieme, qualcosa fece click e non abbiamo più smesso di parlare. Anzi, tempo qualche settimana e già condividevamo quello che sarebbe diventato il nostro appartamento. Solo che, mentre io ero ormai prossimo a guadagnarmi la magistrale, lui era rimasto impantanato prima con l'esame di letteratura latina e poi con la stesura della tesi, motivo per il quale viveva ormai rintanato in camera sua a combattere con il blocco dello scrittore.
"Dove sei arrivato?" gli domandai pur immaginando a che punto stesse.
"All'introduzione". Non era assolutamente la risposta che mi aspettavo.
"Ma l'altro ieri non avevi finito la prima sezione?".
"L'ho cancellata" sbuffò.
"E perché?".
"Perché mi faceva davvero schifo". Non potevo dargli torto, avrei fatto esattamente lo stesso.
"Almeno l'hai fatta leggere a Mecenate prima di cancellarla?". Mecenate era il suo ragazzo, quindi riusciva a farlo ragionare meglio di me.
Restò per un attimo a fissarmi con i suoi occhietti confusi prima di rispondermi. "Beh, no. Tanto era una merda".
"Tutte le prime stesure sono una merda". Cominciai a sparecchiare. "Il punto è capire se è una merda da scaricare o da sistemare: lo scopo della prima stesura non è quello di essere perfetta, ma quello di esistere, punto". Era un ottimo consiglio che mi aveva dato il mio insegnante di italiano del liceo, il professor Silone, ma mi riservavo di non metterlo sempre in atto.
"In effetti hai ragione, come sempre", sospirò passandosi le mani sul volto stanco, "Tanto domani Mece passa per darmi una mano, quindi".
"Immagino come te la dia, una mano" commentai.
Orazio ridacchiò. "Ma perché devi sempre pensare male te, eh?".
"Perché, penso male?". Sollevai un sopracciglio e lo fissai dritto negli occhi.
"No, in effetti no", ammise divertito, "Mi ci vorrebbe proprio una scopata! Sono troppo agitato ultimamente". Peccato che lui agitato lo era costantemente, in un modo o nell'altro.
"Dai, su, che domani rivedi l'amore tuo! Piuttosto, Mece resta a cena?".
"Probabile. Non ti dispiace, vero?".
"No, ma scherzi!". Ero stato io a presentarglielo ed era troppo bello vederli interagire. "Chiedevo solo perché domani vado a fare la spesa".
"Ricordati il vino!" esclamò.
"Non ti vorrai mica ubriacare, vero?". Gli lanciai un'occhiata minacciosa.
Lui, di rimando, mi sorrise. "Carpe diem, Virgi!". Quel ragazzo non si smentiva mai.
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