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Capitolo I

Tutto ebbe inizio il mio ultimo anno di università. La sessione invernale era appena cominciata ed ero rientrato da qualche giorno a Roma da Milano, dove avevo passato l'ultima metà delle vacanze natalizie da mia madre. Avevo già preparato il mio piano d'attacco per dare tutti e quattro i miei esami entro la fine di febbraio, calcolando in anticipo persino i giorni di pausa per evitare il burn out e non rischiare un calo di performance per la stanchezza. D'altronde, avevo già chiesto al professor Omero di essere il mio relatore per la tesi magistrale e gli avevo persino inviato una prima bozza: se volevo davvero laurearmi entro settembre, avrei fatto bene a non trascinarmi dietro nessun esame e a studiare con tutto me stesso, così da non doverne ridare nessuno. Ovviamente non avevo fatto i conti con i piani che il Fato aveva in serbo per me.

Ero nel bel mezzo di una traduzione di Callimaco quando mi arrivò la prima notifica, quindi non la degnai di uno sguardo. Poi ci fu la seconda. E poi la terza. E poi la quarta. Continuare ad ignorare il cellulare stava cominciando a diventare difficile e morivo dalla voglia di controllare che cosa stesse succedendo, ma non volevo perdere la concentrazione. In più, se avessi aperto la notifica, sarei sicuramente finito per essere risucchiato dallo schermo e avrei detto addio allo studio - cosa che non potevo assolutamente permettermi.

Non passò molto altro tempo prima che mi squillasse il telefono: era Beatrice.

"Pronto?".

"Perché non mi rispondi ai messaggi, eh Virgi?" mi domandò subito lei a bruciapelo.

Avevo avuto la "fortuna" di incontrare Beatrice Portinari il semestre precedente al corso del professor Omero, ma non c'era una sola persona in tutta la facoltà che non la conoscesse almeno di vista: rappresentante degli studenti di Lettere Classiche per due mandati di fila, era nel comitato che si occupava di organizzare le feste studentesche e aveva una fila di ragazzi - e qualche ragazza - pronti a morire per lei. Aveva una bellezza tremendamente ordinaria, con i lunghi capelli biondi e gli occhi da cerbiatta, ma era estremamente brillante, tanto che il professor Omero ci aveva chiesto di lavorare insieme ad una presentazione su Teocrito da esporre poi all'intera classe. Non posso dire che fossimo diventati propriamente amici, ma eravamo abbastanza in confidenza da scriverci ogni tanto e da scambiarci qualche parola quando ci beccavamo nei corridoi.

"Stavo studiando" le risposi sbuffando.

"Hai letto la mail?".

"Quale mail?".

La sentii sospirare dall'altra parte della linea. "La mail del professor Omero, quella per il tutoraggio. Tu che hai intenzione di fare?".

"Io non so manco di che stai parlando" le dissi facendo per accendere il computer.

"Allora, in pratica il professor Omero, mio padre, mio marito, mio tutto", cominciò a cinguettare entusiasta, "Ha inviato a me e a te una bella mail in cui ci chiede molto gentilmente di occuparci del tutoraggio per le nuove matricole, visto che Demodoco s'è dato".

"In che senso s'è dato?". A volte non la sopportavo per quel suo fare sbrigativo.

"Nel senso che non ha dato la disponibilità, Virgi!" esclamò.

"Vabbè, ma non t'incazza'!", la presi un po' in giro, "Okay, sì, è arrivata anche a me".

Carissim* signor Marone e signorina Portinari,
vi scrivo questa lettera elettronica per chiedervi se sareste interessati a svolgere attività di tutoraggio per i prossimi due o tre mesi. Si tratterebbe di aiutare nella traduzione dei miei poemi le matricole, due pomeriggi a settimana da concordare, dalle 14 alle 20 circa. In altre circostanze chiederei al professor Demodoco, ma il collega non ha potuto dare la sua disponibilità per motivi accademici: inoltro la proposta a voi, che siete tra i miei studenti migliori. Naturalmente, mi sono premurato che la segreteria convalidi le ore di tutoraggio come ore di tirocinio, in modo tale che il vostro impegno vi sia riconosciuto.
In attesa di una vostra risposta, possibilmente il più pronta possibile, vi auguro un buon pomeriggio (si spera di studio!).
Distinti saluti,

Prof. Omero, docente ordinario di Lingua e Cultura Greca all'Università Sapienza di Roma

"Allora? Hai letto? Stai ancora leggendo? Perché non parli?" riattaccò a macchinetta Beatrice.

"Sì, ho finito adesso". La mia testa si affollò di così tanti pensieri che per un istante sembrò vuota.

"Beh? Quindi? Che pensi?".

"Penso che Omero è molto bravo a lusingare con le parole", le risposi ancora sovrappensiero, "E che ci ha fottuto per bene".

"Allora non sono l'unica a pensarlo!".

"Non possiamo dire di no: punto primo perché è il nostro relatore per la tesi, quindi è meglio non farlo stranire, altrimenti la laurea non la vedremo mai" cominciai a ragionare ad alta voce.

"Soprattutto considerando quanto sia permaloso quell'uomo! Ti ricordi quando non so chi fece un paragone tra lui ed Esiodo e il prof gli ha risposto tutto acido? Ho saputo che è stato bocciato due volte al suo esame, quel povero cristiano!".

"Punto secondo, il tutoraggio messo in questi termini è una grande opportunità: abbiamo meno ore di tirocinio il prossimo semestre...".

"Il che non è male, visto che abbiamo già cinque corsi da seguire e la tesi da scrivere...".

"Però avremmo meno tempo per preparare gli esami di questa sessione". Questo era il pensiero che più mi premeva.

"Beh, sono due pomeriggi a settimana: basta un attimo riorganizzare la tabella di marcia" mi fece notare con ottimismo Beatrice.

"Ma tu lo vuoi fare?" le domandai quindi.

"Sì". Aveva esitato e la sua voce non mi sembrava molto convinta.

"Ma?".

"Ma se becco quell'Alighieri?". Dante Alighieri era uno dei ragazzi che le moriva dietro.

"Dovresti avere proprio sfiga", cercai di rassicurarla, "E poi, anche se fosse, quale sarebbe il problema?".

"Il problema è che mi viene dietro".

"Bea, mezza facoltà ti viene dietro" le ricordai.

"Sì, ma lui è diverso dagli altri".

Qualcosa mi fece intuire che il discorso non sarebbe stato tanto breve: allungai le gambe sotto la scrivania e mi lasciai andare sulla sedia. Per seguire i discorsi da ragazza di Beatrice dovevo mettermi comodo, altrimenti mi perdevo qualche dettaglio di fondamentale importanza e finivo per essere rimproverato e insultato insieme al resto del genere maschile. Ma le volevo bene anche per questo. 

"Mette like a tutte le mie storie e a tutti i miei post, a volte li commenta pure!".

"Se è per questo, anche io lo faccio".

"Ma tu sei gay, è diverso".

"Perché?".

"Perché tu non vuoi scoparmi". Touché. "E poi me lo ritrovo ovunque! Letteralmente ovunque! Io sto tranquillissima per cazzi miei, mi giro e lo vedo là, che mi fissa con quel suo sorriso inquietante!".

"Il suo sorriso non mi sembra inquietante: è solo timido e impacciato, ci sta".

"Virgi, ti lancio qualcosa" mi minacciò. Come non detto.

"Okay, okay, hai ragione tu: Dante Alighieri ha un sorriso da serial killer maniaco", sospirai sorridendo, "Comunque, non mi sembra sensato rinunciare ad una possibilità simile solo perché c'è la possibilità che ti tocchi fare lezione a quel tipo".

"Infatti non voglio rinunciare: sono solo preoccupata. Ma tu lo vuoi fare?".

No, non lo volevo fare: volevo concentrarmi sullo studio e finire la sessione il prima possibile, così da poter passare qualche giorno su con la mia famiglia prima che ricominciassero le lezioni. Avere due pomeriggi a settimana occupati sarebbe stata una bella rogna: avrei dovuto risistemare il piano d'attacco e verosimilmente spostare un esame a fine febbraio. Per di più, anche solo l'idea di dover parlare con persone che non conoscevo, ragazzini tra l'altro, mi spaventava a tal punto che avrei potuto rifiutare solo per quello.

Ma il professor Omero era il mio relatore: permaloso com'era, non volevo inimicarmelo. Fare tutoraggio era una bella sfida sotto molti punti di vista, ma ci avrei guadagnato parecchio in termini di crediti. 

"Non proprio, ma lo faccio se lo fai tu" risposi alla fine.

"Perfetto allora! Rispondiamo ad Omero!", squittì Beatrice tutta entusiasta, "Che cosa gli scriviamo?".

"Qualcosa del tipo La ringrazio per l'opportunità, accetto volentieri. E poi boh, magari aggiungiamo Mi faccia sapere quanto prima quando e dove recarmi per...".

"Non correre, che mi sto segnando quello che mi stai dicendo!".

"Bea, hai venticinque anni e non sai scrivere da sola una mail?" la canzonai con affetto.

"Tu ne hai ventitré e hai ancora paura del barbiere!".

"Io tengo i capelli lunghi per scelta, non per paura!".

"Sì sì, lo diciamo anche noi ragazze, non ti preoccupare: non sei da solo, hai metà popolazione mondiale a comprenderti". Ridacchiai per non mandarla amorevolmente a fanculo.

"Daje, mandiamo 'sta mail e poi torno a studiare, che devo ancora finire Callimaco. Ci risentiamo quando ci risponde Omero".

"Sì sì, ti chiamo".

"Mi puoi anche solo scrivere". Non mi piacevano le telefonate, le evitavo il più possibile.

"No, perché altrimenti visualizzi dopo ore e ore e io non so con chi parlarne". Estroversi, non li capirò mai.

"Vabbè, vabbè, come vuoi te: ci sentiamo".

"Cia' cia' cia'...". Tagliai corto e chiusi la chiamata.

Allora non sapevo che avevo appena preso una decisione che avrebbe cambiato per sempre la mia vita.

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